Annientamento di Jeff VanderMeer è una curiosa novità editoriale che ha suscitato pure i complimenti di Stephen King. Pubblicato da Einaudi, presenta una misteriosa (!) sovraccoperta trasparente su cui sono stampati i dati del libro e una sintetica introduzione sui risvolti. Sulla copertina un viso di donna piuttosto verde con un occhio spalancato e fisso si fa intravedere a fatica in mezzo a una rigogliosa vegetazione, rendendo questo libro vagamente inquietante.
La trama in breve
(e senza spoiler): una biologa (voce narrante), una psicologa,
un’antropologa e una topografa fanno parte della dodicesima
spedizione esplorativa organizzata da un oscuro ente governativo, e
che deve addentrarsi nell’Area X, una zona misteriosa in costante
espansione sulla costa degli Stati Uniti in cui sembra che le leggi
fisiche vengano distorte, e in cui accade ogni genere di eventi
inspiegabili. Le precedenti undici esplorazioni si sono concluse nei
modi più disparati, ma tutti misteriosi: dai suicidi di massa alle
sparatorie, con alcuni studiosi che sono riusciti a tornare, ma lo
hanno fatto come spogliati della loro individualità, semplici automi
che appena arrivati a casa (non sapendo come hanno fatto) sono stati
requisiti dal governo per essere internati in una struttura e morire
di cancro pochi mesi dopo. Difficile essere più precisi, perché in
realtà nemmeno il romanzo lo è.
Nomi di persona non ce ne sono. I
quattro personaggi sono designati soltanto con la loro professione.
In più compare un “marito” e altre figure marginali, ma nessun
nome. È come se le singole individualità si fossero tutte annullate
entrando nella misteriosa Area X.
Con le parole dell’autore: “L’Area
X è per l’uomo quello che per l’uomo è per gli altri animali.
Un’entità superiore le cui azioni risultano incomprensibili”. La
definizione fa parecchia luce sui molti aspetti che restano oscuri
leggendo il romanzo: si capisce innanzitutto che l’Area X non è, a
dispetto del nome, una semplice “area”, intesa come porzione di
territorio, bensì una specie di iper-organismo formato da una serie
di altri organismi minori che in qualche modo sono riusciti a
“connettersi” per perseguire uno scopo comune. Cosa l’abbia
creata, quale sia questo scopo e anche che cosa sia di preciso l’Area
X (un luogo reale? Un luogo della mente? Un paesaggio onirico?), non
è dato sapere.
VanderMeer sovverte in questo romanzo
il forse abusato tema dell’uomo contro la natura. Qui è la natura
che decide di muoversi contro l’uomo, ma in un modo che l’uomo
stesso non riesce a comprendere. Il parallelo inquietante che viene
in mente è quello con i rischi (non adeguatamente presi sul serio, a
mio parere) di un’eccessiva informatizzazione del mondo.
L’intelligenza artificiale potrebbe, un giorno, diventare
indipendente dall’uomo e decidere di annientarlo: non per pura
volontà omicida o per rancore, ma semplicemente per un imperativo
darwiniano. Proprio come sembra fare l’Area X, che si comporta come
un immenso predatore che non uccide le persone (tendono infatti a
uccidersi tra loro) ma ne annulla l’individualità, come se stesse
tentando di inglobarle.
L’Area X è
popolata di figure misteriose che si muovono nell’ombra e da
fenomeni inspiegabili: una creatura che di sera nella palude emette
un lamento costante e disperato (e verrebbe da dire: ma perché i
lamenti disperati si devono sentire sempre di sera e
nella palude? Un mostro diurno sarebbe così innovativo!).
Delfini con occhi incredibilmente umani, tanto da instillare il
sospetto di arcane metamorfosi. Un guardiano misteriosamente
scomparso da un faro abbandonato che sembra aver sopportato un
apocalittico assedio. Un tunnel che si addentra nelle profondità
della terra e nelle cui pareti sono scritte parole che riecheggiano
lo stile di certi salmi biblici o delle profezie di Nostradamus.
L’atmosfera complessiva ricorda
molto da vicino certi racconti di Howard Lovecraft: orrori indicibili
(letteralmente: non vengono descritti), figure misteriose ammantate
di ombra, informi, incorporee (o forse sì? Non si capisce). In ogni
caso terrificanti. E il terrore sembra essere l’unica molla che
muove i personaggi grazie all’enorme forza propulsiva dell’ignoto.
Si tende spesso a sottovalutare il
potere della non-descrizione: qualcosa di nominato ma non spiegato
sprigiona una forza attrattiva notevole, dovuta al buon vecchio
fascino per l’ignoto che, da “fatti non foste…” fino alla
meccanica quantistica, passando per l’invenzione della ruota, ha
mosso e continua a muovere il progresso umano.
VanderMeer è evidentemente un maestro
di questa tecnica: tuttavia, sebbene la utilizzi per tutto il
romanzo, questo non risulta affatto noioso, complice forse la sua
brevità (appena 182 pagine: effettivamente è un po’ poco per una
prima parte di una trilogia, forse pubblicare tutto assieme sarebbe
stato più pratico). Inoltre in Annientamento si perde
l’atmosfera forse esageratamente angosciosa e cupa che caratterizza
i racconti di Lovecraft, in favore di una visione decisamente più
lucida dei fenomeni (pur misteriosi e terrificanti) di cui i
personaggi sono testimoni. Inoltre, quando i personaggi di Lovecraft
incappano nel mistero, inevitabilmente si trovano soli contro di
esso: sono figure eroiche e titaniche che cercano di svelarlo e,
quando ci riescono, quello che scoprono è talmente terrificante e
insopportabile da portarli solitamente alla follia. In Annientamento
invece pare che la sete di conoscenza e di razionalità non sia così
pressante. I personaggi vogliono sapere, certo (e chi non vorrebbe?),
ma non vengono sopraffatti da quello che scoprono per due motivi:
innanzitutto non scoprono granché (e non dovremmo aspettarci di più,
trattandosi di una prima parte di trilogia); e in secondo luogo
forse, avendo perso i loro nomi, sono in qualche modo soltanto parti
di un organismo più grande, e hanno perso la capacità di ergersi
come figure solitarie contro il mistero.
Insomma, se le vostre peggiori paure
hanno una forma o una concretezza terrena (che so, i ragni, i
serpenti, persino la morte o i clown), allora rilassatevi,
Annientamento per voi sarà probabilmente niente più che un
curioso ma ben scritto romanzo al confine tra la fantascienza e la
filosofia.
Se invece temete più di tutto
l’ignoto, o qualcosa che non ha forma né definizione precisa,
allora direi che questo è il libro che fa per voi.
Alessio Venier
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