Il Trattato di Amsterdam (1997) aveva introdotto la carica dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, inizialmente ricoperta da Javier Solana. È però il Trattato di Lisbona (2009) ad averne cambiato la denominazione in Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione Europea e ad averne ampliato le funzioni. L’Alto rappresentante ha il compito di coordinare la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e la Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC). Le sue funzioni sono molteplici, tra queste: presiedere il Consiglio Affari esteri (una delle formazioni in cui si riunisce il Consiglio dell’Unione Europea), partecipare alle riunioni del Consiglio europeo (l’organo intergovernativo in cui siedono i capi di governo di tutti i paesi membri), dirigere il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE, attivo dal 2011) e l’Agenzia europea di difesa. Il fatto che l’Alto rappresentante svolga le sue funzioni sia all’interno della Commissione sia del Consiglio enfatizza la volontà del voler avere una figura che faccia da ponte tra le istituzioni europee, tra due diversi tipi d’interesse (europeo e nazionale) e di policy-making (comunitario e intergovernativo). La carica dura cinque anni e l’Alto rappresentante è scelto dai capi di stato e di governo dei ventotto paesi membri, d’accordo con il presidente della Commissione. Essendo anche parte della Commissione, la nomina deve essere ratificata dal Parlamento Europeo.
La prima persona a ricoprire la carica, come concepita dal Trattato di Lisbona, è stata Lady Catherine Ashton, ex Commissario al commercio dell’UE. La scelta fu criticata per il “basso profilo” della baronessa laburista, a detta di molti non abbastanza carismatica per dare slancio alla politica estera dell’Unione. Nel 2014 la scelta è ricaduta su Federica Mogherini, all’epoca ministro degli esteri italiano. Quel che sembra è che anche questa volta i capi di stato dei Paesi europei non abbiano voluto scegliere una figura politica troppo ingombrante.
Ma a che punto ci troviamo nell’ambito della PESC? Si può parlare di un processo compiuto? Certamente, se si esclude l’allargamento a est, è difficile considerarla un successo. Partiamo dalla semantica: Politica Estera e di Sicurezza COMUNE. Comune, e non unitaria. Il presupposto è differente rispetto alle politiche economiche dell’Unione (vedi unione monetaria, doganale, commerciale). Ciò cui si ambisce non è l’unità dell’azione diplomatica, ma rendere comune le politiche estere, le diplomazie, gli eserciti. Da un lato ci troviamo di fronte a una prospettiva mancata, dall’altro abbiamo una forma di sicurezza collettiva con delle caratteristiche peculiari. Il problema che si pone è il seguente: è possibile rispondere repentinamente ed efficacemente a una minaccia senza una politica estera unitaria, un esercito e una diplomazia unici? Difficile quando si deve trovare un compromesso tra gli interessi di 28 stati. Inoltre, non si può che notare una certa discrasia tra le istituzioni e la politica estera reale. Pensiamo alle Nazioni Unite. Gli stati europei con diritto di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza sono Francia e Regno Unito. Tuttavia, l’attore più importante dell’UE è la Germania, che guida realmente qualsiasi tipo di negoziato. Questo peso differente all’interno dell’ONU influisce sui rapporti tra gli stati e mina la capacità di agire in modo unitario.
C’è chi sostiene che questa latitanza nel campo di una politica estera unitaria dell’UE abbia contribuito alla crisi con la federazione russa. Per la prima volta nella storia l’unico atto di politica estera dell’Unione per sé, ovvero l’allargamento, è diventato un fattore di attrito. La federazione russa ha interpretato l’allargamento nei confronti dell’Ucraina come un elemento di tensione internazionale, come un tentativo di modifica delle proprie sfere d’influenza. L’elemento rilevante è che una concausa della guerra generata dalla crisi ucraina sia stata la disputa sull’associazione o meno all’UE. Si tratta di un fatto inedito, fino ad oggi l’allargamento era considerato un percorso storico lineare. In Russia, invece, alcuni osservatori hanno visto questo processo da un’altra prospettiva: allargamento come espansione, non più associato alla pace e alla cooperazione, ma al conflitto e alla sottrazione di spazio politico. Questo tipo di analisi non era estranea a Bruxelles, eppure l’impressione di molti è che la concentrazione estrema delle istituzioni europee sulla dimensione economica e commerciale abbia prodotto una specie d’inerzia. Ciò che sembra essere sfuggito a chi interpretava la politica estera dell’Unione attraverso l’allargamento (la Commissione) è che la realtà politica ha bisogno di risposte politiche e non economiche. È forse un caso che il maggiore interprete della politica unitaria sia il Presidente della Banca Centrale Europea? Non direi, si tratta della conferma dell’assenza di una visione autonoma dei processi politici.
In un quadro così complesso, la Mogherini si è trovata ad assumere la carica di Alto rappresentante in un periodo storico difficile da gestire. Il conflitto ucraino è di per sé un fallimento diplomatico dell’Unione. Inoltre, a negoziare a Minsk c’erano la Merkel e Hollande, e non la Mogherini. A prova, come se ci fosse bisogno di ricordarcelo, che sono loro a guidare la politica estera dell’Unione. Alle critiche che le sono state mosse per la sua assenza a Minsk, la Mogherini ha risposto dicendo che per lei conta il “gioco di squadra”. Sarà, ma quel che sembra è che anche il suo mandato sarà all’insegna di un “low profile” come quello di colei che l’ha preceduta.
Diamo però a Cesare quel che è di Cesare. Un grande successo c’è stato per lady PESC: è l’aver portato a termine l’intesa politica sul nucleare iraniano tra i 5+1 (Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia), che entro giugno darà vita al testo ufficiale comprensivo di tutti i dettagli tecnici (ne abbiamo parlato qui). La mediazione dell’UE come istituzione sovranazionale, e quindi dell’Alto rappresentante, è stata fondamentale durante questi negoziati. Si può avere un ruolo nella diplomazia internazionale, basta volerlo. Chi sa che la Mogherini non riesca, durante il suo mandato, a smentire le voci che la descrivono come inadeguata al ruolo che ricopre.
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