Siamo negli anni ’70 e a Roma, per chi bazzica in certi
ambienti, è inimmaginabile non conoscere il sig. Mario Aglialoro. Quest’uomo
dall’accento spiccatamente siciliano in poco tempo dal controllo delle sale da gioco,
trasferisce la sua attenzione sul traffico di eroina nella capitale,
intrattenendo legami con la banda della Magliana, che da anni detiene il
monopolio dello spaccio. Ma il signor Mario non ha a che fare solo con
criminali, si interessa anche di politica ed è in ottimi rapporti con i più
illustri esponenti dell’alta finanza della città, primo fra tutti Roberto
Calvi. Tutti si chiedevano come potesse una persona tanto normale, diventare in
pochi mesi il burattinaio dell’intera città. Semplice! Il sig. Mario Aglialoro
altri non è se non Pippo Calò, il cassiere di Cosa nostra, che ricicla il
denaro sporco proveniente dalle attività criminali della mafia investendolo nel
banco Ambrosiano, del quale Calvi è presidente.
Pippo Calò |
Pippo Calò, della famiglia di Porta Nuova, si era schierato
dalla parte dei corleonesi di Riina che stavano conquistando rapidamente il
potere su tutta la provincia di Palermo, e con la provincia di Palermo su tutta
la Sicilia. Erano anni nei quali il denaro circolava massicciamente e Calò
aveva scelto bene la fila in cui militare, anche se prima di questo patto non
si era mai verificato nella storia di Cosa Nostra che il capo mandamento di una
famiglia di Palermo facesse gli interessi di una famiglia della provincia.
Ma con l’occhio proiettato al futuro si comprende bene il
perché di siffatto inconsueto gesto; da lì a poco tutti gli esponenti delle
famiglie di Palermo vennero trucidati nella seconda guerra di mafia e Calò ne
uscì illeso.
Facendo un balzo in
avanti nel tempo di trent’anni, notiamo come la vecchia mafia sia stata messa
con le spalle al muro dopo l’arresto di Bernardo Provenzano nel 2006 e la fine
dell’egemonia corleonese.
Ma sbaglia chi abbassa la guardia. Infatti dopo meticolose
indagini durate tre anni, i carabinieri di Monreale (PA) hanno di recente
smantellato il supermandamento di
Camporeale, nato dalla fusione delle famiglie di Partinico e San Giuseppe Jato.
Il delicato incarico di riorganizzare l’assetto di Cosa Nostra era stato
affidato ad Antonino Sciortino, un allevatore che era tornato in libertà dopo
aver scontato la sua pena sotto il regime del 41 bis, meglio definibile come il
manager del restyling dell’organizzazione.
Antonino Sciortino |
Dalle copiose intercettazioni ambientali risulta che le
famiglie di questi piccoli centri rurali della provincia di Palermo non
riuscivano a svolgere al meglio l’ “ordinaria amministrazione” criminale e che
da otto anni si profilava la commistione fra i tre paesi. Tutto questo è dovuto
alla ingente migrazione di giovani verso il nord Italia, che sottraggono
manovalanza alla criminalità e altresì alla crisi economica degli ultimi anni,
che causando la chiusura di imprese, aziende e attività commerciali non
rimpingua le casse della mafia come un tempo. La criminalità sente la crisi e
cerca di mettere in atto piani di salvataggio che contrastano anche con la
salvaguardia della “famiglia”. E’ il momento giusto per infliggere un duro
colpo alla mafia. Se Cosa Nostra perde il controllo sul territorio diventa
un’organizzazione criminale come tante altre, e quindi molto più vulnerabile,
prevedibile e di conseguenza reprimibile.
Provincia di Palermo. Le zone evidenziate corrispondono ai territori delle famiglie del Super-mandamento di Camporeale |
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