In luglio, quando ancora quasi nessuno ne parlava, avevo scritto della “rotta dei Balcani”. Ora quest’espressione è sulla bocca di tutti e la gestione del flusso dei migranti sembra sempre più difficoltosa. Se prima i Paesi interessati dal fenomeno erano principalmente Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria adesso gli attori coinvolti sono aumentati. Le cause principali sono il muro di filo spinato, costruito per volere del premier ungherese Viktor Orbán, al confine con la Serbia e la successiva chiusura del confine. Migliaia di persone, giunte al confine, hanno fatto marcia indietro dirigendosi verso la Croazia.
Tra il 16 e il 17 settembre 13000 profughi hanno attraversato la frontiera tra Serbia e Croazia. Il governo ha prontamente organizzato autobus e treni per trasferire le persone in centri accoglienza e campi temporanei. Come da prassi, pochissimi aspiranti rifugiati hanno richiesto asilo in Croazia dopo la registrazione, affermando di voler dirigersi verso il nord dell’Europa. Dunque Croazia come terra di transito, ma solo per poche ore. In seguito al rifiuto sloveno di consentire il passaggio di persone provenienti dalla Croazia, anche le autorità di quest’ultima hanno abbandonato l’iniziale atteggiamento collaborativo e la notte del 17 settembre hanno deciso di chiudere tutti i passaggi di frontiera con la Serbia. La decisione di chiudere i passaggi è stata motivata dalla paura di venire abbandonati insieme a pochi altri stati a prendersi cura di questo fardello. Il capo del governo Zoran Milanović ha poi annunciato il suo “piano B”, illustrando la volontà di trasferire i rifugiati fino alla frontiera più vicina a nord del Paese.
Questo è proprio quello che è successo da venerdì 17 settembre quando le strade del Paese hanno iniziato a essere percorse da autobus e treni pieni di rifugiati. Una volta giunte alla frontiera ungherese alle persone è stato garantito dal governo magiaro un passaggio in autobus fino al confine con l’Austria. Non si può certo dire che l’Ungheria abbia apprezzato la mossa croata, vista come una violazione della sovranità nazionale. A quanto pare il consigliere politico di Orbán, Antal Rogan, ha addirittura dichiarato che l’Ungheria avrebbe posto il veto al futuro ingresso di Zagabria nel club di Schengen, poiché il paese “evidentemente non è pronto”, e che Budapest è pronta a estendere la propria barriera anche alla frontiera con Romania e Croazia. Nulla di sorprendente in tale dichiarazione, che considererei in linea con la ormai ben nota “diplomazia” ungherese. Il giorno stesso anche la Slovenia ha iniziato a lasciar passare i rifugiati, che in maggioranza hanno proseguito il loro viaggio verso l’Austria. Non ci s’immagini tuttavia dei tranquilli viaggi dotati di tutte le comodità. Purtroppo la capacità di trasporto è rimasta ben al di sotto delle esigenze e si è assistito alle immagini che vediamo ogni giorni in televisione con persone che si lanciano disperate nella speranza di riuscire a salire su un treno. Il governo croato, trovatosi impreparato ad accogliere un flusso così ingente di migranti, ha dovuto anche disporre la creazione di una nuova tendopoli “provvisoria” a Opatovac, presso il confine serbo.
Tra il 16 e il 17 settembre 13000 profughi hanno attraversato la frontiera tra Serbia e Croazia. Il governo ha prontamente organizzato autobus e treni per trasferire le persone in centri accoglienza e campi temporanei. Come da prassi, pochissimi aspiranti rifugiati hanno richiesto asilo in Croazia dopo la registrazione, affermando di voler dirigersi verso il nord dell’Europa. Dunque Croazia come terra di transito, ma solo per poche ore. In seguito al rifiuto sloveno di consentire il passaggio di persone provenienti dalla Croazia, anche le autorità di quest’ultima hanno abbandonato l’iniziale atteggiamento collaborativo e la notte del 17 settembre hanno deciso di chiudere tutti i passaggi di frontiera con la Serbia. La decisione di chiudere i passaggi è stata motivata dalla paura di venire abbandonati insieme a pochi altri stati a prendersi cura di questo fardello. Il capo del governo Zoran Milanović ha poi annunciato il suo “piano B”, illustrando la volontà di trasferire i rifugiati fino alla frontiera più vicina a nord del Paese.
Questo è proprio quello che è successo da venerdì 17 settembre quando le strade del Paese hanno iniziato a essere percorse da autobus e treni pieni di rifugiati. Una volta giunte alla frontiera ungherese alle persone è stato garantito dal governo magiaro un passaggio in autobus fino al confine con l’Austria. Non si può certo dire che l’Ungheria abbia apprezzato la mossa croata, vista come una violazione della sovranità nazionale. A quanto pare il consigliere politico di Orbán, Antal Rogan, ha addirittura dichiarato che l’Ungheria avrebbe posto il veto al futuro ingresso di Zagabria nel club di Schengen, poiché il paese “evidentemente non è pronto”, e che Budapest è pronta a estendere la propria barriera anche alla frontiera con Romania e Croazia. Nulla di sorprendente in tale dichiarazione, che considererei in linea con la ormai ben nota “diplomazia” ungherese. Il giorno stesso anche la Slovenia ha iniziato a lasciar passare i rifugiati, che in maggioranza hanno proseguito il loro viaggio verso l’Austria. Non ci s’immagini tuttavia dei tranquilli viaggi dotati di tutte le comodità. Purtroppo la capacità di trasporto è rimasta ben al di sotto delle esigenze e si è assistito alle immagini che vediamo ogni giorni in televisione con persone che si lanciano disperate nella speranza di riuscire a salire su un treno. Il governo croato, trovatosi impreparato ad accogliere un flusso così ingente di migranti, ha dovuto anche disporre la creazione di una nuova tendopoli “provvisoria” a Opatovac, presso il confine serbo.
Fonte: The financial express |
A rendere la situazione ancora più tesa è stata la decisione croata (in vigore dal 21 settembre) di chiudere il valico, con la Serbia, di Batrovci-Bajakovo ai mezzi pesanti. Si trattava dell’unico valico di confine fra i due Paesi rimasto aperto dopo la scelta di chiudere nei giorni scorsi gli altri sette passaggi di frontiera con la Serbia a causa del massiccio flusso di migranti e profughi. Pochi giorni dopo, la Serbia ha ribattuto bandendo le importazioni di merci croate. Il premier Milanović ha ribadito che a suo avviso il blocco, sebbene sia una misura estremamente spiacevole, è l’unico modo per fare pressione su Belgrado. A quest’ultima si chiede che una parte dei rifugiati venga ridiretta verso la frontiera ungherese. Venerdì scorso, però, Milanović ha annunciato l’eliminazione delle restrizioni in vigore al confine con la Serbia. Decisione dovuta al raggiungimento dei propri scopi? Non proprio, diciamo più che altro caldeggiata dall’Unione Europea. Il blocco aveva creato in territorio serbo una fila di oltre 17 chilometri di camion in attesa al valico di Batrovci-Bajakovo ed ingenti danni economici. Serbia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina avevano dichiarato che se il blocco alle frontiere fosse continuato sarebbe stata richiesta una riunione urgente della Cefta, l'Accordo di libero scambio fra i Paesi dell'Europa centrale. Esplicativo però del pensiero di Milanović è che si sia dichiarato pronto a re imporre le restrizioni alla frontiera in caso di mancata volontà serba di reindirizzare almeno in parte gli stranieri in arrivo anche verso l'Ungheria e la Romania (per la cronaca, l’Ungheria ha deciso la costruzione di una barriera anche alla frontiera con la Croazia).
La nuova "rotta dei balcani" | Fonte: The independent |
Anche la nuova rotta sembra quindi pericolosa e difficile da percorrere, tant’è che già si parla dei possibili nuovi percorsi per raggiungere l’area Schengen. Si potrebbe dalla Grecia attraversare Bulgaria e Romania e poi dirigersi o verso l’Ucraina in modo da raggiungere la Germania attraverso la Polonia o attraversare l’Ungheria a Nord del “muro” e dirigersi verso Austria e Germania passando per la Slovacchia. Un’altra opzione sarebbe raggiungere l’Albania e qui tentare la traversata in mare verso le coste pugliesi o proseguire il viaggio sul continente fino a raggiungere la regione di Dubrovnik, in Croazia. Il problema però è che l’Europa si trova in un circolo vizioso e se queste deviazioni di percorso dovessero avvenire, Stati come Bulgaria, Romania, Slovacchia e Polonia molto probabilmente si chiuderebbero a riccio come hanno fatto i loro vicini. C’è un problema di coordinamento delle politiche e un deficit di solidarietà, lo si dice da tanto. Soluzioni all’orizzonte? Certo le istituzioni europee si stanno muovendo ma ancora fanno difficoltà a far sentire la propria voce. Si dice che una volta toccato il fondo, non si può far altro che risalire. Ecco, a me sembra che l’Europa nella gestione di questa crisi il fondo lo abbia già toccato. Attendo fiduciosa la risalita.
Sabrina Mansutti
@sabrinamansutti
Sabrina Mansutti
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