Una delle principali criticità dei sistemi democratici dei
nostri tempi è quella della insufficiente rispondenza nei confronti dei
cittadini. Gli apparati burocratici e amministrativi tendono ad avvilupparsi
nelle loro gabbie dorate fatte di interessi nazionali e di vincoli
internazionali e a fare orecchie da mercante alle esigenze e ai bisogni dei
propri cittadini o di parte di essi. Tale problematica ha assunto un carattere
globale ed ha favorito la nascita di movimenti di protesta come Occupy Wall Street, che reclamano un maggior peso della popolazione e della comunità
globale nelle grandi decisioni dei governi e delle istituzioni sovranazionali.
Dal Brasile alla Medio Oriente, passando per la Zona Euro in
questi mesi il deficit di rispondenza dei regimi democratici (o supposti tali)
si è manifestato in tutta la sua gravità e con altrettanta forza si è palesata
la potenziale violenza derivante da una scarsa empatia dei governanti verso i
governati.
Tuttavia, nella giornata di ieri, è arrivato un segnale in
forte controtendenza dalla culla della democrazia rappresentativa, la Gran
Bretagna. Il parlamento di sua maestà riunito a Westminster ha bocciato lo
stanziamento di fondi per l'intervento in Siria, nonostante l'espressa volontà
del primo ministro Cameron di appoggiare gli Stati Uniti nell'operazione.
Questo voto penso che inciderà fortemente sul ruolo del Regno Unito in questo
complicato scenario. Ovviamente costituisce un durissimo colpo all'autorità e
alla legittimità di Cameron e del suo governo, considerando anche che alcuni
parlamentari Conservatori si sono uniti ai Laburisti su questo pronunciamento. Qualcuno nell'aula ha persino caldeggiato le dimissioni del Primo Ministro,
sconfitto su un tema di politica estera così urgente e saliente.
A questo punto Cameron sarebbe potuto andare dalla regina e
fare appello alla sua secolare Royal
Prerogative per superare il veto posto dal parlamento all'intervento siriano.
Eppure ha promesso solennemente davanti ai suoi colleghi a Westminster che non
lo farà, affermando che “gli sembra chiaro che il parlamento britannico,
riflettendo l'opinione del popolo britannico, non vuole la Gran Bretagna in questa missione e che il governo
agirà di conseguenza rispettando la decisione”.
Si possono dire tante cose di David Cameron come politico ma
non gli manca astuzia e buon senso. Meglio una batosta oggi in parlamento,
seppur cocente, che un crollo nei sondaggi di popolarità domani, imbarcandosi
in una guerra non condivisa dall'elettorato. Ancora brucia in Gran Bretagna la
ferita della missione irachena, mai digerita, ma soprattutto mai compresa, da
una vasta maggioranza della popolazione. Ed evidentemente le ripercussioni di
questa insofferenza si sono riversate anche nelle menti e nei punti di vista di
chi occupa i banchi e i palazzi delle istituzioni, attraverso un comune (o tale
dovrebbe essere) processo di rappresentanza degli elettori tramite gli eletti.
Un processo democratico se ce n'è uno. Tutto ciò a discapito del vizio inglese
di sdraiarsi acriticamente sulle posizioni in politica estera del grande
alleato americano e di rinverdire continuamente la “special relationship”.
Anche per tale ragione questo voto assume notevole significatività ed estrema
importanza.
Eccola dunque la risposta della più antica democrazia rappresentativa
al mondo alle falle dei contemporanei sistemi di governo e distribuzione del
potere. Una risposta decisa ma al contempo pacata. Senza bisogno di inutili e
costosi referendum. Senza vetrine di negozi assaltati e senza scontri a fuoco
tra poliziotti e manifestanti. Senza una goccia di sangue versato. Proprio come
nella Glorious Revolution del '600. “Gloriosa” perché pacifica e frutto di
una struttura politica funzionante che sa rinnovarsi guardandosi dentro ma senza
smettere mai di dare un'occhiata anche a quello che succede fuori, nelle strade
e nelle piazze. Rimanendo in contatto con la propria società, la propria
comunità, tastandone sempre il polso. Questo è il significato di “democrazia
rispondente”. Si prenda esempio, prego. In Italia e ovunque.
Valerio Vignoli
Nessun commento:
Posta un commento