Sarebbe
bello poter dire de La
Trattativa: «Piaciuto
il film, eh? Intenso, coinvolgente, anche se a tratti la
regista ha un po' calcato la mano, certi episodi sono chiaramente di
fantasia». Ma un attimo:
l'ipotesi della trattativa stato-mafia in Italia è verosimile.
Quindi quello che viene raccontato nel film è tutto realmente
accaduto e storicamente registrato. Caro italiano, rassegnati, nel
Belpaese la realtà supera (quasi sempre) la fantasia.

La
narrazione ha inizio in carcere, vediamo un uomo prelevato dalla
propria cella incamminarsi assieme ad un esponente delle forze
dell'ordine e ad un prete, lungo un corridoio buio. Il detenuto deve
sostenere un esame di Teologia, e viene perciò portato davanti alla
commissione d'esame. Di chi si tratta? Nientepopodimeno che: Gaspare
Spatuzza, il collaboratore di giustizia, ex membro di Cosa Nostra. Il
colloquio con i professori, ed in particolare una domanda che gli
viene posta sul “concetto di Grazia”, è l'espediente che innesca
il ricordo di Spatuzza sul quale poggia l'intera ricostruzione. Eh sì
perché non si tratta d'altro se non di ricostruzione. Il lavoro
compiuto dalla regista Sabina Guzzanti è stato quello di mettere
assieme eventi storici documentati, per connetterli tra loro ed
offrire allo spettatore una visione d'insieme che individualmente
richiederebbe un lunghissimo lavoro di approfondimento e apertura di
link ipertestuali su Wikipedia.

I
volti e i nomi dei protagonisti della nostra storia contemporanea si
succedono, uno dietro l'altro, sia attraverso immagini di repertorio
(ad esempio le riprese giornalistiche dopo la strage di Capaci), sia
con interviste realizzate appositamene per il film, che con attori
che prestano la loro persona per interpretare questi personaggi. Il
sindaco di Palermo Vito Ciancimino, il falso pentito Vincenzo
Scarantino, Berlusconi (che non necessita epiteti), il boss Stefano
Bontate, il colonnello Michele Riccio, l'infiltrato Luigi Ilardo,
l'ufficiale del ROS Mario Mori, il boss Bernardo Provenzano, and
other more. Tra una sequenza e l'altra alcune infografiche aiutano lo
spettatore a non perdere il filo del discorso. Sono quindi diversi i
registri narrativi utilizzati, messi assieme per formare un “racconto
cinematografico. Spesso lo chiamano 'documentario', 'inchiesta
giornalistica', no: questo è un film drammatico, e per ignoranza in
questo Paese lo chiamano 'docu-fiction', che è un termine da capre”.
E non è nemmeno un film di informazione: “Si dice tanto che ci
mancano le informazioni, la verità è che noi siamo bombardati di
informazioni di cui non capiamo il senso. In questo film non c'è
niente di nuovo per chi conosce la materia. Per chi invece la conosce
come la conosciamo tutti, è importante il fatto che finalmente le
informazioni siano collegate tra loro e si possa capire perché sono
importanti”. Utilizzare diversi registri ha sicuramente una
funzione didattica ed è utile all'economia dell'intreccio, ma
origina anche da due fonti d'ispirazione di tutto rispetto. Da un
lato ricordiamo il Petri di Tre
ipotesi sulla morte di Pinelli
(1970), dall'altro il Rosi de Il
caso Mattei (1972)
– da sottolineare che in entrambi i film il protagonista è
interpretato dal grande Gian Maria Volontè. In entrambi i casi alla
cronaca viene affiancata la “ricostruzione”, in un intreccio
molto simile a quello de La
Trattativa,
in cui il regista interviene personalmente per spiegare e dire la
sua.

A parte
la rabbia ascendente che sfocia in una grossa risata straniata quando
vediamo finalmente comparire il faccione di Berlusconi-Guzzanti, c'è
qualcos'altro che rimane: la sensazione che la soluzione offerta
dalla regista sia un po' troppo “berlusconicentrica”. È fuori
dubbio che Cosa Nostra abbia cessato le stragi subito dopo le
elezioni del '94, con l'inizio della Seconda Repubblica, e che sia
stato suggerito dai boss durante diverse riunioni mafiose di votare
Forza Italia (accertato dalla testimonianza dell'infiltrato Ilardo),
eppure questo voler ridurre la conclusione delle tensioni alla scelta
del Cavaliere pare un po' asfittica. Sembra tutta una strategia di
packaging del candidato volta ad incastrare il “povero”
Berlusconi, investito di una carica fin troppo grande per lui: quella
di portavoce dello Stato(-mafia) italiano, della quale nemmeno lui
era pienamente consapevole. Un personaggio imbarazzante a tratti, dal
quale i boss si allontanano nel periodo del bunga-bunga, perché un
uomo di mafia non avrebbe mai fatto quel genere di cose.
Definire
questa come “La” trattativa non risulta leggermente riduttivo?
Berlusconi è veramente l'anomalia italiana, o piuttosto l'ultimo
grottesco rappresentante di un fenomeno che nel nostro Paese va
avanti da sempre? Quelle immagini di Pertini e Berlinguer in lacrime
nella sequenza conclusiva tradiscono un'idealizzazione della vecchia
politica, intesa come migliore di quella attuale. Ma ricordiamoci che
– come d'altronde afferma lo stesso film – i rappresentanti dello
Stato italiano durante la Prima Repubblica hanno in diverse occasioni
intrattenuto rapporti con la mafia (legami tra servizi segreti,
estrema destra eversiva ed organizzazioni mafiose durante gli anni
'70, legami d'affari tra DC e boss mafiosi in Sicilia, come nel caso
di Salvo Lima, il processo Andreotti). Sia chiaro: non si vuole
assolutamente assolvere la figura di Berlusconi, ma d'altro canto non
convince l'idea per cui lui rappresenti la degenerazione rispetto ad
un passato mitico di politica onesta. Forse la Guzzanti voleva
semplificare il racconto per rendere la narrazione più agevole allo
spettatore e non entrare troppo nel merito di personaggi secondari
che avrebbero detto poco ai meno informati. A parte questo dettaglio,
il merito della regista resta sicuramente quello di stimolare una
riflessione fruttuosa in merito alla nostra classe politica e a ciò
che noi, da spettatori passivi, potremmo fare per divenire attori:
“Bisogna darsi da fare per cambiare le cose, non accade mai che
arrivi qualcuno e le cambi per te”.

Roberta Cristofori
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