Un folk-punk sanguigno,
condito da riff seducenti e ossessivi, ruggenti tamburi arrembanti,
d’assalto. Un immaginario da neorealismo proletario, zaino in
spalle e andate tutti a quel paese, senza ombra di retorica o
melodramma, zeppo di ironia amara, iconoclastia, slanci di metafisica
e pillole di nichilismo balneare. Otto album (dieci se consideriamo i
progetti solisti) ed un Ep all’attivo, quasi quindici anni di
onorata carriera e più di mille concerti. Questo (e molto altro)
sono gli Zen Circus, band pisana che ha inesorabilmente scalato i
gradini dell'indie-rock italiano diventando una delle band più
acclamate della propria generazione e un marchio di garanzia per
serate riuscite.
Andrea
Appino (voce, chitarra e tastiere) ha davvero molte storie da
raccontare, tanto come frontman della band toscana quanto per quanto
riguarda la sua esperienza da solista. I suoi testi non sono conditi
da facili slogan, ma si srotolano in ragionati resoconti
metropolitani dei nostri tempi così crudi e cementificati, narrati
in maniera densa e personale. È forse a causa (o per merito) della
loro ironia brutale, tagliente, spietata (e geniale!) che gli Zen
Circus rimangono un piacere di nicchia, è innegabile che manchi
l’appeal scialbo e rassicurante delle canzonette spensierate alla
Jovanotti che tendono a scalare vertiginosamente le classifiche e gli
ascolti.
Avete mai visto gli Zen
Circus in concerto? L’estate scorsa, quando ancora l’argomento
“tesi” era uno spauracchio lontano e remoto, come la menopausa o
la fine di questo glorioso pacco di biscotti, quando la temperatura
climatica estiva bolognese era ancora ancora sopportabile e non ti
sembrava di essere imprigionata sotto l’ascella sudaticcia di un
ciccione, quando, insomma, ero meno acida, cinica e meno propensa a
pensare alle foibe come a, tutto sommato, una buona idea, gli Zen
hanno suonato a offerta libera (leggi: gratis) in Vicolo Bolognetti a Bologna e
io mi sono scapicollata a vederli. Ero con tre miei compagni di corso
e uno di loro, a un certo punto, ha cominciato a manifestare un
disperato bisogno di prendere un trancio di pizza, girare intorno al
Nettuno e poi tornare indietro, motivo per cui abbiamo perso gran
parte del concerto (e la pizza non gli andata neppure di traverso).
Ciò nonostante, mi ricordo quella serata come una delle più belle
che abbia mai passato: la notte decisamente più nera di Obama, il
mio amico che rideva e ballava sguaiatamente, come se non lo stesse
guardando nessuno, la birra Bear tiepida e sgasata, ma con quel
sapore frizzante speciale che ha tutto quello che riesci a portarti
di straforo e soprattutto i testi delle canzoni: ironici, taglienti,
incredibili.
Andrea Appino, Karin Qqru e Massimiliano "Ufo" Schiavelli: gli Zen Circus |
Il brano su cui oggi
intendo scrivere la mia recensione è stato presentato sulla pagina
Facebook della band come “un piccolo vademecum ironico (ed
autoironico) su come scrivere il testo di una canzone indipendente
oggi”. Il fatto che questa canzoni si intitoli “il nulla” (3
febbraio 2015, due minuti e sedici secondi) è una feroce frecciatina
all’esuberanza di stimoli, alle facili velleità pseudo
intellettuali, alla facile logica secondo cui qualsiasi notizia
insulsa, qualsiasi cazzata diventa un evento alla cui continua ed
esasperante esposizione non è possibile sottrarsi.
Chitarre furiose, qualche
accenno di elettronica, una denuncia punk-folk del nostro vuoto
generazionale,
e di nuovo a cercare
parole
qualcosa da dire che
possa stupire
la frase da urlare che
faccia pensare
poi anche ballare i
biglietti staccare
una crisi d'identità,
il nulla
e poi ammicchi alla
gioventù, il nulla
questa ricchissima
povertà, il nulla
Non siamo più in grado di
sentire gli alti e i bassi, non abbiamo uno scopo né qualcosa verso
cui camminare con fede cieca, siamo persi, atomizzati, sparpagliati
in un mondo fittizio, di social network, cibo di plastica e immagini
edulcorate. Non possiamo mai completamente sottrarci
all'esposizione, fittizia e ridondante, dei fatti degli altri, e
questo non fa che accrescere il desiderio di ciascuno di farsi, come direbbero i The Pills, i cazzi propri e di pensare al “nulla”.
Il tema della crisi di
identità è centrale in questo momento storico, che ci costringe a
saltellare sull'orlo di un baratro profondo e nero di insicurezze,
parole vuote, occhiate vacue e troppo cinismo. Ridimensiona le tue
aspirazioni, lascia perdere i tuoi studi: consegna il curriculum
vitae alla Coop, poi ingoia i tuoi principi e portalo anche da
McDonald’s. Non ho nessuna fretta di finire di studiare, perché ho
come la sensazione che un buco nero di frustrazione e di sogni non
realizzati mi inghiottirà e potrò vincere finalmente le Olimpiadi
del Cinismo. Che bello.
l'Italia e la crisi la
televisione
e una citazione da un’
altra canzone
che non fa più rima
con generazione
scrivi della felicità,
il nulla
ed il lavoro che non
c’è più, il nulla
una qualche modernità,
il nulla
In tutto questo, come
evitiamo di infilare la faccia nel frullatore? Come possiamo fare per
posticipare il più possibile il momento in cui decideremo di seguire
l’esempio della Cristoforetti e filarcela nello spazio? La
risposta, nichilista (o nietzscheana, volendo), è sempre la
stessa: riderci su. Una risata ci seppellirà, il senso non esiste, e
comunque vada non ne usciremo vivi. Tanto vale divertirsi un po’.
sarà che sto
diventando vecchio
ma più mi guardo allo
specchio
e più ci rido su.
Sofia Torre
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