fonte: lemonde.fr |
La presidenza di Francois Hollande si
sta trasformando in un vero e proprio calvario. L'ultima tappa di
questa via crucis ha avuto luogo proprio ieri. Il primo ministro
Manuel Valls, che si era insediato nello scorso mese di marzo in
seguito al disastroso risultato elettorale del Partito Socialista
alle Elezioni Europee, ha presentato le sue dimissioni. La causa scatenante di questa decisione è
rappresentata dallo scontro tra lo stesso Valls, appartenente all'ala
più riformista dei socialisti e perciò presto ribattezzato “il
Matteo Renzi francese” e il suo ministro dell'economia Arnaud
Montebourg, che invece fa parte della fazione più a sinistra
all’interno del partito.
Il conflitto tra i due in realtà
andava avanti già da tempo. La materia del contenzioso sono le aspre
critiche che Montebourg non ha mai lesinato alla linea economica
tenuta dall’esecutivo e dal presidente, a suo dire troppo
accomodante nei confronti delle richieste tedesche in materia di
disciplina fiscale. I primi screzi con Valls si sono infatti
verificati in occasione di un convegno socialista in cui Montebourg
tuonò che era giunto il momento di “mettere in pratica una sana
resistenza” alle “ossessioni eccessive dei conservatori
tedeschi”. Parole che dovevano parere un attacco frontale
alle orecchie di un primo ministro chiamato in causa dal presidente
come uomo forte in grado di rimettere in carreggiata la stagnante
economia francese, mantenendo al contempo il rigore nei bilanci
pubblici imposto da Bruxelles. La classica goccia che ha fatto
traboccare il vaso è però arrivata sabato scorso in un’intervista
al quotidiano Le Monde. Montebourg ha alzato ulteriormente il
tiro, invocando un drastico cambiamento di rotta del governo per
rilanciare la crescita economica e affermando la necessità di “dare
priorità all’uscita dalla crisi e mettere in secondo piano la
riduzione dogmatica del deficit, che porta ad austerità e
disoccupazione”. Inoltre in un’altra occasione, riferendosi
esplicitamente a Valls, aveva dichiarato che si stava rendendo
necessario “trovare una leadership alternativa”. Queste sue
parole avevano riscontrato il consenso del ministro dell'educazione
Benoit Hamon, anche lui membro dei frondisti del Partito Socialista.
Fonte: libération.fr |
Morale della favola. Valls si è recato
dal presidente, presumibilmente al grido di “O lui o me” e
Hollande ha rinnovato la sua fiducia al primo ministro. Sì perché
sebbene si sia dimesso gli è stato affidato l’incarico di formare
un nuovo governo, in cui, manco a dirlo, Montebourg e tutti coloro
che nell’esecutivo condividevano il suo punto di vista, non saranno
più presenti. D’altra parte lo stesso ormai ex ministro
dell’economia ha preannunciato la sua prossima uscita di scena,
dicendo di aver voluto “riprendersi la sua libertà”. Hollande si è anche raccomandato di accelerare i tempi per il
rimpasto visto che la sua popolarità tra l’elettorato francese è
estremamente bassa e anche una piccola titubanza potrebbe costargli
molto cara.
Fin qui la mera cronaca di una
movimentata giornata politica sotto Tour Eiffel. In realtà due
riflessioni si possono estrapolare da questi avvenimenti.
In primo luogo, si può cominciare
legittimamente ad affermare che il sistema politico francese, fino a
poco tempo fa reputato piuttosto solido, stia passando una fase di
sconcertante e preoccupante instabilità. Di fronte a dati
macroeconomici sempre più negativi, legati ad una più generale
mancanza di crescita nell’eurozona, l’insoddisfazione
dell’elettorato per le scelte della classe politica è cresciuta
esponenzialmente e le fedeltà partitiche si sono radicalmente
alterate. Dapprima un campanello d’allarme lo dovevano lanciare le
presidenziali del 2012. Dopo quasi trent’anni un presidente
non veniva confermato per un secondo mandato. Si era detto che
Sarkozy era impopolare e troppo distante dalle stereotipo dell’uomo
ideale per guidare la Francia e si era chiuso un occhio. Come si era
chiuso un occhio sul margine tutto sommato risicato con cui era stato
eletto lo stesso Hollande. Pochi mesi fa però è arrivata la doccia
gelata costituita dalle europee a rimarcare la crisi dei grandi
partiti. La populista Marine Le Pen si è issata al primo posto, il
centrodestra ha raccolto un misero 20% ed è entrato in crisi
d’identità e Monsieur Le President ha toccato con mano il suo
bassissimo indice di gradimento. Ieri appunto si è aggiunto il
non invidiabile record negativo di durata (soli 147 giorni) dell’esecutivo
targato Valls. Se tre indizi fanno una prova, il sistema politico e
partitico transalpino è in pieno sconvolgimento.
Fonte: libération.fr |
In secondo luogo i dissapori
all’interno del PS francese che hanno portato alle dimissioni del
primo ministro sono paradigmatici per quanto riguarda le difficoltà
dei partiti di centrosinistra europei di costruire una proposta
economica condivisa e realistica. Hollande all’inizio della sua
presidenza sembrava un nuovo paladino delle vecchie ricette della sinistra, fatte di tasse e spesa pubblica
(senza magari i toni sprezzanti verso lo storico alleato tedesco di
Montebourg). Tuttavia già la stessa nomina di Valls, con i suoi
orientamenti più progressisti in stile third way, si può leggere
come l’ammissione di una sconfitta in questo senso. Una sconfitta
che riecheggia, con le debite differenze, il tentativo di Mitterrand
di portare avanti politiche dirigiste e protezioniste di stampo
socialista negli anni ’80. Un tentativo che si scontrò contro una serie di circostanze come la direzione liberoscambista del progetto
d’integrazione europea. Allora la sinistra europea imparava la dura
ma inequivocabile differenza tra piazza e governo, tra utopia e realtà.
Una lezione che, evidentemente, continua ad essere
difficile da assimilare.
Valerio Vignoli
Nota: la citazione del titolo dell'articolo è una celebre frase dell'ex Presidente francese, il generale Charles De Gaulle.
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