Il mio articolo moralista: reazioni a caldo al processo Ruby


Ci sono frasi e modi di dire che vengono inghiottiti dal linguaggio comune, diventano slogan e spesso finiscono per essere svuotate del loro significato e del loro spessore. Una di queste è “fare del moralismo”. Con moralismo si intende una “degenerazione della morale usata con eccessiva intransigenza per una severa, talora ipocrita, condanna degli altri”. Tuttavia, viene utilizzata con accezione negativa, un po' a casaccio, verso chi non concorda con la tesi discussa e propone un punto di vista diverso, magari più etico, ma non per forza una degenerazione di cui sopra.
Questa lunga introduzione serve per avvertire i miei ipotetici lettori che questo articolo potrebbe essere facilmente tacciato di moralismo, perché in effetti contiene un malinconico richiamo alla morale. Vent'anni di berlusconismo hanno fatto macerie nella società italiana, ma penso che la crisi sia soprattutto lì, ancora più che nell'economia e nella politica. Milioni di italiani hanno assistito alla vicenda del processo Ruby nell'unico modo con cui vengono affrontate le vicende politiche e non in questo paese: da tifosi. 
Quelli che tifano contro Berlusconi hanno gioito ed esultato, quelli a suo favore hanno detto che è stato un complotto. Sempre affascinanti le teorie complottistiche: ormai qualsiasi sentenza presa da un organo terzo non viene più accettata in quanto tale ma viene rifiutata perché considerata come danno intenzionale per i più svariati motivi, alla base dei quali c'è sempre una sorta di odio dettato perlopiù dall'invidia. Come quando a scuola prendevo quattro perché non aprivo libro ma a casa mi giustificavo dicendo che la prof ce l'aveva con me. O come quelli che nel calcio continuano a scrivere “31 sul campo” nonostante le intercettazioni e gli arbitri chiusi negli spogliatoi, perché ritengono che sia tutto un complotto delle altre squadre stanche di guardarli vincere.

Tornando al processo di B, ho provato una gran tristezza osservando le reazioni degli avversari politici, giornalisti, gente comune che hanno esultato e festeggiato perché il loro nemico era stato finalmente sconfitto. Non nego di avere provato una sorta di senso di giustizia, però il quadro che vede il cavaliere finalmente sconfitto grazie all'intervento dei giudici paladini della giustizia fa così tanto, troppo, sinistra rancorosa. Significa innanzitutto ammettere di essere tutt'ora incapaci di sconfiggerlo definitivamente in campo politico ed in più alimentare le teorie che millantano una magistratura politicizzata al servizio degli avversari dell'ex premier. Dall'altra parte dello schieramento invece dopo il rifiuto della condanna è arrivata la rassegnazione al fatto che toghe rosse o non toghe rosse, il verdetto non cambia. A quel punto sono scattati i processi di giustificazione. Era solo una "scopata", lei era consenziente, non sapeva che fosse minorenne, sette anni sono troppi. Tutti argomenti che permettono di testare con mano la profonda crisi morale in cui siamo sprofondati. Un premier ultrasettantenne che organizza nella sua casa orgie con prostitute ancora minorenni, alle quali tra l'altro partecipano anche grandi nomi della politica e dello spettacolo, viene giustificato, così come viene giustificato il fatto che il suddetto premier di fatto ordini alla Questura di Milano di rilasciare una di queste prostitute (trattenuta per furto) poiché nipote di Mubarak. Non credo che tutto ciò sia accettabile in un paese civile e moderno. Non è questione di essere bigotti, la questione è che per il primo ministro di un paese occidentale del terzo millennio la linea di demarcazione tra vita privata e vita pubblica è così labile che non si può pensare di tenere una condotta così sfrenata nella vita privata senza che questa vada ad influire su quella pubblica. Se anche l'operato politico non dovesse risentire di questa condotta, rimarrebbe comunque un problema di immagine, essendo al tempo Berlusconi il primo rappresentante dell'Italia nel mondo. E nessuno meglio di lui dovrebbe saper riconoscere l'importanza dell'immagine ai nostri tempi. 

C'è però una parte d'Italia che lo giustifica. Lo fa principalmente perché sogna di essere come lui e di potere un giorno partecipare a queste orgie o dare ordini a pubblici ufficiali. È quell'italietta cresciuta con i reality show e le riviste di gossip. L'italietta di chi non ha mai fatto uno scontrino ma si lamenta delle troppe tasse o di quelli che “lei non sa chi sono io”. Quell'italietta che si è riconosciuta nell'uomo da Arcore perché “Silvio è l'italiano medio, ama il calcio e le belle donne”. Solo che si auspicherebbe che il Presidente del Consiglio rappresenti l'italiano eccellente, non l'italiano medio. Che poi a me medio sa tanto di mediocre. E proprio da questa mediocrità bisognerà iniziare ad uscire, prima o poi.

Per capire quanto questo dibattito sia degenerato in uno scambio di insulti tra tifoserie opposte basta leggere il titolo degli articoli che commentano la sentenza di due giornalisti, anche piuttosto stimati, che meritano di essere eletti a veri e propri capi ultrà. Gad Lerner scrive “Condannato il puttaniere, lui e lo Stato sono incompatibili”, mentre Giuliano Ferrara lancia una campagna di difesa di Berlusconi dal nome “Siamo tutti puttane”, e lo fa in un video nel quale si dà il rossetto sulle labbra. Ve li meritate, mi verrebbe da dire. Poi penso agli occhietti rancorosi del primo e alle labbra rosso rubino dell'altro e penso che no, nemmeno questa povera italietta se li merita.

Fabrizio Mezzanotte

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