The Sunday UP: Sacro G.R.A. e il Neorealismo mancato (Rosi 2013)

La Mostra del cinema di Venezia è sempre stata il fiore all’occhiello dell’Italia e dell’Europa. La pregiata statuina d’oro è un marchio di qualità per tutti i cinefili del mondo che aspettano la fine dell’estate per sapere il titolo del film che meriterà il prezzo del biglietto del cinema. Venezia ha, infatti, sempre premiato l’originalità e la bellezza “dura e pura” e non la vendibilità del prodotto al botteghino.
Basta scorrere i titoli premiati dal 1946 e si può legge la storia del cinema contemporaneo. Da Monicelli a Rossellini, passando per “Le mani sulla città”, Venezia ha riconosciuto le tematiche sociali e la denuncia di un mondo, quello degli anni sessanta, del boom economico e delle persistenti ingiustizie sociali. Gli anni settanta hanno portato temi fin allora considerati proibiti come in “Belle del jour” il discusso film di Bonuel ed “Anni di Piombo”, per arrivare poi agli orientali con Kitano ed il suo “Fiori di fuoco” e alle perle dei giorni d’oggi come lo splendido “Somewhere” della giovane Coppola. Questi sono solo alcuni dei titoli che hanno segnato la differenza tra film e capolavoro; ovvero la capacità di rappresentare tematiche incisive di un momento storico ben preciso attraverso tecniche e sensibilità artistiche notevoli.

Il film vincitore della settantesima mostra del cinema di Venezia è stato “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi, una pellicola tutta italiana che ha fatto molto discutere gli appassionati e fedeli della mostra veneziana. In prima analisi non è facile definire “Sacro GRA” un film; un film ha un lavoro complesso alle spalle, una struttura solida di tecniche, astuzie e finzioni che combinate insieme creano lo spettacolo assolutamente artefatto del cinema. Quando si filma la realtà nuda, senza abbellimenti ed "artifizi" allora si gira un documentario, che è ben altra cosa.


GRA Rosi Venezia


L’ibrido di Rosi risulta così una creatura che non trova una precisa categorizzazione. Il regista ha percorso per tre anni il grande raccordo anulare di Roma, venendo a conoscenza di personaggi “felliniani” che popolano i pressi della celebre strada, maschere tipicamente italiane che incarnano i pregi e difetti della nostra società ma che rimangono sole ed abbandonate nella pellicola di Rosi. Chi ha apprezzato il Sacro GRA ne riconosce il duro realismo e la veridicità delle scene descritte; ma come può definirsi questo “realismo”?
Il realismo cinematografico è stato quello degli anni dopo la seconda guerra mondiale, quello di Dino Risi e De Sica, quello di "Roma città aperta" e di Anna Magnani, quello che raccontava della difficile condizione dei braccianti e delle mondine creando una storia, seppur romanzata, intorno ai personaggi. Rosi invece preferisce non raccontare alcuna storia, lasciando allo spettatore l’incarico di giudicare da solo le immagine crude e fredde che passano sullo schermo. Un nuovo neorealismo? Non proprio, manca infatti una base solida a cui appoggiarsi, un appiglio letterario o politico dal quale far scaturire una riflessione. La completa mancanza di cura delle immagini e di “artifizi” cinematografici suggerisce l’idea, forse, che questa opera non possa definirsi film, ma documentario.

Forse la stimatissima giuria della settantesima Mostra del cinema di Venezia ha voluto premiare l’originalità dell’opera di Rosi, ma ha certamente escluso lavori ben più meritevoli e che possono vantare l’appellativo di film. Il Sacro GRA rappresenterà in futuro un momento storico come hanno fatto i titoli che l’hanno preceduto? Ai posteri l’ardua, (molto ardua) sentenza.

Gaia Taffoni

1 commento:

  1. Se da un certo punto di vista sono d'accordo con te, e probabilmente c'erano titoli più meritevoli del Leone, mi trovo in disaccordo sulle motivazioni: dove sta scritto che un documentario non è un film? E' vero, definirlo "nuovo neorealismo" è azzardato, ma la definizione non lo rende "meno film".

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