Matteo Renzi e il referendum greco: sterile ambiguità o astuto pragmatismo?

Alla fine in Grecia ha (stra)vinto il “no” alla proposta dell'Eurogruppo del 25 giugno scorso con oltre il 62 per cento delle preferenze. Il popolo ellenico ha così rinnovato la fiducia al governo Tsipras e alla sua battaglia politica, prima ancora che economica, contro le ricette di austerità imposte dai creditori internazionali. Il fatto che la campagna per il sì fosse guidata dal vecchio establishment politico greco e supportata dai tecnocrati dell'Unione Europea, due attori quasi egualmente colpevoli dell'attuale crisi, di sicuro ha influito sull'esito. Tuttavia esso rimane un segnale importante e una preziosa carta da giocare nei prossimi giorni al tavolo delle trattative per il governo greco, alla ricerca di un accordo che preveda la ristrutturazione del debito. Proprio per massimizzare il valore negoziale del referendum, Yanis Varoufakis, il ministro delle finanze con la camicia fuori dai pantaloni, si è dimesso immediatamente. Come si evolverà ora la situazione non è dato saperlo. Persino molti dei protagonisti della vicenda, ad Atene come a Bruxelles, non hanno certezze riguardo alla via d'uscita da questa empasse che paralizza il vecchio continente. Dunque ogni speculazione da parte di noi comuni mortali appare vana e priva di senso.

Molto più sensata è invece un'analisi della posizione assunta dal governo italiano. Che poi significa la posizione ufficiale del Partito Democratico. Che poi significa la posizione di Matteo Renzi, uomo solo al comando nella penisola.

Inizialmente l'ex sindaco di Firenze si era posto come un rinnovatore in Europa, pur rimanendo in un contesto istituzionale. Fondamentalmente reclamava più flessibilità per i conti italiani, sempre nei limiti concessi dai parametri di Maastricht, e in cambio prometteva delle riforme tanto apprezzate dalla cancelliera Angela Merkel quanto in linea con il suo programma in stile terza via. Insomma anche noi abbiamo avuto la nostra piccola trattativa con la Commissione Europea, con annessa discreta dose di demonizzazione della tecnocrazia ad uso e consumo dell'opinione pubblica. Raggiunto l'obiettivo di un maggior margine di manovra sul deficit in congiunzione ad una azione espansiva da parte della BCE presieduta da Mario Draghi, la politica europea del nostro premier si è concentrata sulla richiesta di una solidarietà, in termini di costi e responsabilità, nell'affrontare l'emergenza immigrazione. I risultati al momento su questo frangente non si possono che definire mediocri ma c'era onestamente da aspettarlo.

Renzi regala ironicamente una cravatta a Tsipras-Fonte: ilfattoquotidiano.it
Intanto Alexis Tsipras, leader di Syriza, una formazione di sinistra radicale, prendeva il potere in Grecia con il chiaro intento di creare non pochi grattacapi agli inflessibili garanti del pareggio di bilancio. Teoricamente Roma e Atene avevano interessi similari nel contesto della UE. Era perfino auspicabile una sorta di coalizione mediterranea insieme a Portogallo, Spagna e, perché no, pure la Francia, per un definitivo riorientamento della politica economica europea a favore della crescita. Infatti, di primo acchito, Renzi e Tsipras, giovani premier divisi da solo un anno di età, si sono piaciuti, nonostante le significative differenze "ideologiche". Poi qualcosa si è rotto. Da una parte appunto il pragmatico Presidente del Consiglio italiano non era più interessato a discutere di questioni come deficit e debito. Riteneva che sarebbe stato controproducente irritare ulteriormente i suscettibili eurocrati: ci era già stato concesso il massimo considerata la nostra scarsa credibilità. Dall'altra parte anche il riottoso Primo Ministro greco ha le sue colpe. La sua strategia conflittuale (già sottolineata una settimana fa) e completamente solitaria non ha fatto proselitismo nelle altre capitali. I governi conservatori della penisola iberica hanno mostrato fin da subito insofferenza per Tsipras, reo di voler evitare di chiedere ai propri elettori gli stessi sacrifici che loro stanno continuando a chiedere. Hollande si è ricordato che l'asse franco-tedesco è prioritario e porta pure considerevoli benefici, soprattutto ora che è la Germania a tenere le redini del progetto d'integrazione europea. Così Renzi, con una mossa all'insegna della realpolitik, non se l'è proprio sentita di schierarsi con Tsipras, assumendo un atteggiamento prudente e augurandosi un compromesso politico tra le due parti.

Matteo Renzi a braccetto con Angela Merkel-Fonte: internazionale.it
Il compromesso non è stato ritenuto soddisfacente dall'esecutivo greco che ha deciso di interpellare il popolo. E allora è cominciato il complicato gioco di equilibrismo del segretario Dem. Le dichiarazioni rilasciate all'università Humboldt di Berlino ne sono un chiaro esempio. Frasi dal tono critico se non antagonistico come “Il referendum è una scelta molto azzardata”, “è un referendum politico: non tra crescita e austerità ma tra dracma ed Euro” e se Bruxelles o altre capitali ci mettono il naso è il più grande regalo che si può fare a Syriza.” hanno fatto il paio con dure prese di posizione contro le politiche dell'eurozona tipo “Come può essere capace di futuro una realtà che taglia?” e “Ciò che sta avvenendo in Grecia non è il paradigma della nuova Europa che abbiamo in mente”. Una linea evidentemente ambigua che è proseguita durante e dopo la consultazione, al netto della condanna nei confronti delle personalità politiche volate in Grecia a tifare per l'“oxi”. Una linea difficile da vendere all'opinione pubblica italiana che simpatizza palesemente con Tsipras. Una linea quasi impossibile da contrapporre nei talk show al più facilmente assimilabile euroscetticismo di Matteo Salvini e Beppe Grillo e al ritrovato orgoglio anti-liberista della (ex) minoranza PD. Di solito Renzi è attentissimo alla narrativa. La sua negligenza nella circostanza ci fa capire come la politica estera talvolta sfugga a condizionamenti domestici, imbrigliata com'è da altri fattori, più o meno razionali.

Al momento pare che il governo italiano si collochi tra le colombe all'interno del consiglio europeo che premono per una soluzione diplomatica rapida e per scongiurare l'uscita dalla Grecia dall'Euro. Penso che sia una soluzione molto più ragionevole rispetto a quella prospettata dei falchi, determinati ormai a sbarazzarsi di un paese piccolo, irrilevante ed indisciplinato. Se la dovesse mai spuntare Tsipras, con una parziale revisione del debito, il nostro premier non si farebbe però scrupoli a dare l'ennesima dimostrazione del suo personale (e del nostro nazionale) opportunismo, salendo nella maniera più sfacciata possibile sul carro del vincitore.

In passato mi è capitato di criticare la posizione del governo Renzi in Europa per la sua sostanziale inconsistenza. Non posso che registrare questa problematica anche sulla questione ellenica. Ma era difficile realisticamente (inteso come avverbio derivante tanto da "realismo" quanto da "realtà") attendersi un comportamento molto diverso. E forse in quest'occasione una certa ambiguità e vaghezza non sono state così deprecabili. In attesa di scenari migliori.

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