SundayUp - Morten Brask, "La vita perfetta di William Sidis"


Se aveste iniziato a parlare all’età di sei mesi, raggiungendo la completa padronanza dell’inglese a un anno e leggendo il New York Times a diciotto mesi, arrivando pian piano (si fa per dire) a parlare correttamente il francese, il russo, il tedesco, l’ebraico, il turco e l’armeno a sei anni, oltre che a leggere testi latini e greci in lingua originale, potreste mai sperare di avere quella che si definisce, forse a volte un po’ ipocritamente, “una vita normale”?
È la domanda fondamentale che sta alla base di questo interessante romanzo del giovane scrittore danese Morten Brask, pubblicato – e serve dirlo? – da Iperborea, che di recente ha vinto il premio Bottari Lattes Grinzane.
La vita perfetta di William Sidis racconta in forma romanzata esattamente l’oggetto del titolo: la vita di uno dei più straordinari bambini prodigio di tutti i tempi. Nato nel 1898 a New York da genitori emigrati dall’Ucraina, dimostra fin da subito eccezionali capacità nell’apprendimento. Con un quoziente intellettivo stimato tra 250 e 300 (a fronte di una media mondiale di 100, con Albert Einstein e Stephen Hawking che si attestano attorno ai 160), risulta essere tuttora il più giovane studente mai ammesso all’università di Harvard: supera gli esami di ammissione a 8 anni, ma viene ammesso a frequentare i corsi “soltanto” a 11, per evidenti disparità di età con i compagni e per un comprensibile vuoto normativo riguardo all’ammissione di studenti così giovani.
Dopo la laurea, conseguita a 16 anni, iniziò a insegnare geometria e trigonometria in un’università di Houston, facendosi subito notare per aver ritenuto inadeguati tutti i testi sull’argomento disponibili sul mercato: in breve tempo ovvia al problema scrivendo un manuale di suo pugno e distribuendolo ai suoi studenti. Seguirà una specie di rivolta, che William non riuscirà mai a comprendere a fondo, ritenendo perfettamente naturale che un manuale di geometria non potesse che essere scritto nella lingua di Euclide, il greco antico.
In breve tempo diventa lo zimbello dei suoi studenti, perché la sua mente perfettamente logica e razionale è pressoché incapace di comprendere i comportamenti irrazionali o manifestazioni di sarcasmo o ironia. Allontanato dall’università, torna nel New England, dove si avvicina a un gruppo di socialisti traducendo i comizi per gli immigrati, in lettone, estone, polacco e russo. Nell’ambiente socialista stringe una forte amicizia con l’attivista Martha Foley, che sembra essere una delle poche persone a interessarsi a William a prescindere dalle sue doti intellettive, ormai trattate dalla stampa in maniera sensazionalistica. Verrà arrestato per aver partecipato a una manifestazione il primo maggio del 1919.
Uscito di prigione grazie alle conoscenze del padre, eminente psichiatra, viene costretto a rimanere confinato per due anni nella clinica per malati mentali gestita dai genitori, dalla quale fuggirà alla ricerca di una vita il più possibile normale. Trascorre gli anni successivi cambiando impiego in continuazione, licenziandosi non appena i suoi datori di lavoro capiscono le sue doti e gli propongono aumenti di stipendio o avanzamenti di posizione, per poi morire in solitudine nel 1944.


Come si vede i dati biografici sono già di per sé eccezionali, e anche una fredda cronaca di questa vita potrebbe risultare interessante e avvincente: qual è quindi il merito di Morten Brask? A mio parere è quello di aver presentato una vicenda straordinaria con la massima semplicità possibile: sarebbe stato fin troppo facile calcare la mano sulle eccezionali doti di William Sidis, oppure sulla solitudine a cui inevitabilmente si condanna chi possiede tali capacità, facendo naufragare irrimediabilmente il romanzo nel mare della lacrima facile.
Nello stile di Brask invece i lati straordinari della vicenda umana di Sidis emergono con una naturalezza che a momenti lascia sconcertati, ed è precisamente questo che rende il romanzo totalmente anticonvenzionale: se la regola vuole che si presenti una vicenda “normale” in termini eccezionali, qui si presenta una vicenda eccezionale in termini normali, quasi in understatement, verrebbe da dire.
Efficacissimo è lo spezzare la narrazione in tre differenti piani temporali, due dei quali finiscono per convergere alla fine del romanzo, ambientando capitoli contigui in epoche diverse e costringendo il lettore a riordinare man mano una storia i cui frammenti riempiono sempre di più e sempre meglio il puzzle: il primo piano temporale inizia con la nascita di William e si congiunge, alla fine, con il secondo, che narra gli eventi del 1919 e 1920 fino alla fuga dalla clinica; resta isolato il terzo, ambientato interamente in pochi giorni del 1944, gli ultimi della vita del protagonista.

Un bel romanzo: toccante ma non lamentoso, leggero ma non vacuo, per lasciarsi raccontare la storia di chi nella vita non ha avuto altro compagno che l’amore per la libertà e per la conoscenza.

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