Quando il 6 maggio dello scorso anno il socialista Francois
Hollande divenne il nuovo inquilino dell’Eliseo, in molti riponevano grandi
aspettative e speranze nella sua presidenza. A partire dai francesi che lo
hanno eletto. Anche il mondo della
sinistra europea scorgeva in lui l’uomo della rinascita, in un continente in
quel momento dominato da esecutivi di centro-destra: Merkel in Germania,
Cameron in Gran Bretagna, Monti in Italia e Rajoy in Spagna. Doveva essere un riscatto dopo il progetto
del New Labour blariano, caduto in disgrazia con la improvvida decisione di
appoggiare gli Stati Uniti nella guerra contro Saddam, e dopo l’implosione del
governo Zapatero, che aveva affascinato per il suo progressismo ma che si era
squagliato di fronte all’esplosione della bolla immobiliare spagnola. Un leader
social-democratico che, grazie agli ampi poteri decisionali conferitegli
dall’assetto istituzionale semipresidenzialista, poteva ridisegnare una
Francia, e in ultima istanza, un’Europa, più equa, più giusta, più tollerante e
più aperta.
A quasi un anno di distanza possiamo iniziare ad affermare
che tutto quell’entusiasmo e quel fervore si è spento, che le attese sono state
deluse e che tutta quella fiducia è stata malriposta. Hollande si è rivelato un
presidente indeciso, titubante e passivo. Pochi giorni fa la disoccupazione transalpina ha toccato il
10,4% (mai così alta dal 1998). La Francia ha concluso il 2012 con un Debito
Pubblico che si è attestato al massimo storico del 90,2% (a fronte di una
previsione del 89,9%) e un Deficit del 4,8 % (0,3% in più delle aspettative).
La casa automobilistica Renault ha annunciato una riduzione del personale di 7500 unità nel
territorio francese. La spropositata tassa del 75 % per i redditi sopra il
milione di Euro, che ha fatto infuriare l’icona del cinema Gerard Depardieu, è
servita soltanto a far registrare al minuscolo comune belga di Nechin, che
dista soli 9 chilometri dal confine, un boom nelle vendite delle case di lusso.
Per insabbiare agli occhi dell’opinione pubblica le sue
difficoltà e le sue incertezze nell’affrontare l’incombente e devastante crisi
economica e per recuperare la popolarità perduta, il presidente socialista ha
spostato l’attenzione sull’approvazione da parte dell’assemblea nazionale del
diritto al matrimonio per le coppie omosessuali e sullo sradicamento dei gruppi
terroristi islamici che avevano occupato indiscriminatamente il nord del Mali.
Hollande ha attribuito una enorme priorità alla legge sulle nozze gay. Era una
promessa elettorale e sapeva che in gioco c’era la sua credibilità politica. Infatti,
a fine aprile, dopo un lungo e serrato dibattito, il parlamento ha dato il via
libera. Tuttavia il Presidente non aveva fatto i conti con le numerose
associazioni cattoliche e con la componente più conservatrice dell’élite
intellettuale francese. Il drammatico suicidio del pensatore di estrema destra
Dominique Venner, di fronte alla cattedrale di Notre Dame, nel tentativo di
“scrollare le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre
origini” e le manifestazioni in numerose piazze in difesa della “famiglia”,
dimostrano tutte le resistenze della società francese nei confronti di questo
provvedimento.
La missione maliana (operazione Serval), è iniziata il 10
gennaio in seguito all’approvazione di un risoluzione ONU e con l’appoggio
dell’Unione Europea. L’obbiettivo fissato era scacciare i gruppi jihadisti
instauratisi, senza il consenso della popolazione locale, nel nord del paese
africano. Essa si è prevedibilmente rivelata un rapido successo per l’esercito
transalpino, in grado di mettere in campo una potenza di fuoco e
un’organizzazione militare assai maggiore degli avversari. Nell’arco di un mese
sono state riconquistate le città occupate e liberata la popolazione. A fronte
di un contingente di 4000 uomini sono caduti solamente 5 soldati francesi.
Hollande ha dichiarato che l’operazione si evolverà lasciando che siano le
forze locali, coadiuvate ed addestrate da un migliaio di unità francesi, a
consolidare la pace e vigilare sul territorio. Tuttavia il caso
dell’Afghanistan mette in guardia dal considerare prematuramente concluso un
conflitto contro questo genere di organizzazioni terroristiche, che cercano
esattamente di allungare le ostilità per far prevalere le loro strategie di
guerriglia.
Il vero disastro però di questo primo anno di presidenza è
costituito dalla scarsa influenza esercitata da Monsieur Hollande tra i palazzi
di Bruxelles. In campagna elettorale aveva promesso il superamento delle
politiche di austerità fiscale ed economica dettate da Berlino, attirandosi
così le simpatie e le speranze di molti analisti e politici di sinistra in
tutto il vecchio continente. Proprio su questo piano, quello delle trattative con
gli altri leader europei per superare la recessione e combattere la
disoccupazione, si è dimostrato poco determinato e molto indeciso. Le ragioni
sono molteplici. In primo luogo, come ormai sostengono in molti, per fare
uscire l’UE dalle sabbie mobili in cui si trova in questo momento bisognerebbe
accelerare il processo di integrazione politica per costruire Stati Uniti
d’Europa”. A tal proposito la classe dirigente politica transalpina è da sempre
molto scettica, arroccata in un’assiomatica e anacronistica protezione delle
prerogative e della sovranità dell’”état”. Inoltre, come già si potrebbe
evincere dai dati economici all’interno dell’articolo, la Francia è oggigiorno
più vulnerabile e meno in grado di determinare la linea dell’Unione Europea.
Infine, per spiegare le difficoltà di Parigi a schierarsi apertamente contro
Berlino (e magari fare fronte comune con Roma e Madrid) , bisogna prendere in
considerazione la natura identitaria del legame Franco-Tedesco come cuore
pulsante dell’Unione, oltre agli stupefacenti risultati che ha prodotto dagli
anni ’50 ad oggi. Probabilmente nei tentennamenti di Hollande riguardo alla
creazione di una sorta di alleanza “anti-austerità” insieme ai paesi
mediterranei si nasconde anche una combinazione di orgoglio nazionale e di
superbia, che gli impedisce di posizionarsi alla stessa stregua di paesi
considerati di rango inferiore.
Le problematiche occorse durante il primo anno di François
Hollande come Presidente della Repubblica francese stimolano ed incentivano
alcune riflessioni su temi politicamente estremamente rilevanti come la
sovranità degli stati in Europa e su come si deve immaginare un governo di
“sinistra” nel prossimo futuro. È possibile per un singolo stato membro prendere
delle iniziative che differiscono sensibilmente con i dictat che provengono da
Bruxelles? C’è ancora spazio in Europa per politiche economiche e sociali di “sinistra”
per come si era abituati a concepirle? Se non c’è più, come si deve ripensare una “sinistra di governo” in un paese dell’Unione
Europea? Domande spinose e complesse a cui è difficile fornire una risposta. Io
personalmente ho una mia opinione, ma cautamente e con un velo di timore che
sia sbagliata, non la esprimo lasciando a chi legge la libertà di costruirne
una propria.
Valerio Vignoli
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