Se dovessi riassumere
l'ultima settimana politica ad un amico che è stato su un'isola
deserta, gli direi che ho una notizia buona e due cattive. Quella
cattiva è che con il terzo premier non uscito come capo della
coalizione vincente alle elezioni in due anni e mezzo il sistema di
governo italiano può essere dichiarato ufficialmente inefficiente.
Quella buona è che il nuovo premier è l'unico uomo con la
credibilità e il polso per riformare questo sistema malato. La
seconda cattiva però è che la manovra da Prima Repubblica che lo ha
portato al Governo può essergli costata una buona parte di quella
credibilità.
È difficile mantenere un
approccio distaccato alla questione: l'Italia è un popolo di tifosi,
e Matteo Renzi è il classico personaggio che è o amato, o odiato. È
sbagliato, sbagliatissimo, ma è così. Ma la manovra che ha permesso
la staffetta con Enrico Letta ha fatto tentennare molti sostenitori
del Sindaco di Firenze. Se ti presenti come l'uomo nuovo, estraneo
all'attuale classe dirigente e ai disastri che ha fatto, fautore di
una politica più chiara, più moderna e più europea non puoi
completare la tua salita al potere con un trucco da vecchia DC. La
coerenza in politica è sopravvalutata (la gente ha la memoria troppo
corta) e quel po' di morale che rimaneva, se c'era, è stata fatta a
brandelli da vent'anni di berlusconismo. Per questo ho sempre girato
un po' alla larga dai giudizi assoluti sull'uomo Matteo Renzi, ho
preferito guardare al politico. Il politico Matteo Renzi aveva un
piano, neanche troppo velato, che da Sindaco lo avrebbe portato ad
essere prima Segretario del Partito Democratico e poi Premier. Tutto
stava procedendo secondo questo piano, era assolutamente prevedibile
che lui sarebbe stato il prossimo Capo del Governo, forte di un
consenso trasversale e anche un po', perdonatemi, post-ideologico.
Per arrivare a Palazzo Chigi però bisogna vincere le elezioni, e per
vincere le elezioni bisogna fare una nuova legge elettorale siccome
quella vigente è stata dichiarata parzialmente incostituzionale
dalla Corte dopo otto (!) anni dalla sua attuazione, ed è a questo
punto che salta qualcosa nel piano perfetto. La riforma della legge
elettorale è sul tavolo della politica italiana da almeno 2-3 anni,
cioè da quando la crisi economica ha finalmente messo fine alla
bugia berlusconiana. Come si sa in quei vent'anni tutto andava
benissimo, l'apparenza veniva anni luce prima della sostanza e non
c'era nulla di cui preoccuparsi, nemmeno nulla di cui informarsi (la
nostra economia va a gonfie vele, siamo tutti ricchissimi, quindi
chissenefrega della politica) pertanto anche una legge elettorale
definita “una porcata” persino dal suo steso autore andava
benissimo.
Una volta finito il lungo sogno questa classe politica,
espressione di un popolo che evidentemente se si trova in questa
misera condizione qualche responsabilità ce l'ha, si è dimostrata
incapace di formulare una nuova legge elettorale accettabile dal
momento che ogni partito segue i propri interessi e non c'è né il
modo né una forte volontà di arrivare in fondo. E nemmeno l'umiltà
di ascoltare i massimi esperti in materia, i maggiori politologi
italiani che ormai da anni sostengono invano il semplice ma
estremamente efficace maggioritario a doppio turno, il sistema
francese per intenderci. Renzi, va detto, dal primo giorno da
Segretario del PD ha provato a superare questo ostacolo che sembrava
insormontabile. E va anche detto che fino ad allora Letta non pareva
essersi adoperato molto per questa legge che avrebbe messo il paese
nelle condizioni di tornare a votare e lui di essere messo da parte.
Come risaputo, il PD da solo non ha i numeri per fare questa riforma
e comunque è giusto che una legge così importante sia condivisa
anche dagli altri partiti. I primi tentativi di dialogo Renzi ha
provato a farli, illuso, col Movimento 5 Stelle. La lista con le tre
proposte magari non era il massimo ma il leader Beppe Grillo con la
solita assenza di senso di responsabilità non ha esitato a rifiutare
qualsiasi tipo di collaborazione, dal momento che ogni fallimento dei
partiti tradizionali è linfa vitale per il suo movimento.
A quel punto l'unico
altro interlocutore possibile era il Cavaliere. Andare a trattare un
argomento così importante con il condannato Silvio Berlusconi non è
una prospettiva allettante né tanto meno la strategia che ti fa fare
un figurone, ma era l'unico interlocutore possibile e non è colpa di
Renzi se gli elettori e i dirigenti di Forza Italia continuano a
riconoscere quell'uomo come loro leader. L'ipotesi di legge che ne è
uscita, l'Italicum, si può considerare solo di poco migliore del
Porcellum, mantiene un premio di maggioranza spropositato e prevede
un doppio turno nel caso (quasi scontato in questo periodo storico)
che non si raggiunga il 37%. Questo doppio turno sicuramente
garantisce maggiore approvazione ma è ancora configurato per le
coalizioni, quindi lascia in balia dei ricatti dei partiti minori e
non esprime un leader condiviso ma solo una coalizione vincente. È
curioso come, di tutte le critiche che si potevano muovere, i contrari a
prescindere a questa legge abbiano insistito quasi unicamente sulle
preferenze, ripudiate a furor di popolo una ventina di anni orsono
proprio da molti di quelli che in questi anni sono stati incapaci di
attuare questa riforma e che ora vedono le preferenze come ultimo
baluardo della democrazia. Oltre a questo, il risultato di una
contrattazione politica con Berlusconi non poteva che essere
mediocre, il resto è stato fatto dalle faide interne al Partito
Democratico, l'unico partito dove anche se stravinci le primarie devi
comunque rendere conto ad una vecchia dirigenza che non si stanca mai
di fare danni al suo stesso partito, e dalle centinaia di emendamenti
che hanno di fatto bloccato la proposta di legge in Parlamento, molti
dei quali tra l'altro presentati dagli stessi parlamentari PD che
dovranno votare la fiducia al nuovo premier.
Ma anche questa ulteriore
prova di inefficienza istituzionale è insufficiente a giustificare
la scelta di Matteo Renzi di aggirare, almeno per ora, le urne. Non
più di dieci giorni fa ha proclamato platealmente l'intenzione di
non fare le scarpe a Enrico Letta, ha rinnegato un'altra volta le
larghe intese e garantito massima collaborazione al Governo.
D'accordo che la gente ha la memoria corta, ma non fino a questo
punto. Inoltre non c'è nemmeno stato un evento che giustificasse una
crisi di Governo, ma solo una scelta dall'alto. In questo modo si
alimenta la sfiducia e si scatenano i populismi. Ancora una volta il
M5S riceve un generosissimo regalo da sinistra. E anche il Presidente
della Repubblica Napolitano non esce benissimo da questa storia, tra
l'altro nella settimana in cui sono emerse curiose teorie
complottistiche che hanno coinvolto proprio il PdR. Cose
divertentissime alle quali è difficile pensare che qualcuno possa
credere, ma così è. In un contesto dove due delle tre principali
forze politiche sono di marcato stampo populista, la sfiducia è
coltivata con cura e metodo, e il popolo italiano, si sa, ama farsi
imbonire dai grandi oratori e capipopolo. Tolto questo, Napolitano
paga la scelta di avere creduto nel governo Letta. Non aveva altra
scelta quando è stato tirato per la giacca alla rielezione come PdR
dopo che aveva detto di no in tutti modi possibili. Ci ha messo la
faccia con grande senso di responsabilità per salvare una classe
dirigente ridicola, ma avrebbe dovuto porre obiettivi specifici e
termini definiti a quell'aborto di maggioranza che si era creata. So
che nei paesi moderni e civili come la Germania le larghe intese sono
la normalità e funzionano benissimo, ma dobbiamo ammettere a noi
stessi che l'Italia in questo momento non è un paese né moderno né
civile. L'unica cosa degna di nota che è riuscito a fare Enrico
Letta è stata quella di liberarsi dal ricatto di Berlusconi,
riuscendo a comporre una maggioranza anche senza FI, ma proprio
perché riuscito a liberarsi della zavorra aveva il dovere di andare
fino in fondo con le riforme, mentre si è contraddistinto solo per
un immobilismo quasi imbarazzante e per le figuracce dei suoi
ministri. Non lo rimpiangeremo. Purtroppo però, la maggioranza che
Renzi va ad ereditare è la stessa del suo predecessore, quella con
Alfano e con le spoglie di Scelta Civica. Difficile lavorare bene con
questi collaboratori. Anche la maggioranza dei parlamentari PD che
dovranno dargli la fiducia non appartengono alla sua corrente. In un
partito come questo significa compromessi, veti incrociati, accordi
segreti. Tutto ciò comporta poca libertà di manovra per il Sindaco
di Firenze, che non avrà vita facile a proporre riforme e
rinnovamenti ad una maggioranza che è parsa interessata soprattutto
all'autoconservazione e che con questa staffetta avrà perso molta di
quella forza politica che un grande consenso popolare gli garantiva.
Qualche giorno fa
Panebianco faceva notare come in questa stagione di larghe intese il
sacrificio della rappresentanza a favore della governabilità abbia
prodotto un effetto inverso, dal momento che la sfiducia nelle
istituzioni prodotta dall'assenza di rappresentanza ha portato solo
ostacoli alla governabilità. Questa sfiducia però è la base del
programma dei vari partiti come Movimento Cinque Stelle in primis,
poi Forza Italia che nonostante anni e anni di maggioranza ha sempre
saputo mantenere il carattere populista delle minoranze, Lega Nord,
Sinistra Ecologia e Libertà. Dovrebbe essere l'opposizione la prima
a promuovere riforme e innovamenti, e la maggioranza dovrebbe avere
come priorità l'interesse del paese, a costo di essere la prima a
sacrificarsi. In Italia questo non succede. In Italia le opposizioni
non hanno nessun interesse a cambiare le cose poiché è molto più
conveniente incanalare verso di se la rabbia e il malcontento. Renzi
vorrebbe farlo ma questa volta l'ambizione e la fretta gli hanno
fatto fare un brutto errore, uno di quegli errori che rischi di
pagare caro e che fanno crescere ulteriormente la sfiducia di cui
sopra.
Ora, la cosa più
importante da fare è trovare un sistema di governo efficiente. Non
si tratta solo di una nuova legge elettorale, questa staffetta ha
dimostrato che è necessaria una riforma della Costituzione, che il
bicameralismo perfetto più che una garanzia è diventato una
zavorra, che si dovrebbe almeno discutere di semi-presidenzialismo,
dal momento che di fatto stiamo andando verso quella direzione. Sono
molto scettico, l'Italia è un paese irrimediabilmente conservatore,
alcuni lo sono per convenienza, altri per attitudine. Quelli per
convenienza sono quelli che perderebbero consensi se le cose
iniziassero a migliorare. Quelli per attitudine ad esempio si
lamentano, giustamente, del modo in cui Matteo Renzi è diventato
premier, ma sono gli stessi che “la nostra Costituzione è la più
bella del mondo e non si tocca”, sono gli eterni indignati contrari
a prescindere ad ogni rinnovamento. In mezzo a tutto questo il nuovo
Governo nasce con ambizioni altissime e obiettivi smisurati, ma anche
con il sospetto che il suo leader non abbia saputo aspettare il suo
momento naturale ma abbia imprudentemente forzato la situazione
apparendo, ahinoi, troppo simile ai suoi predecessori.
Fabrizio Mezzanotte
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