Unione Europea: si temporeggia con Budapest, ci si affretta con Nicosia.


Forse non tutti lo sanno ma poco più di un mese fa in Ungheria, nel cuore della civilissima UE, è stata approvata una nuova costituzione che viola alcuni diritti civili fondamentali, come la libertà di espressione e di parola oltre ad un principio cardine della democrazia, quello della separazione dei poteri. Oggi, a causa di queste leggi promulgate dal leader ungherese anti-europeista e nazional-populista Viktor Orban, la Corte Costituzionale ungherese potrà semplicemente vagliare le leggi senza alcun potere di veto, oppure si potranno censurare giornali che minacceranno “la dignità della nazione ungherese" o, ancora, i laureati saranno obbligati a rimanere all’interno dei confini per almeno un periodo uguale a quello dei loro studi fino ad arrivare a 10 anni, pena il rimborso dei costi dei studi stessi. Credo che il carattere oppressivo di queste leggi si commenti da solo.
Tuttavia la reazione dell’UE è stata lenta e poco efficace. Dapprima il presidente della commissione Barroso, congiuntamente al Consiglio d’Europa, ha cautamente condannato la spirale autoritaria di Orban e solo da poco si sta meditando a proposito di un'inedita applicazione dell’articolo 7 dei Trattati UE che prevede sanzioni di tipo politico ed economico contro uno stato membro, come la sospensione dal diritto di voto nel Consiglio Europeo. Tuttavia il primo ministro ungherese conta sull’appoggio del PPE ( Partito Popolare Europeo in cui è presente anche la CDU guidata da Angela Merkel), di cui fa scandalosamente ancora parte, per evitare le sanzioni.
La mia riflessione parte dalla differenza di priorità attribuita da Bruxelles alla crisi del settore bancario a Cipro rispetto alla soppressione di alcuni principi basilari della democrazia e di una società libera e pluralista. Le immagini dei furgoni pieni di denaro che, nel buio della notte, si precipitavano furtivamente a Nicosia per rifornire i bancomat sono vivide nella mente, mentre nessuno si è preoccupato di quello che è stato ribattezzato il “Golpe Bianco” ungherese. La tempestività con cui le istituzioni europee hanno affrontato il salvataggio delle finanze cipriote contrasta con la riluttanza ad esprimere una doverosa condanna e ad applicare le relative sanzioni a Budapest. La disparità nel trattamento delle due vicende si è riflessa anche nel colpevole silenzio dei media europei sulla deriva autoritaria del governo magiaro.
In un così delicato momento per l’immagine dell’UE nei confronti della propria opinione pubblica, causato dall’incipiente crisi economica della zona Euro, prendere una posizione più severa nei confronti dell’Ungheria sarebbe stato cruciale per riaffermare i valori che stanno alla base del progetto europeo. La democrazia, il pluralismo e il rispetto dei diritti civili, politici e sociali sono capisaldi non negoziabili e non discutibili dell’UE e dei suoi stati membri. Qualsiasi minaccia a queste linee guida deve essere interpretata come una minaccia all’Unione stessa e alla sua (già deficitaria) legittimità. L’autogol di Barroso e colleghi è amplificato, a mio avviso, dalla sordità rispettoso e voci più o meno critiche della cittadinanza: privilegiando anche in questa occasione la dimensione strettamente economica dell’integrazione europea, si dà ragione a coloro che vedono nell’Unione un’istituzione interessata solamente e ineluttabilmente ai parametri macroeconomici e finanziari, come il debito pubblico o lo spread, e lontana dalla tutela delle esigenze e dei diritti dei suoi cittadini. Si dà ragione ai partiti e ai movimenti populisti e anti- europeisti che brulicano e si rafforzano in quasi tutti gli stati membri. Si dà ragione a chi manifesta nelle piazze europee, civilmente e non, il proprio dissenso nei confronti delle misure di austerità.
Vorrei chiudere con un’ultima considerazione. Pochi mesi fa l’Unione Europea è stata insignita del Premio Nobel per la Pace per aver contribuito, durante la sua storia, alla stabilizzazione pacifica di scenari potenzialmente esplosivi, dalla penisola Iberica negli anni settanta ai paesi dell’Europa orientale dopo il crollo del muro di Berlino passando per la polveriera balcanica, esportando i principi dello Stato di Diritto e della democrazia rappresentativa. Alcuni studiosi, per questa sua vocazione, hanno attribuito all’UE la definizione di “Potenza Civile”; nel senso di entità politica interessata principalmente nell’affermazione e nella tutela della pace e dei diritti civili nel mondo. Una potenza senza interessi strategici e materiali preponderanti e senza un esercito forte adibito a perseguirli. Credo dunque che Bruxelles, per conservare in un futuro prossimo questo suo ruolo di guida nella promozione della pace e per mantenere la propria credibilità, non possa tollerare ulteriormente lo scardinamento delle principali istituzioni democratiche e la messa in discussione dei diritti civili del popolo ungherese operata da Viktor Orban.
Valerio Vignoli

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