Se non sapete chi è
Steven Wilson, è ora che vi documentiate.
Mente geniale del nuovo
progressive e stakanovista dell’arte musicale, ha creato i
Porcupine Tree (dei quali è anche cantante, chitarrista e
spesso tastierista), quartetto progressive, ha co-fondato i
Blackfield, pop rock malinconico al limite del patetismo deprimente,
No-Man e Storm Corrosion, rispettivamente art-pop con Tim Bowness e
progressive ambient con Mikael Akerfeldt degli Opeth, ha creato
l’Incredible Expanding Mindfuck e Bass Communion, entrambi progetti
di musica elettronica, più acerbo il primo, più atmosferico e
maturo il secondo, ha partecipato alla produzione di diversi dischi
degli Opeth, formazione progressive death metal svedese, e sta
remixando diversi dischi del progressive storico, tra cui
Aqualung e Thick as a Brick dei Jethro Tull, diversi album dei King
Crimson e alcuni degli Yes.
Attualmente si sta
dedicando alla carriera solista (anche se, tecnicamente, i primi due
dischi dei Porcupine Tree erano dischi solisti, essendo Wilson sugli
stessi unico strumentista e compositore): dopo l’esordio
Insurgentes e il capolavoro Grace for Drowning,
l’ultimo suo disco in studio, The Raven that Refused to Sing
(il cui ingegnere del suono è stato Alan Parsons, lo stesso
di Dark Side of the Moon dei Pink Floyd), lo ha portato alla
ribalta del mainstream come pochissimi altri musicisti prog al giorno
d’oggi.
Attualmente è in studio, e sta lavorando sul suo prossimo disco, due tracce (un pezzo senza nome e una gioiosa ballata intitolata “Happy Returns”) del quale sono già state eseguite durante il tour 2013. La band che lo accompagna dovrebbe essere la stessa di Raven, tra cui il bassista e corista Nick Beggs (che, oltre a far parte della band di Steve Hackett, ex chitarrista dei Genesis, era bassista, suonatore di Chapman stick, cercate pure su wikipedia cos’è, e a volte cantante, dei Kajagoogoo. Ve li ricordate? Probabilmente no. Ma vi ricordate La Storia Infinita? Ecco, la canzone del titolo, “Neverending Story”, è loro), il batterista Marco Minnemann, tra i candidati per sostituire Mike Portnoy alla batteria nei Dream Theater, il fiatista Theo Travis, che ha lavorato tra gli altri con Robert Fripp dei King Crimson, il super chitarrista acrobatico Guthrie Govan e il tastierista Adam Holzmann, che ha lavorato con Miles Davis e Michel Petrucciani.
Dopo aver pubblicato
Raven, però, Wilson ha pubblicato anche un EP (EP solo di
nome e non di fatto, visto che dura un’ora ed è composto da CD e
DVD o Blu-Ray) con materiale dal vivo e alcune tracce dalle sessioni
di Raven, Drive Home, e quest’estate ha deliziato i
suoi fan più recentemente acquisiti con una chicca.
A cavallo tra il 2002 e
il 2010, Steven pubblicò una serie di sei singoli (quindi lato A e
lato B), tutti senza indicazioni sui titoli delle tracce, solo con il
titolo, Cover Version, e il numero romano corrispondente
all’uscita in questione. Cover Version li raccoglie
insieme in un’unica compilation, testimonianza del suo primo vero
lavoro solista (uscito a suo nome).
La peculiarità è che si
tratta (come forse avevate capito dal titolo) di una raccolta di sei
cover (e sei pezzi originali sul lato B), il che di per sé non è
una cosa così straordinaria. Solo che la scelta delle canzoni è
quantomeno curiosa, visto il suo repertorio usuale. Infatti, si
tratta di “Thank U” di Alanis Morrisette, “The
Day Before You Came” degli ABBA, “A Forest” dei
Cure, “The Guitar Lesson” di Momus (ok, questa non stupisce poi
tanto. Momus è un artista piuttosto oscuro, che probabilmente solo
Wilson conosce, e il tema del pezzo scelto da Wilson è una specie di
episodio di pedofilia, una cosa davvero molto inquietante), “Sign
‘O’ the Times” di Prince e “Lord of the Reedy
River” di Donovan. I pezzi sono quasi tutti in uno stile
asciutto, plumbeo e spigoloso non estraneo a Wilson, ma estraneo
forse a chi lo ha conosciuto con i suoi ultimi due lavori solisti,
così ricchi di trame sonore ed eteree melodie: voce, chitarra
acustica, poche tastiere e molte armonie vocali. Le cover sono
piuttosto diverse dagli originali, specie “Thank U” e “The Day
Before You Came” (invece “Sign ‘O’ the Times” è abbastanza
fedele), mentre le composizioni wilsoniane sono tutte un po’ acerbe
rispetto ai lavori pubblicati in quegli anni con i Porcupine Tree o
rispetto al suo esordio solista Insurgentes.
Le cover, insomma,
valgono da sole l’acquisto del disco, perché riflettono alla
perfezione la personalità di Wilson come compositore ed esecutore.
Prima che proviate ad
ascoltarlo, c’è una considerazione da fare, però. Tempo fa, in
un’intervista (presente nel documentario sulla realizzazione di
Insurgentes), Wilson disse (confido che se state leggendo qui
abbiate una conoscenza dell’inglese sufficiente a comprendere
quanto riportato):
“Music that is sad, melancholic, depressing, is in a kind of perverse way more uplifting. I find happy music extremely depressing, mostly - mostly quite depressing. It's particularly this happy music that has no spirituality behind it - if it's just sort of mindless party music, it'd be quite depressing. But largely speaking, I was the kind of person that responds more to melancholia, and it makes me feel good. And I think the reason for this is, I think if you respond strongly to that kind of art, it's because in a way it makes you feel like you're not alone. So when we hear a very sad song, it makes us realise that we do share this kind of common human experience, and we're all kind of bonded in sadness and melancholia and depression.”
Morale della favola:
Cover Version è un disco triste, e per
apprezzarlo dovete approcciarvi alla musica triste esattamente come
fa Wilson.
Buon ascolto.
P.S.: Sul mio blog, Kill Ugly Radio, ho pubblicato una classifica dei 5 lavori fondamentali di Wilson. La trovate qui.
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