SundayUp - Cristina Battocletti, "La mantella del diavolo" (2015)

Cividale del Friuli (Cividât/Sividât/Zividât in friulano, Čedad in sloveno, e – se proprio vogliamo – Forum Iulii in latino) è un’antica cittadina romana e poi longobarda, adagiata in quella specie di prua di territorio italiano che dal Friuli si protende verso la Slovenia.
Di Cividale (oltre alla nostra Angela) è Irma Saldutti, studentessa friulana trapiantata a Bologna a studiare legge. La incontriamo tornata a casa per il funerale del suo migliore amico, grande amore mai sbocciato e quasi fratello maggiore, Alfredo. Dal suo funerale sembrano dipanarsi ragnatele di mistero, che in breve avvolgono tutta la cittadina con una serie di delitti inspiegabili, ciascuno sottolineato pubblicamente con diabolica lucidità dalle filastrocche di Nostromo, il pazzo del paese che, come nella migliore tradizione, pare dotato di una vista ben più lunga di tanti suoi concittadini.

Sembra delinearsi l’ombra del satanismo, legato alla zona dalla leggenda del Ponte del Diavolo, che si ritrova simile a proposito di molti ponti d’Europa: non riuscendo in nessun modo a edificare un ponte a campata unica per collegare le due scoscese sponde del Natisone, su cui sorge Cividale, gli abitanti avrebbero chiesto aiuto al diavolo, che costruì il ponte ma pretese, come pagamento, l’anima del primo che l’avesse attraversato. I cividalesi, terminato il ponte, lo fecero attraversare da un cane, facendo così infuriare il diavolo, che lanciò un enorme masso che distrusse il ponte a campata unica, ma che si fermò sul letto del Natisone e diventò la base del pilone centrale dell’attuale ponte a due campate.
Il ponte del diavolo a Cividale
L’aura diabolica pare circondare in particolare quattro notabili della cittadina, contraddistinti dall’uso di ampie mantelle nere, quasi un segno di riconoscimento in mezzo a una popolazione che sembra, dalla narrazione, fossilizzata su categorie irrimediabilmente passate. La vecchia osteria dei comunisti, il trio di anziane pettegole, vecchi partigiani simpatizzanti di Tito e auto-esiliatisi in Slovenia. Su tutti grava una pesante cappa di pioggia autunnale, che copre proprio come un mantello persone e luoghi.
Una narrazione di fantasmi, dunque, come se in questo estremo lembo d’Italia le cose si fossero fermate all’inquieta epoca della Cortina di Ferro, greve presenza ormai innocua ma ancora vivissima nella memoria delle persone. Il territorio oltrecortina tuttavia non rappresenta una minaccia, ma possiede soltanto, sembra di intuire tra le righe, la curiosa capacità di evocare e manifestare fantasmi che sono già dentro ognuno dei personaggi (come le misteriose krivapete, leggendari personaggi mitologici della zona).

Lo stile narrativo è anch’esso “spettrale”: possiede una sottigliezza indagatrice nella psicologia dei personaggi che sembra davvero diabolica, con sprazzi di realtà onirica che fanno improvvisamente breccia nella narrazione reale, rendendo a volte difficile seguire il filo del romanzo. Questo perché “seguire il filo” non è in realtà così importante quanto il mutamento costante delle singole atmosfere, a volte legate dalla logica e a volte no, più o meno come accade in un sogno.
L’immagine del Friuli (e in particolare di quel microcosmo che è la fascia sul confine est) che esce da questo romanzo è decisamente azzeccata: ci sono lievi esagerazioni da romanzo, limitate in realtà alla sola escalation di delitti, più vicina a Detroit che a un’innocua cittadina di provincia (Cabot Cove a parte). Ma al di là di questo, se in un primo momento il romanzo può sembrare tutto un’esagerazione, uno sguardo più attento rivela che moltissimi dei personaggi sono anche più che verosimili. Certo, sono tutti personaggi evidentemente fuori tempo massimo: le tre pettegole sono immancabilmente molto anziane; i vecchi comunisti all’osteria hanno ormai fatto il loro tempo (visto che il romanzo sembra ambientato tra gli anni ’90 e i primi 2000); la stessa cosa si può dire dei quattro notabili mantellati, che sembrano spadroneggiare in stile feudale.
In realtà proprio questo sembra essere il cuore della narrazione: il racconto di una terra in cui il tempo è andato avanti per conto suo, lasciandosi dietro tutti gli abitanti, invischiati in tradizioni passate o in anacronismi vari. È proprio questo conflitto a degenerare in quella violenza animalesca e ancestrale che permea tutti gli omicidi. In tutto ciò Irma Saldutti viene vista come un’estranea, perché grazie alla sua fuga bolognese è riuscita a “salvarsi” dalla maledizione che sembra attanagliare chi invece è rimasto. È diventata estranea, e quindi nel momento di difficoltà della comunità, come quello degli omicidi in serie, deve andarsene, per non incrinare con la sua presenza un mondo che altrimenti sarebbe in sé perfettamente coerente.
Se volete sapere com’è oggi il Friuli questo bel romanzo può aiutare o non aiutare, ma basta ricordare che dopotutto si tratta di letteratura, e che la letteratura, per quanto ispirata, non è quasi mai la realtà.

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