A Kiev non c'è più un posto sicuro dove stare - Abbiamo una primavera ucraina?

“Non ci sono più luoghi sicuri nel centro di Kiev”. Questa è stata l’espressione usata dall’inviato in Ucraina de “La Repubblica” Lombardozzi per descrivere come la contesa tra il presidente ucraino Victor Janukovich e i dimostranti anti-governativi e filo-europeisti sia ormai letteralmente scivolata dal campo delle proteste pacifiche allo scontro armato vero e proprio. Alla tregua imposta dalle due fazioni contendenti non credeva praticamente nessuno; perfino i leader moderati dell’opposizione, tra i quali l’ex pugile Vitali Klitschko, avevano avvertito e affermano in queste ore caldissime della battaglia di Kiev, che “è molto difficile tenere sotto controllo la situazione”. 



Infatti nel cuore di Kiev è in atto da giorni un reale stato di guerra: cecchini sui tetti (militari, ma anche esponenti nazionalisti?), cadaveri di entrambi gli schieramenti disposti lungo i marciapiedi, molotov, assalti ai centri del potere, occupazione di palazzi governativi e prese in ostaggio di forze di polizia. Manca solo la legge marziale? Forse quella non tarderà ad arrivare, visto che Janukovich ha sostituito il capo di stato maggiore, probabilmente per via della pressione fatta dall'esercito per ristabilire al più presto l’ordine e la sicurezza; per il momento i servizi di sicurezza hanno annunciato l’avvio a tappeto di vere e proprie operazioni di anti-terrorismo. 

Nel marasma della situazione ucraina sembra si inserisca, come da qualche anno a questa parte, la quasi incapacità dell’Unione Europea e degli Stati Uniti di giocare un ruolo effettivamente attivo nella risoluzione della crisi. L’amministrazione Obama considera effettivamente sanzioni, come bloccare i visti di ingresso negli USA a venti soggetti in vista dell’amministrazione ucraina? Per quanto riguarda la lontananza dell’Europa da Kiev, mi sembra che come sempre l’Unione reciti la parte del soggetto che fa tanto rumore per nulla, perché tanto nessuno la prende come una minaccia seria. Ancora una volta sembra che in tutto ciò la parte del leone la stia facendo la Russia di Vladimir Putin, deciso ad ogni costo ad evitare che il governo ucraino si allontani dalla sfera di influenza politico-economica di Mosca. Il governo di Mosca difende a denti stretti l’operato dello storico alleato Janukovich, il quale proprio con la rinuncia ad un accordo economico con l’UE in virtù di un rafforzamento della partnership con la Russia ha scatenato l’ondata di proteste dell’opposizione, la quale chiede un allontanamento netto dalla morsa dell’antico dominatore russo a favore di un processo di integrazione in Europa e di una società più libera e democratica. 

Secondo Putin, quello in atto è un vero e proprio tentativo di colpo di stato attuato dalle frange estreme del nazionalismo ucraino, e i media russi sotto controllo del governo stanno scatenando una vera e propria battaglia contro le proteste in corso. Putin non è disposto a tollerare le eventuali dimissioni del presidente ucraino, e probabilmente teme che l’instaurazione di un governo europeista, con la conseguente vittoria delle opposizioni, crei una sorta di effetto domino facendo rinascere un focolaio di proteste proprio nella stessa Russia, dove nel 2012 Putin uscì indenne dalle proteste di piazza contro la sua candidatura alle presidenziali e alla successiva rielezione. Sembra però che nell’escalation delle violenze degli ultimi giorni la parte moderata dei movimenti filo-europeisti abbia perso letteralmente il controllo della situazioni: gli scontri di piazza e gli assalti ai palazzi del potere sono ormai in mano a vere e proprie formazioni paramilitari dell’estrema destra ucraina, decise a rinunciare a qualsiasi tentativo di dialogo e tregua e pronte ad ottenere le dimissioni del governo e del presidente a suon di armi. 

Probabilmente, in questo momento della protesta, il paragone può risultare giustamente scomodo, ma si vedono alcune analogie con le “primavere arabe”: inizio scandito da proteste di massa pacifiche seguito poi da una radicalizzazione dello scontro, dove le forze moderate vengono messe in ombra a scapito delle frange nazionaliste ed estreme, armate e meglio organizzate, le quali cavalcano con slogan populistici la rabbia popolare, divenendo uno degli attori principali nel conflitto. Tutto ciò, come hanno fatto vedere gli ultimi eventi, ha portato ad una sorta di fallimento ideologico delle rivolte mediorientali. Sarà così anche per la “primavera ucraina”?

Mattia Temporin

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