Elezioni regionali 2015: ha vinto l'unico che non si è candidato

Cinque a due per il Partito Democratico. Questo è il risultato quasi tennistico dopo le elezioni regionali tenutesi ieri, domenica 31 maggio. 


I tre grandi vincitori: (da sinistra a destra) Vincenzo De Luca, Luca Zaia e Giovanni Toti - fonte:today.it
C’è chi parla di sconfitta del Governo, di Renzi che dovrebbe dimettersi o almeno porsi delle domande, di un Salvini autoproclamatosi seconda forza politica nazionale e di un Movimento 5 Stelle che sembrava stesse per morire ma che invece ha confermato di meritarsi la piazza d’onore, togliendosi il vestito di movimento di rottura e mettendosi quello di continuità.


Ma andiamo per ordine. 


Il centrosinistra si è confermato in Toscana con Enrico Rossi, in Umbria con Catiuscia Marini, nelle Marche con Luca Ceriscioli e in Puglia con Michele Emiliano. Ha strappato al centrodestra la Campania con Vincenzo De Luca perdendo però  la Liguria a discapito di Giovanni Toti sostenuto da Forza Italia e Lega Nord, mentre ha sfigurato in Veneto con l’ex europarlamentare Alessandra Moretti che ha dovuto guardare da lontano il trionfo del governatore uscente, il leghista Luca Zaia. 
Il Partito Democratico, però, non ha perso. La riconferma di quattro regioni su cinque, e il cambio tra Campania e Liguria è essenzialmente un segnale di stabilità per il partito di Governo, nonostante abbia perso moltissimi voti rispetto alle Europee di un anno fa.Il Partito Democratico si ripropone come la prima forza nazionale con il 23% dei consensi, nonostante la crescita inarrestabile di un Salvini che ha avuto riscontri positivi sia al Centro che al Nord, soprattutto in Toscana con il suo candidato Borghi. Renzi d’altro canto ha smarrito alcuni voti, ma non le regioni, e in politica, come nello sport, occorre fare un punto in più degli avversari. Puoi anche segnare 7 gol, ma se gli avversari ne fanno 8, hai comunque perso. 


Matteo Renzi e Matteo Orfini in attesa dei risultati - Fonte: corriere.it
Ciò non toglie che il Premier debba porsi realmente delle domande, rivedere la propria agenda politica e ridare al suo Partito quella sicurezza che, almeno a livello locale, l’ha sempre contraddistinto. È un punto molto importante, dato che sembra che il PD abbia stravolto le sue caratteristiche: forte a livello statale e debole in periferia. La perdita di consensi è un dato da non sottovalutare, anche se l’exploit delle Europee del maggio scorso, con il 41%, è un risultato difficilmente ripetibile. La vera sconfitta è a livello decisionale, o meglio riguardo a una maggiore chiarezza di scelte e prese di posizioni  che sono mancate soprattutto in Liguria, dove i voti della sinistra si sono distribuiti su due diversi candidati e ha quindi permesso a Toti di vincere. Una debacle per Renzi si è materializzata solamente in terra ligure, non tanto per il risultato, ma per la modalità in cui essa è avvenuta: a partire dallo scandalo delle primarie, ad una candidata, Raffaella Paita, che si è dimostrata debole davanti alle accuse piovutele addosso, e ad una rottura con la sinistra riformista guidata da Civati che ha portato Luca Pastorello al 12% dei consensi. 


Ma nemmeno Salvini ha vinto. Tutt’altro. Si è riconfermato alla grande in Veneto, spazzando via Alessandra Moretti e l’ex amico Flavio Tosi, per poi andare a prendere il 20% dei consensi sia in Liguria che in Toscana, affacciandosi anche in Puglia e in Umbria. La Lega, a livello nazionale, ha ottenuto il 13% delle preferenze, record storico per il Carroccio, ma ancora una volta, come è successo l’anno scorso per le elezioni regionali in Emilia Romagna, ha dovuto rimandare quel trionfo che Salvini sta aspettando da quasi due anni. I consensi aumentano, ma il gap con il PD resta e il bacino di potenziali elettori al quale può attingere, è quasi esaurito. Salvini, ancora una volta, ha raddoppiato i voti ma ha riportato gli stessi risultati dei suoi predecessori. 


Un quasi vincitore di questa tornata elettorale è invece il Movimento 5 Stelle, che con il 16% dei consensi si conferma secondo partito della nazione e prima vera alternativa al Partito Democratico. I grillini hanno trovato l'affermazione che cercavano, nonostante i molti che li davano già per spacciati, imponendosi come una forza politica non più solamente di rottura ma di continuità, ben radicata sul territorio e capace di portare avanti le proprie idee. Difficilmente i pentastellati riusciranno a scavalcare Renzi, soprattutto se dovessero continuare a rimanere isolati senza stringere compromessi su alcuni temi di Governo che hanno in comune con il Partito Democratico. Il Movimento 5 Stelle è arrivato ad un bivio: o diventare grande o rimanere ancora ragazzo, fare il salto di qualità o decidere che il limbo sia davvero il posto migliore in cui stare. Innanzitutto dovrebbero smetterla di autoproclamarsi vincitori ad ogni tornata elettorale, guardando i dati per quello che realmente sono, visto il M5S non è il Primo partito, perché in Liguria il Pd ha 18 mila voti in più, in Campania quasi 50 mila in più, e in Puglia 30 mila, per poi cercare davvero un dialogo costruttivo e non solo un’opposizione distruttiva con le altre forze in Parlamento. 


In conclusione, dal voto di ieri, l’unico vero vincitore è stato l’astensionismo, che ha ottenuto un 47% a livello nazionale. In molti hanno preferito il mare o la montagne alle urne e il risultato non è mai stato così negativo: l’astensionismo è salito a livelli altissimi, 10 % in più rispetto all’anno scorso. La disaffezione non può più essere considerata solamente un passaggio storico, ma andrebbe analizzata più a fondo, tralasciando slogan d’altri tempi e cambiando, davvero, una volta per tutte, altrimenti, per molti anni ancora, la vedremo trionfare ancora. 

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