Ci
chiamano “generazione Erasmus”, una bella definizione, purtroppo
spesso usata per coprire la mancanza di Europa (e per chi scrive, di
Stati Uniti d’Europa). L’espressione “Generazione Erasmus” è
vaga come le stelle dell’Orsa, per citare gli Offlaga
Disco Pax.
E
allora cos’è davvero l’Erasmus? A dirla tutta, il programma
Erasmus è quanto di meglio l’UE abbia prodotto negli ultimi 27
anni. È l’esempio più tangibile non solo della nascita di una
cultura europea, ma della presenza di uno Stato europeo. Tuttavia, la
partecipazione resta ancora circoscritta ad una élite – sebbene in
costante espansione – di studenti.
Poi
ci sono i numeri. La Commissione Europea ha rilasciato il 10 luglio
una serie
di dati
relativi al programma. Nell’anno accademico 2012-2013, hanno
beneficiato di una borsa di studio Erasmus 270 mila studenti. La
scelta più in voga continua ad essere quella di spendere un periodo
in un’università partner, anche se uno studente su cinque (55
mila) ha optato per una borsa job placement in azienda. In
particolare, c’è stato un aumento della partecipazione del 47% tra
l’a.a 2007/08 e il 2012/13. Volendo quantificare il peso della
“generazione Erasmus”, le statistiche della Commissione mostrano
come, dal 1987/88 al 2012/13, 3 milioni di studenti abbiano
partecipato ad uno scambio nell’ambito di tale programma. Quasi
l’intera popolazione di Berlino o Madrid, per capirci. Attualmente,
circa il 10% degli studenti europei ha la possibilità di studiare o
lavorare all’estero grazie all’Erasmus. L’obiettivo dell’Unione
Europea è quello di arrivare al 20% entro la fine del decennio.
E
le destinazioni? Le mete più ambite nell’ultimo anno sono state
Spagna, Germania e Francia; mentre gli Stati membri ad inviare il più
alto numero di studenti in proporzione alla popolazione
dell’educazione terziaria sono stati Lussemburgo, Liechtenstein,
Finlandia, Lettonia e Spagna. L’istituto che ha accolto il maggior
numero di studenti è stata l’Universidad de Granada (1959), mentre
la prima italiana – quinto posto assoluto – è stata l’Università
di Bologna con 1620 studenti ospitati. Università di Bologna che si
conferma eccellenza in quanto a mobilità europea, piazzandosi al
terzo posto – dietro Universidad Complutense de Madrid e
Universidad de Granada – per numero di studenti (1830) inviati
all’estero nell’ambito del Programma Erasmus. Il Commissario
Europeo all’Educazione, Cultura, Multilinguismo ed Infanzia,
Androulla Vassiliou, mostra soddisfazione per i dati relativi al
2012/13, affermando: “Le
ultime statistiche mostrano che l’Erasmsus è divenuto sempre più
popolare. Oltre a contribuire ad un senso di appartenenza alla
famiglia Europea, le caratteristiche promosse dall’Eramsus danno
una spinta agli studenti per quanto riguarda occupabilità e
prospettive di carriera”.
Tuttavia
i numeri nascondono qualche serio problema, che rischia di limitare
gli effetti positivi del programma Erasmus. Uno su tutti i fondi
stanziati. La Commissione Europea ha fatto sapere che nell’ambito
del ristrutturato programma Erasmus Plus, lanciato a gennaio 2014,
saranno stanziati 15 miliardi di euro nel settennato 2014-2020.
Sebbene si configuri come un aumento del 40% rispetto al periodo
precedente, i dati attuali fanno riflettere. La media delle borse
Erasmus per il 2012/13 è stata di 272 euro al mese. L’inghippo sta
nel fatto che la stessa cifra copre grossa parte delle spese per chi,
ad esempio, sceglie la Spagna, mentre è un valore misero per chi
opta per il Nord Europa. Constatato ciò, si capisce come si debba
parlare più di élite che di generazione Erasmus, con le famiglie
chiamate a provvedere alla maggior parte delle spese. Il secondo
grande problema è quello relativo al sistema di valutazione: più o
meno ogni Stato membro ne ha uno. L’Italia in trentesimi, la
Francia in ventesimi, Gran Bretagna ed Irlanda prevedono voti in
percentuale, etc. In realtà, un sistema comune europeo esiste; si
tratta dello European
Credit Transfer System
(ECTS),
che prevede una scala di voti dalla A (voto massimo) alla F
(insufficienza). Tuttavia, alla fine dello scambio, lo studente deve
convertire i voti dal sistema dell’università ospitante a quello
europeo ed infine a quello dell’università madre. Inoltre, facendo
riferimento alla sola Italia, le metodologie di conversione cambiano
non solo da ateneo ad ateneo, ma addirittura sono previsti diversi
parametri tra le diverse scuole all’interno dello stesso ateneo.
Viene da chiedersi dove risiedano le difficoltà nell’adottare un
sistema comune europeo che abbia un’applicazione effettiva, quanto
meno, in tutti gli istituti che partecipano al programma Erasmus.
Come
mostrato, l’Erasmus presenta molte luci e qualche ombra, ma al di
là di tutto resta la più importante risorsa per l’Unione Europea.
Da diretto interessato dico che di strada da fare ce n’è ancora
molta, ma che una cultura europea si sta pian piano formando - con i
tedeschi in prima fila, culturalmente i più pronti per l’Europa a
mio avviso; mentre italiani, spagnoli e francesi fanno ancora un po’
fatica - e che dopo tale esperienza ci si sente europei prima che
italiani, francesi o tedeschi. Perché a salvare l’Europa dalla
crisi, dai populismi e dai beceri nazionalismi non sarà e non può
essere solo una politica economica più sensata. L’Europa ha
bisogna di trovare le sue radici e la nascita di una cultura europea,
aperta alle sfide del futuro, non può che passare dall’Erasmus. La
mia generazione è pronta, ha solo bisogno di una spinta in più.
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