C'è un solo modo per capire se un film è
piaciuto agli spettatori in sala: i titoli di coda. Se dopo la fatidica
parolina "fine" nessuno si alza, ma si rimane seduti sulla poltrona
col naso all'insù, a contemplare quelle parole che scorrono sullo schermo, il
film è decisamente piaciuto. Si rimane seduti come nella speranza che quella
non sia veramente la fine, ma piuttosto uno scherzo del regista, e che dopo
qualche minuto ricomincerà il film. Si rimane seduti perché quando ci si
immerge negli abissi di un'opera cinematografica, il finale ci colpisce come un
piccolo trauma: simile a quella sensazione che si prova quando la sveglia
interrompe un bellissimo sogno e allora si rimane nel dormiveglia, si conserva
il sonno, per provare a ricominciare quel sogno da dove lo si era lasciato.
Questo è ciò che accade al termine della
proiezione di Venere in Pelliccia, l'ultimo lavoro di Roman Polański. Il
pubblico attendeva con ansia il ritorno sul grande schermo del regista, che con
Carnage (2011) aveva stupito e ammaliato sia la critica che gli
spettatori. Come per quasi tutti i suoi film, anche in questo caso ci troviamo
di fronte all'adattamento cinematografico di un'opera teatrale sceneggiata da
David Ives, che a sua volta traspone il romanzo omonimo del 1870 di Leopold von
Sacher-Masoch. Se vi state chiedendo come mai il cognome di quest'uomo ricorda
molto il termine "masochismo", ebbene sì, è proprio come pensate. Si
tratta infatti di un romanzo erotico, che narra la vicenda autobiografica dello
scrittore Sacher-Masoch, il quale decise, assieme all'amante Fanny Pistor, di
stipulare un contratto che l'avrebbe reso suo schiavo. Nel romanzo egli cambiò
il nome della donna in Wanda von Dunajew, nome che a sua volta la moglie,
Aurora von Rümelin, utilizzò come pseudonimo quando decise di pubblicare le
proprie memorie.
Si tratta in un'incredibile storia di scatole cinesi. Infatti Polański prende questa vicenda e ne fa un film a sua volta estremamente autobiografico. Il protagonista si chiama ora Thomas ed è interpretato da Mathieu Amalric, un regista teatrale alla ricerca della giusta protagonista che possa interpretare Wanda, per la realizzazione di un'opera teatrale ispirata al romanzo Venere in Pelliccia. Al termine di una giornata poco proficua, si presenta per il provino una donna di nome Vanda (interpretata dalla sensualissima Emmanuelle Seigner, moglie di Polański nella vita reale). E' subito chiaro che la donna non ha colto l'atmosfera del romanzo, essendosi vestita in pelle e lattice, come se dovesse interpretare uno spettacolo sado-maso. Thomas vorrebbe cacciarla: non arriva quel colpo di fulmine che dovrebbe aiutare il regista nella scelta degli attori protagonisti e Vanda si esprime come uno scaricatore di porto. Dopo lunghe insistenze, la donna si cambia d'abito ed inizia il provino, recitando da pagina 3. Ed ecco la magia. Vanda è Wanda, la sua voce nella recitazione è incantevole, Thomas ne è folgorato.
Tutto il film è ambientato all'interno
del teatro (esattamente come Carnage era interamente girato all'interno
di un appartamento): il provino iniziale si trasforma nella messa in scena
dello spettacolo, per opera dei protagonisti che recitano davanti ad una platea
vuota. L'intera vicenda ruota attorno al continuo scambio di ruoli tra dominatore
e dominato, così come è nel romanzo. Se inizialmente è Vanda ad essere
dominata, con il passare dei minuti tutto cambia, ed è Thomas ad essere
soggiogato, nell'interpretazione e nella realtà, da questa donna meravigliosa e
misteriosa. Una tensione sessuale che non si consuma mai, poiché i due
protagonisti non si sfiorano sino allo scatenarsi definitivo della violenza che
si manifesta in uno schiaffo violentissimo. Non lo sappiamo ma stiamo
assistendo alla realizzazione di quella famosa teoria su cui tutti i professori
di filosofia insistono tanto: la dialettica servo-padrone di Hegel. Per usare
le parole del filosofo, non è l'amore che consente all'individuo di farsi
riconoscere nella propria autocoscienza, nel proprio essere libero e pensante, ma
piuttosto "la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del
negativo". Il riconoscimento della propria indipendenza passa attraverso
un conflitto nel quale un contendente si subordina all'altro nel rapporto
servo-padrone. Il signore è chi ha messo in pericolo la propria vita fino ad
ottenere una vittoria, il servo è invece colui che ha scelto la schiavitù per
salvarsi. L'inversione dei ruoli secondo Hegel sta nel fatto che "il
signore diviene servo del servo ed il servo signore del signore", infatti
il padrone non potrebbe vivere senza il lavoro del servo, mentre il servo si
rende indipendente nel lavorare le cose di cui il signore si nutre.
Nel film però accade qualcosa che va
oltre: Vanda conosce questa dinamica e decide di far provare a Thomas la vera
schiavitù. Il regista perde anche la propria identità e di lui rimane solo un
corpo ignorato, alla stregua di una carcassa abbandonata al termine di una
lotta, solo, senza più l'altra parte con la quale dialogare dialetticamente.
Un film sublime: nella recitazione, nella
messa in scena, e in tutti quei piccoli dettagli (i suoni che accompagnano i
gesti dei due attori mentre fingono di bere il caffè, strappare un foglio…) che
rendono un lungometraggio un'opera d'arte. Rimane solo un dubbio: Vanda è una Venere,
una proiezione onirica del regista, o semplicemente una sciacquetta che vuole
farla pagare a qualcuno? Una cosa è certa: "Shiny boots of leather,
whiplash girlchild in the dark, come in bells, your servant, don't forsake him,
strike, dear mistress, and cure his heart".
Roberta Cristofori
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