Nella mia
personale classifica di personaggi letterari, uno a cui sono
particolarmente affezionato è il buon vecchio commissario Maigret. È
per questo che ho accolto con estremo piacere una recente iniziativa
editoriale delle edizioni Adelphi: la ristampa di tutti i romanzi di
Georges Simenon riguardanti Maigret, a gruppi di cinque in comodi ed
economici volumetti (in ordine cronologico, a partire dal 1931, anno
di uscita del primo romanzo della serie). Naturalmente tutti questi
erano già stati pubblicati separatamente nei 75 libri che compongono
la monumentale collana “Le inchieste di Maigret”, ma è inutile
descrivere la palese comodità delle nuove edizioni (per quanto,
secca un po’ ammetterlo, siano decisamente meno comode da
trasportare!). Tra i migliori letti finora: Maigret e il fantasma
e Piotr il lettone, con una menzione speciale per Liberty
Bar (ma è una classifica del tutto provvisoria, sono ben lontano
dalla –per ora– irraggiungibile vetta di 75 romanzi).
Ho scoperto
Simenon relativamente tardi, dopo esserne stato a lungo incuriosito
dalla libreria di casa di un mio amico, letteralmente ricoperta di
suoi libri. Il mio primo impatto con una sua opera è stato curioso.
Mi aspettavo un giallo, e invece mi trovai a leggere qualcos’altro:
una prosa leggera, quasi rarefatta, dialoghi al limite della
perfezione, descrizioni mai invadenti. Con Simenon la sensazione è
che il contenuto (quella che, con un termine ormai inflazionato, si
definisce “trama”) non abbia poi tutta questa importanza, e fu
precisamente questo che mi colpì. Parliamoci chiaro: nei gialli di
solito si cerca l’azione, la sorpresa, la logica: in altre parole,
una “trama” vivace e capace di tenere svegli. Un qualsiasi
romanzo di Agatha Christie funziona così, è una bomba a orologeria
pronta a scoppiare sul comodino (cosa che, a scanso di equivoci,
considero un pregio!). Quel libro di Simenon invece non si accendeva.
Non perché fosse difettoso, ma semplicemente perché era altro,
e non era certo lo scoppiare quel che gli si richiedeva. Il libro in
questione era Luci nella notte, che fa parte della corposa
produzione non-maigretiana di Simenon: magari un giorno parleremo
anche di questo.
Ma torniamo al
commissario: calando le caratteristiche della scrittura di Simenon in
un genere, quello poliziesco, che rischia a ogni nuovo romanzo di
scivolare nel baratro triste della convenzionalità, appare Maigret,
in cappotto e pipa (in questo, ci ho fatto caso ora, è simile al
buon Sherlock Holmes). Privo della lucidità quasi meccanica dei
detective inglesi, si ferma tuttavia prima di arrivare alla
morbosità al limite del patologico che contraddistingue, ad esempio,
i protagonisti dei gialli scandinavi. Piccolo borghese (con Simenon
scompare l’ambientazione sempre altolocata dei gialli scritti fino
a quel momento), innovativo nel metodo (la logica quasi positivista
di un Conan Doyle lascia spazio alla materia regina del secolo
passato: la psicologia) e discreto nell’azione (abbandona la pura
ricerca dell’indizio per immergersi nell’ambiente e nel punto di
vista di vittima e assassino).
I delitti sui
quali si trova a indagare sono sempre verosimili (mentre molti altri
gialli, quanto a credibilità, rasentano la fantascienza…),
tutt’altro che perfetti, spesso motivati da null’altro che rabbia
e frustrazione che, la cronaca di ogni giorno ce lo dimostra, sono i
più frequenti moventi che provocano i delitti reali. Il buon
commissario, spesso in contrasto con la prassi giudiziaria, non fa
altro che entrare, mente e corpo, nell’ambiente in cui si è
consumato il delitto, assecondando gli eventi più che creandoli, per
poter ricavare un quadro il più possibile ampio della situazione in
cui si trova ad operare. Forse è proprio l’ampiezza di vedute la
caratteristica che contraddistingue Maigret: prima ho parlato di
psicologia, ma forse il termine è eccessivamente scientifico.
Maigret non si serve di teorie e lascia intendere di non aver appreso
nulla dai libri: le sue analisi, non certo prive di errori, vicoli
ciechi o colpevoli omissioni, derivano tutte dall’esperienza
(pratica!) dei mille tormenti, dubbi, ansie e sfaccettature che
caratterizzano l’uomo. Non l’uomo-da-romanzo, l’eroe, il
personaggio straordinario (nel bene o nel male), bensì l’uomo
della strada, il passante senza volto.
Con le parole
dello stesso Simenon: « Di veramente mio ho dato a Maigret
una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare,
perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli».
Alessio Venier
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