I sogni imperiali di Putin e Erdogan

L’abbattimento del caccia russo Su-24 da parte dell’aeronautica militare turca avvenuto una settima fa esatta, non solo ha scatenato polemiche e tensioni all’interno del caos siriano e mediorientale, alimentando ancora gli allarmi di chi vede un terzo conflitto mondiale ormai imminente, ma ha anche dato slancio al dibattito su chi vede in questo “incidente” il segnale definitivo di una volontà di potenza neo-imperiale da parte di due degli attori più vista nella partita del Medio Oriente. Due rivali, che per obiettivi in comune, vicinanza geografica e peso nel processo geopolitico non si sono mai amati a causa proprio della loro grandezza e dei loro ruoli diversi nello scacchiere mondiale.


Putin ed Ergogan | Fonte: primocanale.it
Questo avvenimento, con la conseguente presa di posizione di Putin, il quale ha immediatamente ordinato sanzioni contro il governo di Erdogan, e del presidente turco, il quale ha definito l’abbattimento del velivolo militare di Mosca “giusto” in quanto questo aveva ripetutamente sconfinato nel territorio nazionale nonostante i continui avvisi di tornare indietro, ha generato dibattiti e articoli nella stampa di settore. Due subito sono balzati alla mia attenzione: uno di Julia Ioffe su Foreign Policy del 25 novembre, intitolato simbolicamente “The Czarvs. The Sultan", ed un altro pubblicato invece su Foreign Affairs del 30 novembre, intitolato “Clash of Empires” e scritto da Akin Unver. In entrambi i pezzi si nota subito una connotazione di autorità e desiderio di dominio dei rispettivi Stati. La ragione non sta solo nella partita infuocata che le due parti stanno giocando, utilizzando i loro importanti mezzi nel campo dell’hard power, per il controllo e l’influenza da esercitare nella partita siriana e nelle decisioni da prendere riguardo i futuri assetti del Paese (semmai una Siria unita esisterà anche all’indomani di questo sanguinoso e tragico conflitto civile). Russia e Turchia in questo momento stanno giocando la partita su chi dovrà essere, in caso, la potenza regionale che deciderà le sorti del Medio Oriente intero nei prossimi anni, quella che sarà in grado maggiormente di influenzare ed indirizzare (in primis) a suo vantaggio i nuovi scenari e i nuovi attori.
Quando parliamo di Mosca ed Ankara, analizzandone la storia e le trasformazioni, vediamo come la parola “impero” abbia giocato un ruolo da protagonista nelle loro vicissitudini. La Sublime Porta e la Terza Roma, fino alla Prima Guerra Mondiale, si sono sfidate sia nella contesa di Territori che entrambi dichiaravano sotto la propria sfera di influenza, sia nella protezione del loro credo religioso. Tra i mille esempi che si potrebbero fare, ricordiamo gli innumerevoli conflitti che misero di fronte le nuove potenze tra il 1700 e il 1800: le sollevazioni dei fratelli slavi di fede cristiano-ortodossa furono usate dalla Famiglia Romanov come pretesto per intervenire tra i Dardanelli e i Balcani per strappare territori sotto il controllo ottomano. Dopo la dissoluzione del Sultanato proclamata nel 1924 da Atatürk, la rivalità con la Russia, nel frattempo evoluta sotto un’altra forma imperiale, quella sovietica, proseguì sia sotto la contesa di diversi territori e Stati di confine, sia sotto la rivalità da Guerra Fredda che mise di fronte un solido membro della NATO contro la seconda potenza mondiale.
Oggi questa nuova velleità imperiale dei due attori, desiderosi di uscire al più presto da una condizione che li vede classificati come solamente “potenze regionali”, è rappresentata perfettamente dalle ambizioni di due leader prima uniti da notevoli intrecci di natura economica, oltre che dal marcato autoritarismo in politica interna che li contraddistingue. Uno, Erdogan, ha cavalcato un nazionalismo islamico che ha via via sostituito i caratteri moderati (che molti osservatori e leader politici internazionali gli avevano etichettato) con un conservatorismo di fondo nei confronti del secolarismo, della libertà di stampa e delle minoranze etniche. L’Islam politico ha progressivamente sostituito il ruolo centrale delle Forze armate all’interno dello Stato turco, ponendosi come obiettivo una politica estera autonoma da qualsiasi interferenza esterna, e con la pretesa di mettersi alla testa di una vasta congregazione di Stati musulmani sunniti. L’altro, Putin, cresciuto nel KGB sovietico, ha sempre avuto come missione quella di cancellare l’onta della dissoluzione dell’URSS e del suo mondo comunista, riportando la Federazione russa al rango di potenza globale che le dovrebbe spettare. “Chiunque non abbia nostalgia dell’Unione Sovietica è senza cuore. Chiunque desideri che venga ristabilita non ha cervello”. Una frase che rappresenta al meglio il personaggio in questione. Dal controllo del governo centrale ripristinato a suon di cannoni e metodi non convenzionali in Cecenia all’inizio degli anni ’00, al progetto di riportare sotto la sfera di influenza del Cremlino buona parte delle ex repubbliche sovietiche, sia con le materie prime, sia usando il bastone (Georgia ed Ucraina).
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L’abbattimento del caccia russo potrebbe essere inquadrato come la naturale conseguenza dovuta ad una rivalità che il conflitto siriano ha infiammato, con Russia e Turchia impegnate già a combattersi in qualche modo attraverso le “procure” dei loro alleati sul campo. Ora entrambe si sono spinte al di la della linea rossa, fino ad entrare in linea di collisione direttamente. Tutti stanno facendo gli scongiuri perché questo non crei una tensione fuori portata tra la Russia e la NATO, già esasperata dagli avvenimento nell’Ucraina orientale. Tensione inevitabile, quando i due leader sono portatori di una vocazione imperiale che ancora una volta li vede uno di fronte all’altro.

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