“Il
messaggio di uomini come Nelson Mandela
o
Martin Luther King è un messaggio di speranza,
speranza
che le società moderne sappiano superare i conflitti
attraverso
una comprensione reciproca e una pazienza vigile.
Per
riuscirci occorre basarsi sui diritti;
e
la violazione di questi, non importa per mano di chi,
deve
provocare la nostra indignazione.
Su
questi diritti non si transige.”
(Stéphane
Hessel, "Indignez-vous!")
La
situazione siriana occupa, in questi giorni, le prime pagine dei
giornali di tutto il mondo: insieme alle minacce, ai dibattiti e alle
esercitazioni belliche si è spostato sulla regione anche l'occhio di
bue dei media. Tuttavia il conflitto sta martoriando la regione da
oltre due anni e a farne le spese è, in gran parte, la popolazione
civile che, ora più che mai, cerca una via di fuga dal Paese che è
sempre più simile ad una polveriera.
I
venti di guerra e le ipotesi di coinvolgimento di attori globali come
gli Stati Uniti e la Russia hanno acuito la crisi, tant'è che
l'UNHCR (Alto Commissariato ONU per i rifugiati) ha lanciato un
allarme: la soglia del milione di rifugiati siriani sotto ai 18 anni
è stato superato. Soltanto nel mese di agosto, secondo i dati
dell'agenzia per i rifugiati, sono state oltre 30.000 le persone che
hanno lasciato Damasco cercando protezione altrove.
Un
milione di bambini che sono stati costretti a lasciare le loro case,
dopo aver provato sulla loro pelle la brutalità della guerra,
giocando tra le bombe, rischiando la vita anche soltanto per andare a
scuola. I Paesi verso i quali si dirigono, spesso insieme alle loro
famiglie, sono Turchia, Libano, Giordania ed Iraq che hanno bisogno costante
di sostegno internazionale per far fronte a quella che si configura
come un'emergenza in ascesa che va a pesare su una Regione già
fragile.
Secondo
i dati più recenti divulgati da UNICEF e UNHCR, i bambini sono la
metà di tutti i rifugiati provocati dal conflitto, tra di essi
740mila hanno meno di 11 anni. Circa 7mila sono, inoltre, i bambini
che hanno perso la vita durante gli ultimi tre anni e oltre 2 milioni
sono quelli sfollati ancora all'interno del Paese.
Durante
il conflitto, infrastrutture e servizi sono stati sistematicamente
distrutti, per esempio una scuola su cinque è stata rasa al suolo,
danneggiata oppure convertita in un rifugio per ospitare le famiglie
di sfollati. La disponibilità di acqua è ridotta di due terzi
rispetto a prima della crisi e i bambini nei rifugi sono maggiormente
esposti a malattie viste le condizioni sanitarie precarie; sono stati
registrati numerosi casi di infezioni respiratorie e infiammazioni
cutanee, come la scabbia. Sono tuttavia i traumi psicologici quelli
che portano a definire i bambini siriani come “la generazione
perduta”: 1 su 3 è stato picchiato o ferito con un colpo di arma
da fuoco, moltissimi sono stati testimoni di omicidi, scontri e altri
atti di violenza, il senso di paura e lo stress lasciano segni
indelebili che supereranno ampiamente la durata del conflitto.
Le
due agenzie ONU, impegnate insieme in uno dei più ampi progetti di
sostegno ed intervento umanitario, sottolineano come una volta
varcati i confini siriani, le minacce alla salute dei bambini non
calino, ma al contrario siano esposti al rischio di essere vittime di
sfruttamento lavorativo e sessuale, matrimoni precoci nonché
traffico di essere umani. Questi traumi sono riconosciuti come gravi
violazioni dei diritti umani, secondo il diritto internazionale di
settore, ma le difficili condizioni in cui si trovano richiedenti
asilo e rifugiati rendono la garanzia una flebile speranza.
Per
poter far fronte alla crisi umanitaria, è stato redatto un Piano di
risposta regionale che prevede un finanziamento pari a 3 miliardi di
dollari USA per rispondere alle necessità dei rifugiati fino al
prossimo dicembre, tuttavia attualmente è stato possibile accedere
soltanto al 38% della cifra richiesta.
L'opera
di fund raising rischia, però, di rivelarsi inutile di fronte
all'acuirsi della crisi dal punto di vista politico:
dal momento in cui per risolvere la questione si prospetta un
intervento militare, senza mandato delle Nazioni Unite, è difficile
immaginare che a breve termine vi saranno le condizioni ideali per
restituire alla popolazione civile siriana infrastrutture, servizi e
standard di vita umani.
“Il
milionesimo bambino rifugiato non è solo un numero” ha dichiarato
Anthony Lake, Direttore Esecutivo dell'UNICEF. “È un bambino
reale, strappato alla propria casa, forse anche alla propria
famiglia, e costretto ad affrontare orrori che noi possiamo
comprendere solo in parte”.
“Tutti
noi dobbiamo condividere questa vergogna” ha aggiunto Lake “perché
mentre noi lavoriamo per alleviare le sofferenze di coloro che sono
colpiti dalla crisi, la comunità globale ha mancato alla propria
responsabilità nei confronti di questo bambino. Dovremmo fermarci e
chiederci come possiamo, in tutta coscienza, continuare a deludere i
bambini della Siria”.
Un
richiamo trasversale alla responsabilità rivolto non solo alle
istituzioni politiche internazionali affinché soppesino il prezzo
umano da pagare per la difesa dei propri interessi, ma anche a
ciascuno in quanto essere umano affinché si senta, quanto meno,
turbato di fronte ad una tale violenza perpetrata nei confronti
della dignità stessa della persona.
Angela Caporale
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