Quella presidenziale croata è stata una campagna senza esclusione di colpi, animata dalle decisioni del governo, guidato dal centro sinistra, di cancellare il debito per sessantamila persone, le più povere, e dalla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja che ha stabilito che i croati non hanno né subito né perpetrato atti di genocidio durante le guerre balcaniche dei primi anni Novanta. Nonché dall'arresto del sindaco di Zagabria e di uno dei candidati alla presidenza, il leader del piccolo partito di sinistra Zivi Zid, il Movimento per la Casa, Ivan Sincic.
Il Presidente uscente, il social-democratico Ivo Josipovic sembrava saldamente in testa ai sondaggi e destinato ad una riconferma per un secondo quinquennato. La strada si è complicata a causa degli autogol de suo stesso partito e della rimonta della sfidante, Kolinda Grabar-Kitarovic, candidata del partito conservatore (HDZ) e, da domenica, ufficialmente prima presidente donna del paese.
Kolinda Grabar-Kitarovic il giorno del giuramento, con uno stile da qualcuno paragonato a quello di Kate Middleton. |
La vittoria si è decisa al ballottaggio, quando il 50,5 % dei croati si è schierato a favore della Grabar. Un sorpasso sul filo del rasoio, una differenza di 32.435 voti e un aumento della partecipazione elettorale che ha superato il 60%, più di dieci punti percentuali rispetto al primo turno. Una elezione così combattuta è un ottimo indicatore rispetto allo stato di salute della democrazia croata, il più giovane membro dell'Unione Europea.
La campagna della Grabar è stata caratterizzata dalla ferrea organizzazione del suo partito in supporto e dalla pacatezza nelle dichiarazioni. Non ha infatti preso una posizione netta su nessuna delle principali questioni dibattute in Croazia, ponendo piuttosto l'accento su grandi questioni etiche dai toni vagamente populistici. Nessuna dichiarazione sulla legge che prevede la monetarizzazione delle autostrade né sulla proposta, sempre dell'HDZ, di obbligare le donne a parlare con un sacerdote prima di ricorrere ad un'interruzione della gravidanza. Parlare invece di povertà, di giustizia e di amore per la Croazia le ha attirato le simpatie di molti. Compresa Ruža Tomašević, leader dell'HSP, il partito di estrema destra che ha sostenuto la neo-presidente nella doppia tornata elettorale.
Kolinda Grabar-Kitarovic è nata a Rijeka, che in Italia conosciamo come Fiume, nel 1968 e, dopo aver studiato letteratura, diplomazia e relazioni internazionali in America, Austria e Croazia, si è avvicinata al mondo politico come assistente al Ministero della Scienza e della Tecnologia. Solo in seguito è diventata parte della Croatian Democratic Union (HDZ), il partito conservatore fondato da Tudjman, il primo presidente croato. La Grabar ha accompagnato il suo paese nel percorso verso l'indipendenza, ma anche attraverso la sanguinosa guerra con la Serbia che ha provocato circa ventimila morti. È stata assistente per la Public Diplomacy del Segretario Generale della NATO, Ambasciatrice croata negli Stati Uniti e Ministro per gli Affari Esteri. Sostenuta esplicitamente dagli Stati Uniti, la Grabar-Kitarovic ha uno stile e una personalità particolarmente marcati, si presenta come una donna forte, indipendente e piuttosto aperta su questioni delicate come l'aborto o l'omosessualità, senza mai tradire la profonda fede cattolica che la contraddistingue.
Il Presidente della Repubblica in Croazia non gode di particolari poteri, tuttavia una vittoria così sentita potrebbe fungere da forza trainante per il partito conservatore in vista delle elezioni politiche che si svolgeranno in autunno. Ora l'HDZ spera più che mai di strappare il governo di mano al partito social-democratico, sfruttando l'effetto Grabar.
Subito dopo l'elezione, la neo-presidente ha speso parole entusiaste per il futuro della Croazia che da sei anni soffre una pesante recessione. “Basta con le divisioni, ora dobbiamo lavorare tutti assieme per una Croazia migliore e prospera”, un paese ricco e vuole appartenere ai più sviluppati paesi del continente. Tuttavia i rapporti della Grabar con Belgrado non sembrano altrettanto floridi. Il presidente serbo, Tomislav Nikolic, non era presente alla cerimonia di insediamento svoltasi lo scorso 15 febbraio nella città alta di Zagabria. Sebbene la motivazione ufficiale riguardi una festa nazionale serba nello stesso giorno, pare che Nikolic non abbia apprezzato alcune dichiarazioni della presidentessa, conservatrice e nazionalista, che si è rivolta ai serbi di Croazia come croati e ha definito la Vojvodina (una regione settentrionale serba al confine tra i due paesi) come uno stato a sé. Dichiarazioni che non hanno certo fatto piacere a Belgrado dove lo spettro di un nuovo Kosovo è tutt'altro che sopito. Nikolic aveva boicottato anche l'insediamento di Josipovic cinque anni fa poiché sarebbero stati presenti degli esponenti politici kosovari.
Un ulteriore elemento di interesse riguardo a questa elezione è l'analisi del comportamento dei croati all'estero. La “diaspora” si è rivelata determinante. Il 91,1% si è espresso a favore della candidata dell'HDZ. Particolarmente attiva è stata la campagna dell'Unione in Bosnia-Erzegovina dove sono 17.229 gli elettori croati regolarmente iscritti alle liste elettorali, ma un comportamento simile è stato riscontrato anche in Germania e Australia, altri due paesi dove la “diaspora” è presente in maniera significativa.
In conclusione, l'affermazione della Grabar segna il ritorno sulla scena politica croata dell'HDZ e apre una profonda crisi nel SPD che, agli occhi dell'opinione pubblica, non è stato in grado di salvare il paese dalla crisi. L'ambizione della neo-presidente è duplice: lavorare per la Croazia al fine di ridurre il tasso di disoccupazione e spingere il paese sempre di più verso una crescita e uno sviluppo armonici nell'Unione Europea, un'Unione Europea dove la Serbia continua a non essere considerata troppo la benvenuta, almeno da parte del suo vicino croato.
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