Sei immigrato? Sei vulnerabile? Allora il tuo destino è essere sfruttato

immigrazione mediterraneo

Quante volte sentiamo dire “gli immigrati vengono a rubarci il lavoro”? Tante purtroppo. E chi lo dice lo fa sulla base della scarsa informazione e scarsa circolazione del reale. È vero che il migrante arriva in Italia, è vero che taluni lavorano. Ma come lavorano qualcuno se lo chiede?
L’immigrato lavora perché vulnerabile, e perché vulnerabile può essere sfruttato. Questa situazione è lo specchio dell’economia fallimentare italiana. Mentre, prima, la situazione era circoscritta a diverse aree italiane ora riguarda tutta la penisola: dalla Sicilia al Piemonte. Ad esempio, a Vittoria in Sicilia vi è un area di sole serre. In quest’area vi lavorano oggi solo donne rumene e la situazione che si viene a creare è quella di una vera e propria segregazione e schiavitù. Schiavitù sì, perché come dichiarato dalla corte europea la schiavitù risponde a una situazione di mancanza totale di alternative e queste donne un alternativa non ce l’hanno. Sono imprigionate lì, ricattate, minacciate, pagate oltre il minimo salariale e talvolta anche violentate dai loro capi-padroni italiani. Non stiamo parlando di una realtà isolata e povera, ma di una realtà ricca e che deve essere conosciuta a tutti in quanto attiva tutto l’anno. 
A Rosarno, in Calabria, accade la stessa cosa, ma questa volta con lavoratori africani che non venivano solo sfruttati ma anche costantemente aggrediti dalle organizzazioni malavitose. Qui chi lavora si è dovuto costruire delle capanne-abitazioni in lamiera, plastica e cartone, perché l’unica risposta che il governo, attraverso la protezione civile è stato capace di dare è provvedere a rifornirli di tende, non adatte però a tenerli al caldo durante l’inverno. Ma non basta. A Foggia, per produrre il simbolo del Made in Italy: il pomodoro si lavora in condizioni di profondo sfruttamento, in una situazione di ghetto, di violenze e insulti, ma stavolta con i cittadini provenienti dall’est Europa. Ad Asti, così a Soluzzo in Piemonte situazione simile, con bulgari pronti a lavorare per la vendemmia e non pagati ed i quali prodotti vengono poi usati anche nell’export. 

Affinché tutto questa persista, è necessario un sistema pronto a giustificarlo e a mantenerlo perché più comodo. La capacità della commercializzazione della criminalità è altissima, il traffico di uomini è assurdo. Il contesto delle norme all’interno dell’UE è determinante nel processo di sfruttamento ed infatti il problema strutturale si basa su processi di deregolamentazione. Si favorisce un processo di nuovo lavoro povero, in alcuni casi precario, in altri gravemente sfruttato. Dal momento che devono essere raccolti un tot di prodotti in un lasso di tempo, se ci sono centinaia di ettari da raccogliere in 20 giorni, serve una quantità di manodopera tale che si crea il fenomeno del ghetto. Si stima che il lavoro sommerso nel settore agricolo sia di 400.000 lavoratori irregolari, senza diritti, di cui 100.000 esposti al grave sfruttamento e caporalato e che le maggiori nazionalità presenti siano a livello comunitario quella di Bulgaria, Romania e Polonia, mentre a livello extra comunitario Tunisia, Albania, India e Marocco. 
L’inchiesta che c’è a Nardò, in provincia di Lecce, sta dimostrando che la tratta interna è legata alla tratta internazionale. Ci sono delle intercettazioni che dimostrano e registrano tutto un passaggio della tratta interna, contatti locali che si sa possano far arrivare dal Nordafrica immigrati con un permesso di lavoro che si possono reputare falsi. Le varie organizzazioni di caporalato, organizzano la gestione della piattaforma lavorativa, trascinando quindi lavoratori da una parte all’altra dell’Italia per coltivare il prodotto della stagione. Ma questa è tutta una forma di servizi che si viene a creare solo se dietro vi è la totale omertà dello Stato Italiano. La direttiva Europea n 52, ratificata in Italia nel 2012 prevede un regime di tutela e protezione speciale per i lavoratori extracomunitari vittime di tratta e sfruttamento lavorativo. Il monitoraggio effettuato nel secondo rapporto dimostra però che tale norma è in gran parte disattesa. C’è la norma ma non gli strumenti di tutela economica. Per far sì che tutto questo enorme sistema corrotto venga alla luce e trovi a poco a poco la fine bisogna fare rete, integrare le azioni di tutela di questi lavorati, costruire rapporti di fiducia, tutelare i loro diritti. È necessario che lo spazio europeo si attivi a creare una legislazione e un’amministrazione più dura nel punire i trafficanti e i caporalati. La nostra economia, il nostro fallimento si basano solo su questo. Ma la colpa non è di chi arriva, la colpa è solo ed esclusivamente di chi sfrutta la situazione di vulnerabilità di alcuni, portando avanti processi di corruzione che funzionano grazie alla protezione dei poteri forti. 

Silvia Lazzari


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