Una vita da tuonati, un inizio.
Cercare qualcosa non serve, perchè
l'unica cosa è a portata.
A portata di vena.
La parabola degli skagboys viene
crudemente dipinta dal solito ragazzaccio scozzese, che ci riporta
per mano fra i marcioni del Leith, fra eccessi alcolici, banali risse
da fùtbol, perdite di liquidi strani, parole incomprensibili, odio
per gli Hearts e la Thatcher, la skag.
La skag.
L'altra donna a cui non si può
resistere.
Giustificazione di un declino o
impotenza davanti al delinearsi degli eventi?
Perchè è un po' questo che si
contesta a Welsh: l'aver semplificato troppo la faccenda.
Una faccenda in cui le mancanze di
prospettive sociali portano verso un declino autodistruttivo, che
desse ritmo alle scopate frenetiche con ragazze appena conosciute, o
che fosse in quegli spiragli di tempo che non si passavano a menar le
mani nei pressi di Easter Road.
Quegli attimi che diventano giorni, poi
mesi, poi anni, in un tunnel nichilistico in cui la luce fatica ad
entrare.
Welsh si esibisce in un esercizio
storico notevole (e non per forza riuscito): infilare il Leith e la
sua gente negli anni in cui Maggie agitava il bastone, quasi esigendo
di voler trovare le radici di un malessere comune, che sarebbe
diventato a breve una piaga sociale per mancanza di futuro.
E dire che in Skagboys tutti sono al
loro posto: Renton studia ad Aberdeen, Sick Boy è sempre il solito
playboy, Begbie si nutre di paura e piastrine, Spud è il solito
gattone che trascina le giornate fra un lavoro precario e una
delusione amorosa.
Ma quando la strada di giovani annoiati
e disillusi da una società che li nega si incontra con quelli di sua
maestà skag, tutto diventa uno scivolo tortuoso e pregno di
vaselina: ti fermi solo se c'è qualcosa a cui aggrapparti.
Famiglia, sport, interessi: non conta
più niente.
"E' stato amore al primo buco".
Skagboys ci riporta agli albori
delle vicende meglio note nel pre/se-quel Trainspotting.
Ma l'ultima fatica di Welsh è una
scala di grigio infinita.
Opprimente, delirante, senza uscita.
Una marea di personaggi che si
incontrano, se ne vanno, poi ritornano.
Tutti senza scampo.
Perchè il solo modo per andare avanti
è un pizzichino di skag, e alla fine ti ritrovi a imbarcarti in
avventure assurde per guadagnare due soldi per lo sballo.
I cattivi ragazzi di Leith arrivano
perfino a diventare corrieri per un certo Seeker, che li imbarca su
traghetti improbabili che solcano i mari del Nord.
Ma in tutto c'è una fina, e la maggior
parte delle volte è a metà strada.
Parenti, amici, fidanzate: si vacilla
sotto il peso di un buco, si rimane avvinghiati a una dipendenza che
rende schiavi, reietti, rifiuti della società scoto-inglesoide che
non ha più spazio nemmeno per i propri figli più nobili.
Forse Welsh ha esagerato.
Forse voler trovare le radici di tutto
nel thatcherismo estremo, anche se lo scrittore scozzese l'ha provato
sulla sua pelle, pare semplicistico e avventato.
Sprazzi di poesia si alternano a
momenti di cruda violenza verbale.
Momenti in cui non conta altro che
trovare una cintura per legarsi il braccio e far saltare fuori la
vena, lasciano spazi a momenti di vera amicizia, connessione
esistenziale e lucidità sulla propria condizione.
Rents & Co. Prendono per mano in un
viaggio psichedelico, in cui ci guidano attraverso posti già visti e
altri ancora da scoprire, permettendo di toccare con mano la tragedia
generazionale di giovani tossici di città.
Le 618 pagine di Skagboys sono
forse troppe, anche se dentro gli ingredienti sono quelli giusti: si
arriva alla fine con ancora un po' di fame, ancora un po' di spazio
per ingurgitare i serrati dialoghi in scoto appena masticato.
Funziona come la skag, appunto: non
puoi più staccartene.
Qualche ingrediente è di troppo: si
arriva alla fine senza capirne il senso, senza comprendere se quel
pizzico di Begbie fosse meglio di un'indigestione di Sick Boy.
Skagboys è un'altalena in cui continui
a dondolarti troppo forte e malamente.
Quell'altalena che cigola, vibra, si
muove, ma sembra essere solida.
Dietro all'altalena poi arriva qualcuno
che ti spinge, prendi il volo.
E mentre voli ti chiedi: voglio sapere
dove arriverò?
Skagboys è un libro intenso,
provocatorio, al limite del censurabile, che può essere interpretato
in migliaia di modi.
E' impossibile uscirne indifferenti,
uguali a prima, non scossi nell'interno.
Una tragedia moderna così farcita da
sembrare banale, scontata, ma se ci si concentra sulle ferite aperte
durante la lettura ci si accorge di sanguinare forte.
E troverete sempre uno stronzo che si
mette a riportare tutte le belle frasi di Welsh, sbattendole
in piazza così come sono: insipide, senza sugo, scricchiolanti.
E quello stronzo lo sono stato anche
io.
Ma se c'è una cosa che ho imparato da
Welsh è che le perle vanno cercate in profondità, scavando nella
melma, chiudendole in un cassetto, ritirandole fuori dopo un po' di
tempo per vedere se luccicano ancora.
Welsh ne semina tante in Skagboys.
E avrei potuto riportare belle frasi ad
effetto, che illuminano qualche secondo ma poi si perdono come un
rutto nel derby Hibs-Hearts.
C'è una frase profonda, sul ciglio tra
i due burroni che sono speranza di redenzione e disincanto per una
condizione ormai segnata.
C'è una frase che mi rimarrà sempre
incisa sulla pelle dell'anima e mi farà ricordare di questo lungo
viaggio con Welsh.
Can a fellow be a villain all his
life?
Lorenzo Gualandi
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