Ci sono due orologi oggi nella politica italiana.
Uno è quello delle istituzioni. Le sue lancette si muovono a ritmo lento e, talvolta, rimangono completamente ferme. Sembra quasi che nei palazzi romani tutto proceda in slow motion. Non a caso il termine “palude” è spesso impiegato per descrivere i processi decisionali a livello centrale in Italia. Una sorta di universo parallelo in cui tutte le buone intenzioni dei singoli esecutivi di portare avanti le loro proposte vengono risucchiate in un buco nero fatto di tempi morti e lungaggini procedurali. Dal quale esce qualcosa, forse, dopo mesi e mesi di attesa, spesso peggiore di come lo si era concepito.
L'altro orologio è quello della piazza. Da sempre e intrinsecamente più volubile e rapido, negli ultimi anni il suo ritmo è diventato addirittura frenetico. Per la precisione da quando il nostro paese è scivolato in una grave recessione economica dalla quale, al netto delle quotidiane professioni di ottimismo del nostro Premier, non siamo ancora usciti. Il deterioramento relativo delle condizioni di vita e delle prospettive future (unito magari a quell'autostima postmoderna di cui ho parlato qui) ha condotto molti cittadini a richiedere urgentemente un cambiamento. In che senso poi è poco chiaro. Basta che arrivino delle soluzioni immediate ai problemi concreti: disoccupazione e sicurezza in primis, mi sentirei di dire.
L'assenza di sincronizzazione tra questi due orologi mi sembra uno dei punti chiave nell'analisi della politica italiana attuale.
Fonte: ilfattoquotidiano.it |
Prendiamo in esame proprio la parabola del Presidente del Consiglio e Segretario del PD, Matteo Renzi. Il suo consenso personale nasce dai tempi in cui era “solo” un Sindaco di Firenze che proponeva la rottamazione dell'allora classe dirigente politica nazionale, ivi compresa quella del suo partito. A questa pars destruens Renzi ha sempre abbinato però anche una pars construens, promettendo ossessivamente l’attuazione di una serie di riforme in grado di invertire la preoccupante deriva del paese. Tanto che alle seconde primarie, quelle di esattamente un anno fa, il suo slogan, era “l'Italia cambia verso”. Il “cambio di verso” però non sarebbe avvenuto in un arco temporale indefinito. Ma subito, immediatamente. Quindi Matteo Renzi è stato sostenuto da numerosi italiani nella sua repentina ascesa politica proprio perché sembrava indossare l'orologio giusto, quello della piazza, con le lancette che vanno veloci. Fondamentalmente l'opinione pubblica gli ha pure perdonato la non proprio limpidissima conquista di Palazzo Chigi a scapito di Enrico Letta proprio in virtù della sua vigorosa intraprendenza, comparata alla calma del suo predecessore.
In realtà Renzi ha proprio cambiato l'orologio (Leopolda 2013 - Leopolda 2014) |
Una volta al potere Renzi ha mantenuto questo suo atteggiamento, avviando il processo delle riforme. Tuttavia si è appunto dovuto scontrare con la terribile “palude” in cui si sono impantanati i buoni propositi (qui un bilancio). L'agenda dei cento giorni di marzo è così diventata quella dei mille giorni di settembre. In altre parole le lancette del suo orologio hanno rallentato i loro rintocchi, adeguandosi a quelle del palazzo. Nel frattempo le soluzioni non sono arrivate: il quadro economico non è migliorato in maniera significativa, con una crescita che non si intravede e un tasso di disoccupazione che non scende. La diretta conseguenza è stato un brusco calo di popolarità suo e del suo governo, come sottolinea Ilvo Diamanti nel suo atlante politico. Insomma persino Renzi è finito vittima dell'assenza di sincronizzazione suddetta.
Il problema non esiste solamente in Italia. Però probabilmente da noi il divario tra i tempi delle istituzioni e quelli dell'elettorato è più pronunciato. Da una parte, la politica e la burocrazia (e non solo a livello centrale) si muovono con una lentezza esasperante che paralizza il paese. D'altra parte, tuttavia, emerge dal basso una domanda irrealistica di risposte immediate a problemi molto complessi, stile “bacchetta magica”.
Affinché si stabilizzi il terremotato e volatile sistema politico italiano serve una convergenza dei due orologi. Essa può essere raggiunta attraverso la velocizzazione di uno ma anche il rallentamento dell'altro. Purtroppo non ci sono segnali né di una né dell'altra tendenza.
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