THREE MOVEMENTS, II- un viaggio che per motivi di decenza ho dovuto dividere in tre parti, ma che andrebbe letto nel modo più fluido possibile.
Cos'abbiamo imparato la volta scorsa?
Niente, a quanto pare, visto che siamo di nuovo qui.
A parte questo, abbiamo visto come si può descrivere (o descrivere secondo l'arte, cioè ritrarre) una persona (Zidane, nel caso di persona altra o, nel caso di se stessi, Montaigne) dispiegando il ritratto nel tempo ma, in qualche maniera, in modo unitario.
A parte questo, abbiamo visto come si può descrivere (o descrivere secondo l'arte, cioè ritrarre) una persona (Zidane, nel caso di persona altra o, nel caso di se stessi, Montaigne) dispiegando il ritratto nel tempo ma, in qualche maniera, in modo unitario.
Questi discorsi mi
portano alla mente anche altro, sempre a metà fra arti visive e pop
music. Paul Cézanne ha dipinto più volte lo stesso soggetto, in
particolare un paesaggio, la montagna Sainte-Victoire. Precisamente,
l'ha dipinta almeno una trentina di volte. Non mi interessa il modo in cui l'ha fatto, cioè la tecnica, né le singole differenze
fra le varie versioni, che una sia più arancione o l'altra più blu.
La domanda è, prima di tutto: perché? Was he scared? / Was he bored? Non erano certamente prove per una
supposta versione finale, magari sincretica di tutte le altre (è
persino difficile concepire qualcosa del genere, un po' come il
fatto che Renzi sia a capo di un partito di sinistra). Né, a mio
parere – qui le mie lacune in storia dell'arte potrebbe tornare a
galla clamorosamente- l'ha fatto per sperimentare sulla
stessa veduta in differenti condizioni ambientali – più luce, più
ombre, angolazioni diverse eccetera. Il motivo è bensì sfidare il
principio di rappresentazione e il concetto di mimesi nell'arte
pittorica. Mi spiego: si fa pittura mimetica quando si cerca di
imitare (o, anche se i due concetti non coincidono, di rappresentare
oggettivamente) la realtà. Quei disegni iperrealistici che vanno
forte su 9GAG, talmente ben fatti da sembrare fotografie, sono un
caso peculiare e moderno della cosa, ma pienamente
esemplificativo.
Un esempio par
excellence di tecnica rappresentativa è quella della prospettiva
geometrica, che si definisce rozzamente come “dare conto della
terza dimensione, sive la profondità, sulle due dimensioni
dell'immagine, al fine di essere più fedeli alla realtà, visto che
noi nella terza dimensione ci sguazziamo di continuo, a meno che non
viviate in Flatlandia”. Come il grande storico dell'arte e della
scienza Erwin Panofsky ha fatto notare, il successo di questa tecnica
di rappresentazione è storicamente determinato (leggi: una lunga
serie di raccomandazioni e magheggi dei poteri forti) e non è quindi da ritenersi costitutivamente
migliore di altre quanto a “vicinanza” alla realtà. Perché?
Perché noi, se attiviamo quel poco di autoanalisi che ancora non ci
hanno tolto, non esperiamo la realtà in quella maniera. Voglio
dire, il nostro guardare non è il guardare secondo la prospettiva
geometrica, come se guardassimo le cose e il mondo tutto da un
punticino isolato (e privilegiato) rispetto al resto, tipo Google
Maps. Il modo in cui usiamo il senso della vista, in cui facciamo
esperienza delle cose tramite esso, semmai assomiglia di più a
Street View: a trecentosessanta gradi, deformato sfericamente agli
angoli – una vista che si 'sporca le mani' con tutto ciò che è
altro. (come peraltro ben sapeva Federico Duca di Montefeltro, aka se chiudete l'occhio sinistro improvvisamente vi troverete a vedervi il naso a destra, e viceversa; pensa un po' vedersi il naso normalmente, è tipo le colonne d'Ercole della visione binoculare).
Cézanne, secondo il
filosofo Merleau-Ponty (uno spesso misconosciuto ma che la sapeva
certamente lunga, morto prematuramente di coccolone perché
mentre leggeva la Diottrica di Cartesio), come anche più
avanti Paul Klee e altri, tentava di dar conto di questa faccenda,
con la sua pittura. E, date queste premesse, la scelta di
rappresentare diverse volte la veduta della Sainte-Victoire, è
estremamente significativa, perché scegliere di ritrarre lo stesso
'oggetto' più volte (senza mai farlo “uguale”) vuol dire voler
mostrare che non esiste un 'oggetto' passivo rispetto al processo di
conoscenza da parte di un 'soggetto'. È
un'opposizione vecchia e sbagliata, dice Merlot
Merleau-Ponty. La cosa è invece in questi termini: il
soggetto si sporca sempre le mani (o in questo caso gli occhi) con
quello con cui ha a che fare e ne è a sua volta influenzato.
L'esperienza percipiente è per sua natura ambigua e double face,
come quell'orrenda canotta sportiva che avevate da piccoli. La
Sainte-Victorie ti guarda, mentre la guardi, essa non è passiva alla tua
visione (vale lo stesso per i vestiti brutti ma economici: ti
guardano, ti tentano e nel buio ti incatenano).
È
per questo che ha senso dipingerla più e più volte: io non
sarò mai lo stesso e lei non sarà mai la stessa. La raccolta di
Sainte-Victoires può essere intesa come una somma parziale che
concorre a comporre un ritratto di un oggetto solo: nessuna sarà mai
lontanamente esaustiva considerata singolarmente, ma neppure
dipingendone una al giorno potrò mai raggiungere una totalità finita (nel senso di conclusa) di che cosa “è” la Sainte-Victoire. A questo proposito,
trovo una forte analogia fra una delle versione di Cézanne della montagna e una inquadratura del ritratto
del 21mo secolo di Zidane o un singolo saggio degli Essais
montaignani.
Riposatevi in questa settimana d'attesa, perché il pezzo conclusivo sarà bello pregno (la pop music che ho promesso alla prima riga arriverà lì). Qui, una foto della Sainte-Victoire. Qui, di nuovo, la prima parte di Three Movements.
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