I popoli dello zar

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Il 21 marzo, con l’annessione del neo costituito “Distretto federale di Crimea” alla Repubblica Federale Russa, il disegno di Vladimir Putin di dare una risposta netta ed inflessibile al governo ucraino ritenuto illegittimo e golpista ha preso forma. Contro le nuove autorità di Kiev, dove nei banchi di governi siedono alcuni elementi appartenenti a formazioni dell’estrema destra nazionalista, anti-semita e russofoba, il presidente russo ha prontamente accolto le istanze separatiste della penisola di Crimea, abitata da una forte maggioranza russofona, la quale, con l’appoggio delle autorità regionali, delle milizie filo-russe e dei reparti dell’esercito di Mosca, ha deciso di unirsi alla Russia tramite un referendum popolare. Putin ha sostenuto con forza l’azione, con lo scopo di proteggere e garantire la sicurezza a tutti i cittadini russi che si sentivano minacciati dalla “rivoluzione” di piazza Maidan. Non è però la prima volta che il governo russo usa abilmente lo strumento di scudo a protezione di tutti i russi che vivono al di fuori della madre patria per attuare decisive e risolutive azioni di politica estera e condizionare pesantemente il volto dello scacchiere internazionale.

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Questa vocazione protezionistica è attiva nella politica estera della Russia sin dall’impero zarista. L’ottica però delle azioni degli imperatori di San Pietroburgo era però delineata in quella che potremmo definire una vocazione “internazionalista”, vale a dire l’ergersi a paladino di tutti i popoli slavi e della salvaguardia della cristianità nell’Europa orientale. Innumerevoli le lotte nel corso dei secoli per contrastare l’impero ottomano e liberare i territori slavi dalle mani degli infedeli. L’essere il paladino per la libertà e la difesa delle popolazioni slave contro le ingerenze esterne fu il leit motive della dichiarazione di guerra contro gli imperi centrali da parte dello zar Nicola II, per liberare dal giogo di Austria-Ungheria e Germania le popolazioni della Bosnia, della Serbia, della Slesia, ecc. ecc., e condurle nella sfera di influenza di San Pietroburgo. Questa vocazione nazionalista venne in qualche modo affievolita con la caduta dello zar e l’instaurazione in Russia del potere sovietico, scandito dai richiami della lotta ai nazionalismi e dall’internazionalismo proletario. Nonostante tutto, con l’avvio dell’epoca stalinista, la dichiarata vocazione filo-russofona si rafforzò in maniera notevole, soprattutto quando da parte del Cremlino fu incoraggiata l’immigrazione massiccia di lavoratori russi nelle diverse repubbliche sovietiche. Un atto soprattutto volto a rafforzare l’autorità e il controllo del governo del Cremlino sulle repubbliche federali, ma anche un modo per punire le popolazioni colpevoli di aver supportato una politica anti-comunista. Esempi vistosi e chiarificatori della politica estera russa, soprattutto nel periodo stalinista, sono la massiccia emigrazione di russi nelle repubbliche baltiche, volute fortemente da Stalin per punire le popolazioni locali, accusate di collaborazionismo con le truppe naziste durante la seconda guerra mondiale.

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La caduta dell’impero sovietico, con la successiva crisi economica in Russia, le difficoltà vistose che l’esercito russo incontrò durante la prima guerra cecena e, in generale, la perdita di peso politico nell’arena internazionale, divennero l’ossessione, a partire dall’anno della sua prima elezione, il 2000, di Vladimir Putin. Il presidente russo decise che era ora che la Russia riprendesse con forza il ruolo di primo piano che le spettava tra le potenze del globo. Uno degli obbiettivi su cui si basa il ritorno prepotente dell’influenza russa in aree come l’Europa orientale e il Caucaso, è il continuo prendere posizione a difesa dei russi che vivono fuori dai confini di Mosca. Il legame tra le minoranze russe e il Cremlino è sempre stato forte negli anni e Putin ha sempre sostenuto le rivendicazioni di queste ultime come la necessità di proteggere tutti i cittadini russi, e in generale l’influenza che la Russia vuole a tutti i costi recuperare nella regione. Gli esempi sono molteplici: nel 2007 in Estonia, il governo decise di rimuovere il monumento che commemorava i soldati sovietici caduti contro il nazismo nella capitale Tallinn; ne seguirono scontri durissimi tra le forze di polizia e la corposa minoranza russa che abita nella capitale baltica, con il bilancio di un morto e 56 feriti, suscitando la reazione durissima di Putin e una serie di contro-misure del parlamento russo che ruppero per un certo periodo il rapporto diplomatico con l’Estonia. L’azione più eclatante a difesa dei movimenti filo-russi però rimane la guerra russo-georgiana del 2008: nell’agosto di quell’anno il governo di Tbilisi decise di sferrare un attacco militare contro le repubbliche separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud, nella quale da anni operava costantemente una guerriglia separatista che mirava all’unificazione dei territori alla repubblica russa. Le truppe russe reagiscono immediatamente, supportando le milizie separatiste e capovolgendo la situazione a loro favore. Solo l’intervento della diplomazia internazionale eviterà che l’intero territorio della Georgia. Mosca riconosce anche l’indipendenza delle due repubbliche e avvia con loro rapporti commerciali e diplomatici. La Russia è anche l’unico paese a riconoscere l’indipendenza dello stato della Transnistria, un lembo di terra tra Moldavia e Ucraina, nella quale abita una forte maggioranza russofona. Indipendente de facto dal 1992 ma non riconosciuta da nessun organismo internazionale, la Transnistria potrebbe essere secondo gli analisti, il prossimo obbiettivo di Putin, notando un significativo spostamento di truppe russe al confino con la Moldavia.

Vero interesse nel proteggere tutte le popolazioni russe? O semplicemente un mero calcolo politico per impedire che molti stati est europei si allontanino dall’orbita di Mosca per avvicinarsi all’Unione Europea? Più facile la seconda ipotesi, ma è ormai chiaro che Putin non ha intenzione di mollare un centimetro riguardo il recupero dell’influenza del Cremlino su gli ex domini sovietici. Le minoranze russe sono il suo miglior cavallo di battaglia, il legame che le tiene legate a Mosca è rimasto inscindibile nel tempo e lo “zar” Vladimir vuole sfruttare ogni minima risorsa per far sentire protette queste popolazioni e soprattutto dare una risposta forte all’occidente: non vogliamo che estranei si immischino negli affari di nostra competenza. Nostalgia dei due blocchi?


Mattia Temporin

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