Sundayup -J.R.R. Tolkien: i romanzi della crisi


Non amo particolarmente il fantasy, è un genere che di fatto non coltivo, ma una sorta di moralità bibliofila mi ha spinto, parecchio tempo fa, a buttarmi sul (forse troppo) famoso Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien, giustamente considerato il padre di questo genere letterario. Un romanzo decisamente inflazionato, complici le note riduzioni (sì, volevo proprio dire riduzioni) cinematografiche che si sono trascinate dietro fanatismi estranei all’opera originaria. Per curiosità mi sono poi avvicinato ad altre opere dello stesso autore, riuscendo così a compormi un quadro discretamente completo del monumentale universo creato, con sapienza e cura demiurgiche, da Tolkien.
Il corpus tolkieniano, oltre che dei romanzi più famosi (Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit), si compone di una galassia di racconti, opere satellite, prequel, appendici, saggi, illustrazioni, atlanti, che danno forma a uno dei più dettagliati e coerenti universi fantastici mai creati. Un’opera monumentale, di cui il denominatore comune sembra essere la costante affermazione del principio dell’eterno rinnovamento del mondo a seguito di periodici sconvolgimenti. Una sorta di riproposizione del principio stoico secondo cui l’universo, a intervalli regolari, conflagra in un fuoco purificatore per uscirne poi rinnovato in un nuovo ciclo temporale. In Tolkien manca la dimensione apocalittica della distruzione totale di ogni cosa, ma la sequenza crisi-rinascita è presente in tutta la sua opera (la stessa scansione temporale dei romanzi in differenti “ere” lo suggerisce). L’autore stesso introduce questa idea in una delle sue numerose lettere (pubblicate da Bompiani in un volume intitolato La realtà in trasparenza): «Queste leggende terminano con una visione della fine del mondo, il suo disfarsi e il venir ricreato».


Per molto tempo mi sono interrogato sullo strano senso di incompiutezza e di amaro in bocca lasciato dalla fine della lettura di uno dei libri di Tolkien: spesso sembrano non finire realmente, ma condurci semplicemente a una finestra appannata dalla quale intravediamo il paesaggio esterno senza tuttavia riuscire a distinguerlo bene. Anche il libro che narra gli eventi più recenti (proprio il Signore degli Anelli) non mette la parola “fine” alla vicenda del mondo, concludendosi con una sorta di apertura a un futuro ignoto e non mostrato, ma intuibile dietro la foschia. In altre parole, i romanzi di Tolkien tendono a concludersi non con un’apocalisse e nemmeno con un proseguimento lineare della storia, bensì con una specie di via di mezzo: la rappresentazione (narrativa, e quindi camuffata metaforicamente) di un cambio radicale nell’ordine delle cose, la rappresentazione di una crisiL’idea di una crisi mondiale che distilla le energie migliori della società, rivelandosi quindi passaggio necessario nell’evoluzione e non incidente di percorso da evitare, è presente, tra gli altri, anche negli scritti di Albert Einstein, che ne parla a proposito della Grande Depressione del 1929 (“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi”: crisi deriva da krino, il verbo greco che indica, originariamente, l’azione di setacciare il grano per separarne la parte migliore). All’incirca negli stessi anni il nostro Tolkien iniziava ad appuntarsi abbozzi di una lingua inventata, il Quenya, basata sul finlandese con una fonetica vicina al latino e un sistema verbale accostabile al greco antico: il nocciolo originario attorno a cui verrà creato tutto l’universo tolkieniano.

Tolkien in uniforme durante la Prima Guerra Mondiale
Non si può sorvolare sugli estremi temporali della composizione dell’opera centrale della produzione tolkieniana, Il Signore degli Anelli: il romanzo venne portato a termine in un arco di più o meno quindici anni a cavallo della seconda guerra mondiale, e pubblicato nel 1954. Sorge quindi spontaneo l’accostamento tra le vicende letterarie e quelle storiche: forse mai come nell’ultimo conflitto mondiale la lotta tra Bene e Male è stata interpretata più simbolicamente (basti pensare alla propaganda antisemita in Germania, e antinazista negli Stati Uniti). È probabilmente arbitrario il parallelo, pure evidenziato da molti, tra le diverse fazioni in lotta nel Signore degli Anelli e quelle in lotta nella guerra reale (alcuni hanno visto, o creduto di vedere negli “orchi” una rappresentazione ora della società comunista, ora del nazismo e via dicendo), ma è innegabile che le vicende storiche abbiano avuto influenza sui grandi temi trattati da Tolkien.
In un’altra lettera l’autore, cercando di definire gli orizzonti spazio-temporali del mondo da lui creato, ammette che la terra in cui sono ambientate le sue opere non si trova su un'altra galassia o su un universo parallelo (non è, infatti, fantascienza), bensì è il nostro stesso pianeta, fotografato, nel Signore degli Anelli, all’incirca quattromila anni prima di Cristo (sebbene in altri scritti descriva la “Terra di Mezzo” come un “differente stadio di immaginazione”, e non come la nostra Terra nel passato tout court). Se le sue opere narrano eventi della Prima, Seconda e Terza era, con un accenno della Quarta, da un’altra lettera invece si evince chiaramente che il Novecento storico si troverebbe tra la Sesta e la Settima era. Ora, nella scansione temporale delle opere di Tolkien, il passaggio tra un’era e la successiva è sempre traumatico e dovuto a qualche sconvolgimento cosmico che stravolge il mondo (uno di questi passaggi è addirittura provocato dalla trasformazione della terra da piatta a tonda, una sorta di trasposizione mitica della presa di coscienza della sfericità della Terra realmente verificatasi nell’umanità).
La logica conclusione è dunque che la seconda guerra mondiale e, più in generale, il Novecento, costituiscano anch’essi, nella concezione dell’autore, uno di quei periodici sconvolgimenti che, come nell’ekpyrosis stoica, annientano il mondo permettendone la successiva rinascita in forma purificata. Se si tratti di una pia illusione o di una profezia in attesa di realizzarsi, resta ancora da stabilire.

Alessio Venier

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