L'istituzionalizzazione (im)possibile del MoVimento 5 Stelle

Da qualche tempo tra le righe dei sondaggi politico-elettorali è comparso un nome nuovo. Parliamo di Luigi di Maio, ormai stabilmente presente nelle tabelle di rilevazione della fiducia nei leader. "Leader", appunto, specie da quando, un paio di settimane fa, una battuta pubblica di Beppe Grillo sembrava aver confermato un'investitura ormai nell'aria. "Maledetto Luigi, sei tu il leader", così aveva detto il comico genovese, suscitando un certo parapiglia all'interno del Movimento, seguito da una pronta retromarcia. "E' una bella battuta quella di Beppe, ma il leader è il Movimento 5 Stelle. Ogni persona all'interno del Movimento fa la sua parte. Ognuno, in qualche modo, è leader degli argomenti che porta avanti e con la Rete riusciamo a prendere anche il governo del Paese", questo il commento di Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza Rai e membro del "Direttorio" del Movimento.

Luidi De Maio insieme a Beppe Grillo | Fonte: thechronicle.it
L'apertura di un timido dibattito sulla futura leadership, rivela tuttavia una questione ben più ampia sul futuro del Movimento: consolidata ormai un notevole base elettorale, come trasformare questo consenso in influenza politica, in potenzialità di governo, in risultati tangibili?
Un dilemma, questo, a cui i politologi danno un nome preciso: l'"istituzionalizzazione" dei partiti carismatici.

Nei giorni della straordinaria performance elettorale del 2013, il M5S era a pieno titolo un "partito carismatico", se pensiamo alle caratteristiche che in primis Panebianco vi rinveniva. Era una formazione tenuta insieme dalla lealtà al proprio leader - e forse lo è ancora, a giudicare dalle espulsioni, ratificate dalla Rete, dei parlamentari dissidenti. Non aveva una burocrazia interna - almeno fino a quando non sono stati imposti ai parlamentari un direttorio e severissimi responsabili della comunicazione. Ha tuttora un'organizzazione altamente centralizzata - nonostante le retoriche della "Rete" e il fiorire di MeetUp, le decisioni sembrano sempre avere l'imprimatur di Beppe Grillo.
Ha, o pretende di avere, un'aura rivoluzionaria, antipartitica, dettata dal carisma del proprio leader - ricordate la tanto auspicabile quanto vaga "rivoluzione dell'onestà"?

Il Movimento 5 Stelle era dunque un "partito carismatico" nel 2013 e, nonostante gli adattamenti resi necessari da oltre due anni di protagonismo sulla scena politica, lo rimane tuttora. Eppure è evidente che esso stesso non sia più un elemento di rottura ma una componente consistente del panorama elettorale nazionale. Principali indicatori dell'avvio di un percorso di istituzionalizzazione, per un partito carismatico, sono i risultati elettorali costanti nel tempo e la sua percezione come "staying power". E a questi segnali, è lampante, il Movimento non si sottrae.

Ma c'è un indicatore ulteriore, fondamentale: il partito ha "importanza sistemica"? In parole povere: come utilizza il consenso elettorale? Ha le potenzialità per divenire forza di governo o quantomeno per influenzare il processo politico?
Ad oggi, almeno sui temi fondamentali, il M5S non le ha dimostrate, o meglio, strategicamente non ha voluto dimostrarle.Abbiamo tutti negli occhi il famoso incontro in streaming del 2013 tra Pierluigi Bersani e i capigruppo pentastellati di allora, Vito Crimi e Roberta Lombardi. Ma anche negli altri grandi appuntamenti il movimento di Grillo ha giocato un ruolo a parte, dall'elezione dei Presidenti della Repubblica (specie Mattarella), all'attuale discussione sulla riforma costituzionale, in cui l'unica critica prodotta (tra le tante possibili) è che il Senato delle Regioni garantirebbe l'immunità parlamentare a consiglieri regionali che attualmente non ne godono.

MoVimento 5 stelle
Il gruppo di parlamentari del M5S alla Camera | Fonte: ilfattoquotidiano.it

Finora la strategia dell'estraniarsi dalla "casta", del non scendere a compromessi, ha pagato in termini elettorali. Ma può bastare? Fino a quando? 
Perché poi può capitare di vincere le elezioni amministrative in alcuni comuni importanti. Governare, ahimé, comporta la necessità di accettare compromessi o soluzioni graduali: Pizzarotti, ad esempio, ha vinto le elezioni a Parma promettendo la chiusura di un inceneritore che, nonostante gli sforzi profusi, è ancora in funzione. Governare, in altri termini, porta inevitabilmente ad una contraddizione con la "purezza" finora predicata.

Serve allora un ripensamento dell'agire politico di un movimento giunto alle soglie della maturità, e pare che gli stessi Grillo e Casaleggio se ne siano accorti, specie se si dimostreranno vere le previsioni di chi sostiene che nel prossimo incontro nazionale ad Imola, a metà ottobre, verrà presentata una squadra di governo. Lo dicono gli studi e lo dice la prassi politica: per una fase politica nuova serve prima di tutto una leadership nuova, e la attesa proclamazione di Luigi di Maio, il più "istituzionale" dei volti del Movimento, in luogo dello stesso Grillo, troppo legato alla fase "movimentista" e di protesta, va in questa direzione.
Tuttavia per realizzare il potenziale politico-elettorale del Movimento, e dunque completare la sua istituzionalizzazione, non basta una simile successione - una pure complessa "uccisione del padre".
Per sedersi finalmente al tavolo politico con ambizioni più concrete della semplice testimonianza di una disaffezione - per gran parte comprensibile, serve che il Movimento 5 Stelle definisca (quel tanto che basta nei nebulosi orizzonti della politica italiana) il proprio profilo.
Il M5S è quello del reddito di cittadinanza e dell'ambientalismo delle origini, o è quello che difende Orban e viaggia in Europa con Farage? E ancora, è quello della democrazia diretta o quello delle espulsioni e delle oscure votazioni della rete?

Il cambio di leadership all'orizzonte, insomma, sembra indicarci che il Movimento 5 Stelle ha intrapreso la strada della sua istituzionalizzazione. Un passaggio pericoloso, che richiede un drastico cambiamento dell'agire politico quotidiano, e che rischia di costare in termini di consenso.
Un passaggio necessario, perché un'Aventino costante che non concretizza il sostegno degli elettori non può durare: ci sarà sempre qualcuno più puro, più estraneo e più "innocente" pronto a scalzarti.

Andrea Zoboli



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