Non è una provincia per il PD

Il PD si afferma alle Amministrative, ma è lontano dalle città che può fare la differenza.



Mi sembra che ci sia un consenso abbastanza unanime nel ritenere che questa tornata di Elezioni Amministrative sia stata un discreto successo per il Partito Democratico, flagellato da una serie incredibile di traumi negli ultimi mesi, dai franchi tiratori alla candidatura di Prodi a Presidente della Repubblica al governo in coalizione con il PDL. Particolarmente rilevante è stata la netta affermazione di Ignazio Marino a Roma che ha conquistato all’incirca il 42% delle preferenze, staccando di 12 lunghezze il sindaco uscente Gianni Alemanno. Inoltre sono state incoraggianti le percentuali uscite dalle urne a Brescia e Treviso, due comuni tradizionalmente governati dal centrodestra, in cui i candidati PD si presenteranno in posizione di vantaggio al ballottaggio. Sorprendente anche il verdetto di Siena, dove il candidato del partito non ha particolarmente risentito dell’onda lunga negativa dello scandalo Monte dei Paschi.


Se ce n’era bisogno, si è avuta la dimostrazione della solidità e del senso di appartenenza dell’elettorato del Partito Democratico che, nonostante i segnali di malumore e di insofferenza espressi recentemente (basti pensare alle tessere bruciate dai militanti a seguito della decisione di non appoggiare Rodotà nella corsa al Quirinale), si reca puntualmente alle urne per sostenere il proprio partito, anche nelle cosiddette “Elezioni di secondo ordine” come le amministrative. Questa caratteristica mi sembra che distingua nettamente il PD dai suoi principali competitors che hanno sofferto l’inquietante ed elevatissimo livello di astensione. Alemanno per giustificare la sua débacle è arrivato a sostenere che “l’astensione è di destra” e che “la concomitanza del derby di Roma non l’ha aiutato”. Il Movimento 5 Stelle era riuscito a febbraio a canalizzare la delusione e il sentimento antipolitico e guadagnarsi il voto di chi altrimenti si sarebbe astenuto. Beh stavolta contava di meno e si sono astenuti e basta.

Alcuni osservatori hanno addotto come ragione ultima dell’affermazione romana di Marino il suo (cauto) criticismo riguardo al governo di larghe intese ed una sua presunta freddezza verso la classe dirigente del suo partito e, quindi, interpretato il voto come una condanna della base alle scelte dei vertici. Sinceramente non trovo questa analisi affatto convincente, tenuto conto del fatto che Marino proviene da quella stessa classe dirigente ed è stato eletto come candidato attraverso il sistema delle primarie di partito. Inoltre mi sembra limitativo valutare l’inattesa rimarchevole performance del PD esclusivamente in base alla partita che si è giocata per il Campidoglio.
Dunque è iniziata una grande risalita del centrosinistra, che è riuscito a smentire tutti coloro (ed erano in molti a dire la verità) che ne decretavano la morte imminente e la dissoluzione? Non è oro tutto quel che luccica. A mio modesto parere questa non è altro che la conferma di una tendenza che vede il PD rafforzarsi nei centri urbani ma, allo stesso tempo, faticare a conquistare voti lontano da essi. Oggi il centrosinistra ha in mano tutte le principali città italiane: Milano, Torino, Napoli, Venezia, Firenze, Bologna e presto potrebbe tornare pure a governare la capitale. Paradossalmente però in alcune delle regioni di cui questi comuni sono capoluoghi, come le tre grandi regione del Nord, ovvero Piemonte, Lombardia e Veneto (che compongono l’immaginaria macroregione padana) sono attualmente in carica Presidenti di centrodestra, o per meglio dire, nello specifico, della Lega.

Il Partito Democratico si sta progressivamente configurando come un soggetto politico urbano. Questo a causa dei suoi dogmatismi in materia fiscale, di un particolare occhio di riguardo agli impiegati pubblici ma, soprattutto, di una certa vocazione e di certi atteggiamenti un po’ medioborghesi e snob (al limite della spocchia talvolta). La provincia, quella tendenzialmente meno istruita, meno acculturata e in cui i trend arrivano più tardi ma anche quella operosa, quella fatta di campi da coltivare e di un fitto tessuto di piccole e medie imprese, quella che manda avanti materialmente questo paese, percepisce probabilmente il messaggio veicolato dal PD come poco incisivo, poco diretto, poco “terra terra”.


In tempi di cosiddetta “seconda repubblica”, bipolarismo e fluidità del voto è, tuttavia, cruciale oltrepassare i confini del proprio bacino elettorale per vincere le elezioni parlamentari. Se ci si pone come obiettivo la vittoria, non è sufficiente la conservazione delle proprie roccaforti e delle proprie classi di riferimento, per quanto fedeli, e bisogna puntare a convincere anche chi non ti ha votato nell’occasione precedente. Il salto di qualità il PD lo deve fare lontano dalle città, dove prevalgono logiche differenti, esigenze differenti e reti sociali differenti. Sarebbe auspicabile una svolta sia programmatica e sia comunicativa per fare breccia anche nei cuori delle periferie e sviluppare la tanto evocata “Vocazione Maggioritaria” . Una svolta senza un’aulica retorica del “politically correct” che maschera le incertezze e le divisioni. Una svolta priva di terminologie altisonanti e accademiche come “Mobilitazione Cognitiva” o “Catoblepismo”. Una svolta un po’ "pop". Anche un po’qualunquista, perché no. Una svolta un po’ Renzi.

Valerio Vignoli

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