Da soli a casa nostra

Mercoledì 15 luglio, a Quinto di Treviso, comune con poco meno di diecimila abitanti in provincia di Treviso, ci sono state forti proteste e violenze da parte di alcuni residenti contrari alla decisione del prefetto di trasferire 101 immigrati, richiedenti asilo, in trenta appartamenti della zona che da anni sono inabitati. 
La reazione degli abitanti è stata veloce e da subito violenta, con picchetti, incendi di materassi televisori e mobili, presidi diurni e notturni, con i militanti di Forza Nuova che si sono presi la responsabilità di affiancare i cittadini in protesta e che si sono resi colpevoli del ferimento di una persona, il portinaio della palazzina in cui sono stati portati i 101 immigrati. 
Sul posto è giunto nella giornata di giovedì anche il Governatore del Veneto Luca Zaia, il quale si è immediatamente schierato dalla parte dei cittadini di Quinto, lodandone il coraggio e la presa di posizione, dimenticandosi però che la violenza non dovrebbe mai essere giustificata.
Anche il leader e segretario del Carroccio Matteo Salvini ha espresso tutta la sua solidarietà ai residenti, promettendo una sua visita per la giornata di sabato. 
Intanto venerdì 17 luglio, il Prefetto della provincia di Treviso ha deciso di spostare gli immigrati nell’ex caserma militare “Serena” vicino al capoluogo, dato che la situazione stava assumendo pieghe troppo pericolose da poter essere gestite. I richiedenti asilo hanno dovuto quindi abbandonare i 30 appartamenti a loro destinati. 


Casale San Nicola è invece un quartiere della periferia Nord di Roma, e anche qui, come a Quinto di Treviso, nella giornata di venerdì si sono verificati tafferugli e scontri tra residenti e polizia davanti all’ex scuola del quartiere “Socrate” che avrebbe dovuto ospitare un nutrito gruppo di profughi, circa un centinaio in tutto. 
I residenti, aiutati da esponenti di Casa Pound, hanno cercato, invano, di impedire l’accesso dei profughi alla scuola, ferendo quattordici agenti della polizia e bruciando balle di fieno e diversi cassonetti dell’immondizia lungo la strada in segno di protesta. Due sono stati gli arrestati tra i manifestanti. 
I profughi sono comunque riusciti a entrare nell’ex scuola, ma il comitato dei residenti ha già fatto sapere che non si arrenderà tanto facilmente, e che continuerà la battaglia contro la decisione del prefetto di Roma. 
Nei giorni precedenti agli scontri era stato fatto un tentativo per sbloccare una situazione che si pensava potesse essere delicata, facendo un’offerta al comitato dei residenti per poter far arrivare i profughi nel quartiere: sessanta invece che cento. Il comitato si è opposto anche a quest’ultima proposta andando avanti per la propria strada e preferendo agire di persona come di fatti è accaduto. 


Questa è la situazione che si sta vivendo in Italia, nel luglio 2015. 
Siamo arrivati in un momento storico-politico-economico-culturale nel quale l’esasperazione ha raggiunto picchi elevatissimi, e che lo “stare bene” sta diventando un concetto sempre più singolare e personale, e in termini più ampi, nazionale.  
Le azioni dei residenti dei due quartieri di Roma e Quarto di Treviso sono assolutamente da condannare, come è da condannare il modus operandi che il nostro Governo sta attuando nella gestione degli immigrati. 
Ma certi fatti non trovano e non devono mai trovare giustificazione e comprensione in nessun modo, cosa che invece avviene e sta avvenendo in queste ore.  
Se dovessi criticare la scelta dei residenti, nei due casi sopracitati, ci sarebbe sicuramente qualcuno che mi darebbe del buonista e dell’irreale, mi direbbe che sono un radical chic che ha sempre vissuto in una villa con piscina e che ha in garage almeno due ferrari e che non sa cosa vuol dire prendere un treno o un autobus, o che quantomeno di profughi ne ha sentito solo parlare. Poi in un secondo momento mi farebbe due domande molto in voga in questo periodo: ma lo sai che manteniamo questi immigrati con i nostri soldi? Se sei dalla loro parte perché allora non li ospiti a casa tua? 
Partiamo dal presupposto che non sono né un buonista né un irreale e né tantomeno un radical chic, e non ho né una piscina né una ferrari, e che ho preso abbastanza mezzi di trasporto in diversi orari del giorno e della notte e anche in svariate città.  
Per quanto riguarda la risposta alla prima domanda, invece, bisognerebbe ricordare, ma soprattutto sapere, che le tasse vengono pagate da noi cittadini essenzialmente per due motivi: il primo è per avere in cambio dei servizi, quali possono essere strade, istruzione, sanità e quant’altro; il secondo è per far si che esse vengano utilizzate per affrontare dei problemi nel qual caso essi dovessero palesarsi nel nostro Paese. 
Mi spiego meglio. 
Noi paghiamo le tasse non solo per avere un tornaconto in termini di servizi, ma affinché lo Stato si prodighi nell’utilizzare quei soldi da noi versati per far fronte a problematiche non ipotizzabili in un dato momento, ma che potrebbero esserci in un tempo futuro, ma anche in uno presente. 
Si, noi paghiamo le tasse per affrontare il problema dei campi Rom, per quello dei profughi, per combattere la mafia, la microcriminalità, per affrontare i danni di terremoti e allagamenti e, the last but not the least, per sconfiggere corruzione ed evasione. 
Perché dovrei pagare migliaia di agenti di polizia, di commissioni, di pool, di giudici, di avvocati intenti a combattere la mafia quando essa è il più lontano possibile dalla mia realtà? Io non sono un mafioso, e questo è un problema che fortunatamente, e per il momento (never say never), non mi tocca in prima persona,  e quindi, ripercorrendo lo stesso pensiero fatto con i profughi, non sarei tenuto a provvederne come cittadino. 
Oppure perché dovrei aiutare un terremotato visto che io non lo sono? Potrei essere egoista oppure no, ma la mia natura non potrebbe e non dovrebbe diventare versatile nel caso in cui abbia davanti un cittadino italiano oppure no. 

Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che i terremotati e gli allagati sono italiani, pagano le tasse in Italia e per questo motivo dovrebbero avere un trattamento migliore rispetto agli ultimi arrivati. Vero, le tasse le pagano gli italiani, non i profughi, ma è anche vero che il punto di partenza e le politiche assistenziali sono ben diverse tra loro e non sussiste alcun metro di paragone accettabile. 

La risposta alla seconda domanda è invece molto più delicata, non tanto in quanto a complessità, ma in quanto viene fatta da un imbecille. 
Sì. l’imbecille, scusate ma non ho saputo trovare definizione più velata, con questa domanda non fa altro che divagare sul tema che si sta affrontando, scaricando colpe e responsabilità su altri. 
Di solito a questa domanda non si dovrebbe rispondere, per un senso di educazione e di rispetto, ma ormai il tempo del “passarci sopra” è finito da un pezzo. 
Io non li prendo a casa mia perché non sono abbastanza presuntuoso da pensare di risolvere da solo un problema così grande, perché pago già delle tasse che devono far fronte a situazioni di emergenza come questa. 
Non li ospito a casa mia perché è lo Stato che deve avere l’incarico di farlo, con strutture adeguate, con politiche mirate ed efficaci e con una gestione migliore dell’emergenza. 
Non ospito profughi a casa mia perché allo stesso modo non ho ospitato tutti quegli italiani rimasti vittime di terremoti e inondazioni e non essendo “razzista”, come dicono tutti quelli che pongono questa domanda, non capisco perché debba favorire qualcuno al posto di qualcun altro . 
Detto questo, però, si deve prestare attenzione all’uso scriteriato di buonismo, di apertura totale delle frontiere, di esaltazione scriteriata del melting pot, di rispetto politicamente corretto ma a volte suicida di tutte le culture. Ma alla larga ancora di più dal razzismo, dall’ombra della xenofobia che persiste in una società che ha rimosso una parte del suo passato. Certo, un paese è di chi lo abita, lo ha costruito, lo ha modellato su misura della sua storia, dei suoi costumi, delle sue convinzioni politiche e religiose. Ogni popolo ha il diritto di decidere, per mantenere l’equilibrio a suo parere corretto, se far entrare nuovi ospiti e quanti. Può arrivare persino a decidere una politica delle quote che privilegi questa  o quella componente. Ma bisogna essere attenti a non fare confusione. Una cosa è la legittima scelta di un paese di mantenere la propria dimensione, le proprie regole, i propri equilibri, un’altra è giocare con i sentimenti e le vite delle persone, differenziandole per colore della pelle e per provenienza. 

Concludo con una domanda: tutti gli imbecilli che hanno chiesto, chiedono e chiederanno a me e a quelli che la pensano come me quanti profughi abbiamo ospitato a casa nostra, quanti terremotati o allagati italiani hanno ospitato a casa loro?



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