Tra passato e presente: l'espansionismo russo non è una novità

L’invasione della Crimea da parte dell’esercito russo sembra avere risvegliato vecchi timori dell’Occidente.
La paura che serpeggia sulle due sponde dell’atlantico è quella di un ritorno ad un conflitto ideologico ma non solo tra est ed ovest, tra Russia e paesi NATO. Tornano in voga espressioni come sfera d’influenza, politica di potenza ed interessi nazionali. Si accumulano su testate più o meno specialistiche commenti di analisti ed esperti che tentano di dare spiegazioni degli ultimi eventi occorsi in Ucraina e di prevederne gli sviluppi e le conseguenze. L’espansionismo e l’assertività del presidente Putin preoccupano e allarmano ma, al contempo, incuriosiscono. Qual è la ragione di queste provocazioni e di questi azzardi nei confronti della comunità internazionale? Cosa lo spinge a tentare queste iniziative pirotecniche e altamente rischiose? È solo un frutto della sua megalomania e del suo ego piuttosto smisurato?
Fonte: temi.repubblica.it

La strategia espansionista o imperialista (dato che in questo caso le rivendicazioni territoriali hanno a che fare con una regione in cui la maggioranza della popolazione è russofona e che fino a vent’anni fa faceva parte dell’URSS) portata avanti dall’ex agente del KGB ha due spiegazioni principali. La prima affonda le radici in un passato lontanissimo, remoto oserei dire, ed è stata cementata nel corso dei secoli ed, in particolar modo, nel secolo scorso. La seconda invece è connessa con fenomeni in corso di svolgimento.
George Kennan - Fonte: wikipedia.it
In primo luogo dunque, a mio modesto avviso, l’espansionismo russo ha origine da un dato geopolitico che si è evoluto in un fattore psicologico e in un’abitudine strategica. La Russia, sotto le sue più svariate denominazioni, ha sin dal suo concepimento occupato una porzione immensa di territorio e, di conseguenza, dovuto difendersi da una grande molteplicità di nemici. Questa vulnerabilità ha prodotto un senso di insicurezza nelle élites che si sono succedute al potere. Il senso di insicurezza, al limite della paranoia, è stato spesso declinato attraverso una politica estera offensiva e provocatoria. Insomma, alla base c’è una questione geografica che ha dato luogo ad una modalità di comportamento e che, infine, si è solidificata ed è diventata quasi una ritualità, una routine. Questa tesi, che richiama il costruttivismo, la si può ritrovare nel “Lungo Telegramma” di George Kennan, diplomatico e storico statunitense. Tale documento diede avvio alla strategia americana del Containment sotto la presidenza Truman, e, sostanzialmente, segnò l’inizio della Guerra Fredda. Nonostante questo report sia stato scritto nel 1946, trovo che la tesi di Kennan sia ancora attualissima e che la sua validità sia intatta. Le sue parole risuonano in questi giorni più familiari ed eloquenti che mai.

 At bottom of Kremlin's neurotic view of world affairs is traditional and instinctive Russian sense of insecurity […] But this latter type of insecurity was one which afflicted rather Russian rulers than Russian people; for Russian rulers have invariably sensed that their rule was relatively archaic in form fragile and artificial in its psychological foundation, unable to stand comparison or contact with political systems of Western countries. For this reason they have always feared foreign penetration, feared direct contact between Western world and their own, feared what would happen if Russians learned truth about world without or if foreigners learned truth about world within. And they have learned to seek security only in patient but deadly struggle for total destruction of rival power, never in compacts and compromises with it.

La seconda motivazione di questa “irrequietezza putiniana” va probabilmente ricercata in dinamiche interne al paese che fino a pochi gironi fa ospitava a Sochi le olimpiadi invernali e si esaltava di fronte alle brillanti performance degli atleti di casa. Nel 2013 il prodotto interno lordo ha rallentato in maniera significativa la sua crescita attestandosi al 1,3%. Inoltre la moneta russa, il Rublo, dall’inizio dell’anno ha perso il 5% del suo valore nei confronti del dollaro. Proprio il gravoso onere rappresentato dall’organizzazione dei giochi più costosi della storia (le stime parlano di un totale di 51 miliardi di dollari complessivamente) non ha aiutato certamente il quadro economico. Insomma quello che veniva indicato da analisti del settore come un paese destinato ad una repentina ripresa dopo la terribile crisi degli anni ‘90 si sta bloccando. Il suo leader in pectore forse ha pensato che quest’azione improvvisa potrebbe distrarre l’opinione pubblica da questi dati deludenti e contribuire a rinvigorire il forte sentimento nazionalista presente in Russia. Il tentativo di spostare l’attenzione sulla politica estera è reso ancora più cogente dal rafforzarsi del dissenso interno, testimoniato dal discreto successo riscosso dal blogger anti-regime Alexei Nevalny alle elezioni municipali della capitale Mosca (per dovere di cronaca allo stesso Navalny è stato da poco proibito l’accesso a Internet in seguito ad una violazione dell’obbligo di non lasciare Mosca in riferimento ad una precedente condanna).
Non deve quindi sorprendere questo revival imperialista. Deriva da una commistione tra una storia di grandezza che passa attraverso zar autoritari e spietati dittatori e ragioni di politica domestica. Temo che dovremo abituarci a questo atteggiamento nuovamente provocatorio e assertivo della Grande Madre Patria Russa.

Fonte: wikipedia.it
Non lo trovo comunque nemmeno così preoccupante al momento. Negli USA mi sembra che gli osservatori siano molto più allarmati dell’amministrazione Obama. Alla Casa Bianca la linea dura non mi sembra presa in considerazione molto seriamente. La crisi si potrebbe peraltro presto risolvere da sola. La borsa di Mosca e i titoli delle maggiori compagnie petrolifere sono crollati dall’inizio delle operazioni in Crimea e la minaccia delle sanzioni internazionali mette paura ad un’economia che, come già detto, sta dimostrando alcune fragilità.


Molto rumore per nulla, forse. Ma la minaccia dell’uso della forza, la proiezione di potenza e il ricatto non sono strategie nuove al Cremlino. Ci aveva già avvertito Kennan quasi settant’anni fa.

Valerio Vignoli

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