SundayUp - Gli "Indoeuropei" rivisitati: il popolo fantasma, pt. I

GLI "INDOEUROPEI RIVISITATI"
Parte I - Il popolo fantasma

Chiunque si dedichi oggi ad affrontare lo studio di una lingua (antica o moderna) presto o tardi si imbatte nel termine “indoeuropeo”, usato per indicare una famiglia di lingue che si suppone siano derivate, in tempi e modi diversi, da un’unica lingua-matrice, appunto l’“indoeuropeo” (scusate le virgolette, saranno chiare tra poco!). Lingue “indoeuropee” sarebbero, a leggere una qualsiasi grammatica, il sanscrito, il greco, l’antico slavo, l’antico germanico, alcuni dialetti della Cina continentale, l’armeno, l’albanese, e naturalmente tutte le lingue derivate da queste. Fatti i debiti conti, tutte le lingue parlate in Europa al giorno d’oggi risultano “indoeuropee”, con l’eccezione di basco, finlandese, estone, ungherese e di una manciata di altri idiomi di confine.
Le prove di questa parentela tra lingue così diverse (nel tempo e nello spazio) sono alcuni termini, che risultano non casualmente simili in tutte, per esempio: il sanscrito pitàr, il greco patèr, il latino pater, il tedesco Vater, l’inglese father sono evidentemente accomunati da un’origine comune, non condivisa, sempre per esempio, dal finlandese isä o dal basco aita.
Ormai è dal ‘700 che i linguisti cercano senza sosta di scoprire nuove parentele e di ipotizzare nuove radici che accomunino termini anche lontanissimi. Se però dedurre un ipotetico *pəter (l’asterisco indica che la forma non è attestata) da tutti i vocaboli elencati sopra è piuttosto semplice, diventa più difficile scovare la parentela tra acqua e water. I linguisti, scervellandosi un po’, approdarono a *akwas, che potrebbe spiegare entrambe le forme come derivate la prima dalla prima sillaba, e la seconda dall’ultima. Proseguendo in questo modo, tuttavia, ci si imbatte in radici come *wļH2neH2, che, è inutile dirlo, sono difficili anche solo da pronunciare, figurarsi da usare in un linguaggio di tutti i giorni. Questa radice, per inciso, spiegherebbe la parentela tra lana e wool (e, nonostante la somiglianza, non è una formula chimica).

fonte: dnghu.org
Data per assodata la difficoltà estrema di pronunciare l’“indoeuropeo” (almeno certi vocaboli), si cercò almeno di inquadrare storicamente il popolo che l’avrebbe parlato. Dopotutto un popolo capace di diffondere la propria lingua in tutto il mondo, dalle isole britanniche fino alla Cina, qualche traccia concreta (oltre alla lingua) l’avrà pur lasciata. Invece no. A ben guardare, non si trova nulla. Gli “indoeuropei”, una popolazione di cacciatori preistorici resa dominante dalla domesticazione del cavallo, avrebbero invaso una porzione di pianeta di tutto rispetto riuscendo a unificarla sotto un’unica lingua e, incredibilmente, a influenzare anche lingue molto più recenti (di migliaia di anni) come l’egiziano, il germanico e il latino, naturalmente senza conoscere la scrittura e senza aerei di linea e TAV, nonché senza lasciare alcuna altra traccia di sé. Qualcosa non torna. Di fatto, a detta di archeologi e paleoantropologi, collocare nella storia i misteriosi “indoeuropei” è sempre più difficile.
Ricercando oggi una lingua comune che permetta le comunicazioni e lo scambio di informazioni di ogni tipo in tutto il mondo, non avremmo dubbi: è l’inglese. Nel mondo medievale questo stesso ruolo era svolto dal latino. Prima ancora dal greco. E prima del greco si può individuare una lingua che per quasi un millennio fu parlata in tutto il medio oriente, fino a tutto il bacino del Mediterraneo e anche al di fuori, spingendosi fino alla Cina, all’India e all’Africa. Questa stessa lingua, perfettamente conosciuta nelle sue forme e nel suo lessico, è una lingua di ceppo semitico, e a uno sguardo attento (ma neanche tanto, come si vedrà) risulta perfettamente chiaro come abbia originato tutte le altre lingue parlate nell’occidente moderno (fondamentale in questo campo di studi è stato il contributo italiano, in particolare quello del linguista Giovanni Semerano).
Per non rendere queste due puntate linguistiche uno snervante giallo, rivelo subito il nome dell’assassino dell’“indoeuropeo”: la lingua misteriosa è l’accadico. In accadico sono scritti i testi babilonesi, documenti assiri, le corrispondenze diplomatiche dei faraoni egiziani. Un dialetto accadico parlavano i Fenici, che colonizzarono le coste del Mediterraneo giungendo fino in Francia e in Spagna. La diffusione dell’accadico è capillare, verso sud si dirige verso l’Arabia e da qui in India e verso l’estremo oriente, verso nord segue la via dell’ambra fino ad arrivare sulle coste del Baltico. Si diffonde successivamente agli Sciti sulle sponde del Mar Nero, che lo trasmettono ai Sarmati delle steppe, che diventeranno i futuri Germani.
L’“indoeuropeo” esiste, e sta alla base di tutte le moderne lingue dell’occidente, ma non è una lingua misteriosa e sconosciuta. La misteriosa lingua del misteriosissimo popolo dalla storia oscura si rivela essere qualcosa che è sotto gli occhi degli studiosi da almeno un secolo.

(continua...)

Alessio Venier
(con il fondamentale contributo del prof. Luigi Lera)

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