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26 giugno 2014

COSA SIGNIFICA IL SEMESTRE EUROPEO ALL’ITALIANA

Tra pochi giorni l’Italia inaugurerà la sua presidenza del semestre europeo, una prova sicuramente importante che segue delle elezioni che hanno visto risultati storici come l’entrata in parlamento di diversi partiti antieuropeisti. Quello che sta per iniziare è dunque un periodo importante che richiede un’analisi di ciò che significa veramente guidare il semestre e quello che potrà accadere.

Fonte: europaquotidiano.it
Come auspicato durante la campagna elettorale per le elezioni europee l’Italia ha ottenuto un risultato molto importante, soprattutto se paragonato  alla tenuta dei partiti tradizionali degli altri paesi membri. Renzi, Mr 40%, così chiamato dalla Cancelliera Merkel, si presenta con una solida maggioranza. Il presidente francese Hollande non ha invece ricevuto alcun riconoscimento dai suoi cittadini che hanno sostenuto le posizioni antieuropeiste del Front National. Un risultato eclatante è stato registrato anche in Gran Bretagna dove i partiti storici, che rappresentano la continuità della politica inglese, sono stati superati dal neonato Ukip, il partito euroscettico guidato da Farage. Anche la Cdu ha registrato una lieve flessione rispetto alle elezioni parlamentari attestandosi comunque come primo partito con il 35,5% di preferenze. A livello di partiti europei è stato il Ppe ad ottenere il maggior numero di preferenze e dunque, secondo il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009, sarà il leader espresso dal partito di maggioranza ad ottenere la nomina di presidente delle Commissione Europea.


Fonte: ccitabel.com
L’Italia dall’inizio di luglio guiderà quello che viene chiamato il semestre europeo. Quando si parla di guida del Semestre si parla dell’istituzione del Consiglio dell’Unione Europea, l’organo nel quale si riuniscono i ministri degli stati membri che, insieme al Parlamento, hanno potere legislativo. Ogni sei mesi un paese membro a turno presidia il Consiglio, questo vuol dire che in tutte le riunioni del consiglio, che si dividono in dieci formazioni tra le quali le più importanti come Affari generali, Agricoltura e pesca, Ambiente, Affari economici e finanziari e Politica estera, sarà il ministro competente del paese designato per quel semestre a presiedere le riunioni dei diversi assetti del Consiglio. Il paese che presiede il Consiglio, inoltre, rappresenta l’istituzione all’esterno e nei rapporti con le altre istituzioni europee.
Appare dunque chiaro che guidare il semestre presiedendo il Consiglio è un’arma a doppio taglio, con abilità diplomatiche e gli uomini (o le donne) giusti nel momento giusto è possibile indirizzare le scelte politiche dell’Unione Europea, avere potere di agenda setting e portare  le istanze del proprio territorio sui tavoli di discussione, ma il paese in questione può anche non essere capace di trarre questi vantaggi.
Il semestre dell’Italia sarà, in particolare, un semestre diverso dal solito; non sarà infatti un semestre legislativo ma uno di nomine e di giochi di potere, in particolare questo semestre che si appresta a cominciare sarà importante per le nomine del Presidente del Consiglio dell’Unione Europea, dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e della nuova squadra della Commissione che sarà nominata tra ottobre e novembre, la vera attività legislativa infatti inizierà solo nel semestre successivo.

Fonte: it.notizie.yahoo.com
Negli ultimi giorni si è parlato della proposta di candidare il ministro degli esteri del governo Renzi come Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Questo è un incarico importante e di prestigio che è stato, fino ad ora, rivestito dallo spagnolo Solana e dalla britannica Ashton poiché è stato istituito solo con il Trattato di Amsterdam entrato in vigore nel 1999.  E’ una poltrona molto influente e che ha ricevuto un ulteriore rafforzamento con il Trattato di Lisbona, l’Alto rappresentante infatti è il vicepresidente della Commissione Europea e partecipa ai lavori del Consiglio europeo insieme ai capi di stato e presiede il Consiglio Affari esteri indipendentemente dal paese di presidenza del semestre. E’ dunque quel famoso numero da chiamare per contattare l’Unione Europea, per citare una celebre espressione di Kissinger. Altra nomina importante per l’Italia, forte del suo risultato elettorale, sarebbe quella del Presidente del Consiglio Europeo, ruolo fino ad ora ricoperto da Van Rompuy, con una durata di due anni e mezzo. Il Presidente del Consiglio è una figura cruciale nello stabilire i rapporti di forza con il Presidente della Commissione, l’organo esecutivo dell’Unione Europea, e con l’Alto rappresentante ovvero con il Consiglio.
Escludendo la nomina di presidenza della Commissione che, come da Trattato, dovrà essere decisa dal partito di maggioranza, è lecito pensare che l’Italia riuscirà ad ottenere uno dei due ruoli suddetti trovandosi così a guidare non solo il semestre ma anche i prossimi anni da una posizione di forza e di prestigio.
Questo è sicuramente il verso nel quale deve spingersi l’azione italiana in questo semestre per non rendere questa opportunità totalmente velleitaria ed inconsistente. C’è bisogno quindi di puntare sulle nomine eccellenti e sulla forma che avrà la nuova Commissione che rimarrà in vigore per i prossimi cinque anni e che avrà l’onere di dare una nuova spinta e nuovi segnali di cambiamento di rotta alle politiche europee per combattere le istanze antieuropeiste provenienti da tutti i paesi membri.



Gaia Taffoni 

23 giugno 2014

Rileggere Cronenberg attraverso gli occhi di Bateson e Girard (Pt. I)

RILEGGERE CRONENBERG ATTRAVERSO GLI OCCHI DI BATESON E GIRARD, I

Orientarsi tra queste righe non sarà forse facile. Vi basti sapere che scaturiscono dal tentativo di analizzare l'opera di Cronenberg, Inseparabili, attraverso la visione di due autori contemporanei: Gregory Bateson e René Girard. Il primo (antropologo, sociologo e molto altro ancora) famoso principalmente per la teoria del doppio legame, il secondo per la teorizzazione del concetto di desiderio mimetico e capro espiatorio. Le opere a cui si fa riferimento nel testo sono:
Sergio Manghi, La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2004;
Stefano Tomelleri, Identità e gerarchia. Per una sociologia del risentimento, Roma, Carocci, 2012;
René Girard, Il Risentimento. Lo scacco del desiderio nell'uomo contemporaneo, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999.

I gemelli monozigoti Beverly ed Elliot Mantle sono Inseparabili fin dalla nascita: lavorano assieme, vivono assieme, frequentano le stesse donne e si spartiscono meriti e demeriti, così nella vita privata come sul lavoro. Sono due ginecologi di successo, assolutamente indistinguibili, se non per il fatto che Elliot «è un paio di mm più alto». Nella prima parte del film assistiamo alla genesi del loro rapporto, dalla prima infanzia all'età adulta. In un primo momento vediamo i due ragazzi all'Università realizzare un divaricatore ginecologico, grazie al quale otterranno un premio. Solo Elliot è presente nel momento della premiazione, Beverly rimane nel loro alloggio a studiare. Questo episodio svela come nel rapporto simmetrico tra Bev ed Ellie il “trattarsi da uguali” nasconda invece caratteristiche di complementarità: il divaricatore porta il nome di entrambi, ma è solo Elliot a godersi il premio e gli applausi del pubblico, sebbene senza il lavoro di Beverly non avrebbe mai potuto ottenere questo risultato. Gli elementi sono ancora pochi, ma è già possibile asserire che il loro rapporto si insinui all'interno di quelle «relazioni manipolatorie, dove l'alter diventa un mezzo per realizzare gli scopi dell'ego»: Elliot aspira al successo ma ha bisogno di Beverly per poterlo ottenere, poiché lui solo è la mente pensante dietro tutti i loro progetti. Questo concetto, elaborato da Margaret Mead, compagna di Bateson negli anni '40, fu analizzato e commentato da Bateson stesso nello scritto del 1942 La pianificazione sociale e il concetto di deuteroapprendimento. L'assunto di partenza era che «le moderne società occidentali avessero l'abitudine a organizzare il pensiero e l'azione sulla base dello schema logico strumentale mezzo-scopo». Questa modalità di comportamento viene ritenuta naturale dall'uomo, il quale tende ad estenderla alle relazioni con i suoi pari. Ritornando al film, risulta chiaro come il rapporto tra Beverly ed Elliot si possa inscrivere all'interno di queste dinamiche sociali: Beverly è il mezzo attraverso il quale Elliot può raggiungere il suo scopo, cioè il successo.


La seconda sequenza arriva dopo un salto temporale. I due ragazzi sono ormai adulti, al lavoro presso il loro studio ginecologico. Qui avviene il primo incontro con Claire. Ciò che attira l'attenzione di Beverly è la particolarità del caso (la donna ha l'utero triforcuto), mentre a destare l'interesse di Ellie è il fatto che la donna sia una famosa ed attraente attrice. Per quella sera si scambiano i ruoli e Bev andrà alla cena di lavoro di Ellie, mentre quest'ultimo rimarrà tutta la notte con Claire. Tra i due si crea subito una forte intesa. Al ritorno a casa i fratelli si incontrano e, quando Elliot chiede a Bev com'è andata la serata, egli risponde: «Sei stato seducente e affascinante come sempre, e credo che tu abbia ottenuto la sovvenzione». In questo modo Bev lascia intendere di ritenere che il fratello più brillante sia Elliot, quello che si occupa di mantenere i contatti con i clienti, di ritirare i premi e di sedurre le pazienti. L'affermazione lascia trapelare un tono di invidia e di risentimento nei suoi confronti, che Elliot subito nota, rispondendo: «Che cos'è questa storia? È per noi, non solo per me». Se Beverly si ritenesse alla pari del gemello, si sarebbe potuto recare al suo posto alla cena, senza fingersi lui.

Elliot convince poi il fratello ad uscire con la donna, con il monito: «Basta che fai me». I due gemelli sono abituati a questo tipo di scambi, in genere è Elliot a conquistare le donne, che poi condivide con Beverly. Totalmente succube del fratello, egli torna più volte da lei. In questa fase si compie il terzo passaggio fondamentale: con il passare del tempo Bev matura un pensiero, quello di non parlare più ad Elliot di Claire. Non vuole condividere con lui anche questa esperienza, vuole qualcosa che sia solo ed esclusivamente per sé. Questo bisogno denuncia il primo passo di Beverly verso il distacco. Quando lo fa presente al gemello, la sua reazione è ovviamente aggressiva. È questo il momento in cui Beverly inizia a sfogare il risentimento accumulato nel corso di una vita nei confronti del fratello. Egli si rende conto di aver sempre fatto parte di una relazione più grande, quel tipo di relazione che «annulla la nostra individualità, la nostra autonomia personale, la nostra libertà». Bev inizia a provare quel tipo di speranza che appare «come una rivelazione del modo illusorio, insieme superstizioso e arrogante, in cui ci eravamo assuefatti a pensare la nostra individualità». All'origine del risentimento di Beverly «si trova una ferita, una violenza subita, un affronto, un trauma. Colui che si sente vittima non può reagire, per impotenza. Egli rumina la sua vendetta che non può eseguire e che lo tormenta senza tregua. Fino a esplodere». Ciò che avviene tra i gemelli si può spiegare attraverso la teoria del desiderio mimetico concepita da René Girard:
Ogni azione umana va compresa come un segmento di un più ampio processo di mutuo
rispecchiamento, di incessante imitazione reciproca. Dove il mio desiderio non è confinabile nella mia epidermide individuale, essendo immediatamente, già da sempre, abitato e animato dall'altro e viceversa. Dove essere equivale pertanto a essere attraverso l'altro.


Nonostante le apparenze, i due fratelli faticano ad accettare la loro uguaglianza, aggravata dal fattore della somiglianza fisica, perciò si pongono in un orizzonte concorrenziale, nella speranza di vincere la battaglia per l'indipendenza. In questo rapporto complementare – con pretese di simmetria – a mantenere una posizione privilegiata è sempre stato però Elliot. Questa disparità ha fatto sì che Beverly abbia per lungo tempo accresciuto il proprio risentimento, inteso come la «condizione sentimentale di chi ha per lungo tempo desiderato, ma che non ha potuto realizzare, e sente che non potrà mai realizzare, quanto aveva immaginato». Elliot è però sia un modello che un rivale per il fratello: «In quanto nostro modello, ammirato e amato, l'altro è anche il nostro maggiore rivale, perché sarà sempre laddove vorremmo essere e non siamo»; Elliot è alle cerimonie di premiazione, a cena con i clienti, a letto con le pazienti, mentre Beverly è in casa a studiare, solo.

La rivalità si accresce come un torrente in piena, proprio per il fatto che non è l'oggetto ad alimentare la sfida, ma l'essere del nemico, con quel suo sguardo così avido come il mio, uno sguardo che non è solo intorno, ma anche dentro. Il rivale coincide, stridendo, con il modello. E non è più possibile dividere il campo tra “me” e “l'altro”: il “me” perde i suoi confini, non si distingue un'identità unica, chiara e netta, dai contorni ben precisi, ma si intravede una trama di relazioni intrecciate tra loro. Il “me” sconfina in un “noi”, in uno spazio indefinito che compone il “mimetismo” delle interazioni sociali.

L'oggetto della triangolazione per Beverly è quindi Claire, ed Ellie è il mediatore del desiderio. Egli crede di desiderarla, ma ciò che desidera mimeticamente è il desiderio di Elliot, in quanto primo ad accorgersi della donna, primo ad avere un rapporto con lei e a dimostrare di esserne interessato. Così deve essere anche per Beverly: solo in questo modo potrà riscattare il proprio risentimento. Beverly non vuole Claire, piuttosto vuole ciò che desidera Elliot poiché in realtà desidera essere Elliot. Claire è il tertium, senza il quale «anche quel che accade dentro la cornice [diadica] sarebbe diverso».

(continua)

Roberta Cristofori

20 giugno 2014

Immigrazione - Chi è un rifugiato?

Ci sono temi dei quali ci si ricorda soltanto un giorno all'anno, può sembrare riduttivo, ma nel caso dei rifugiati la giornata mondiale ad essa dedicata, istituita nel 2001, diventa un momento di vitale importanza affinché sia possibile diffondere informazioni veritiere oppure sfatare alcuni miti. Al centro delle manifestazioni vi è il bisogno di raccontare ciò che succede alle milioni di persone costrette a lasciare la propria casa, con rispetto e oltre i molti pregiudizi.


Innanzitutto, chi è un rifugiato? Secondo la definizione dell'articolo 1 della Convezione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, integrata nel 1967 con un Protocollo aggiuntivo, il rifugiato è colui il quale teme ragionevolmente di essere perseguitato dal Paese del quale è cittadino per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. Per questo motivo, un rifugiato se tornasse indietro rischierebbe persecuzioni che implicano gravi violazioni dei diritti umani. Lo status di rifugiato è individuale e viene riconosciuto, previa valutazione di soddisfacimento dei requisiti previsti per legge, a coloro i quali hanno presentato l'apposita domanda. Nel periodo antecedente al riconoscimento, l'individuo viene considerato come “richiedente asilo”, ha quindi il diritto a soggiornare nel Paese dove si trova indipendentemente dal possesso di documenti d'identità. Ciascun individuo possiede il diritto d'asilo, tuttavia non è l'unica forma di protezione prevista, almeno in Italia. Infatti, oltre allo status di rifugiato, esistono altre forme di tutela più “leggere” sempre finalizzate alla garanzia dei diritti umani: la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
In Europa a partire dallo scorso novembre, può accedere allo status di rifugiato anche un individuo che nel suo Paese d'origine è perseguitato per il suo orientamento sessuale. Un omosessuale, se considerato alla stregua di criminale, ha diritto, secondo la Corte Europea dei Diritti dell'uomo, alla protezione internazionale in tutto il continente.

Qual è la differenza tra i tipi di migrante? Sì, perché in Italia soprattutto la confusione è all'ordine del giorno e spesso, nel dibattito pubblico, la chiarezza viene a mancare producendo quella disinformazione che rischia di danneggiare gli individui più deboli. Il migrante (o immigrato) è un individuo che ha lasciato il suo Paese d'origine a favore di un altro per cercare lavoro e condizioni di vita migliori. A differenza del rifugiato, può tornare nel suo Paese d'origine in sicurezza in qualsiasi momento dato che lì non è perseguitato. L'immigrato è regolare quando risiede in un Paese con permesso di soggiorno, mentre è irregolare quando questo documento rilasciato dall'autorità competente è assente. Clandestino è chi, dopo aver ricevuto un ordine di espulsione da un Paese, continua a restare all'interno dei suoi confini. Infine vi è il profugo, un termine generico che indica tutte quelle persone che sono costrette a fuggire da una situazione di conflitto oppure in qualche modo pericolosa per la sopravvivenza, spesso legate a guerre, invasioni, o catastrofi naturali.

Chi si occupa dei rifugiati? Il principale attore impegnato nella tutela dei diritti dei rifugiati è l'UNHCR, Alto Commissariato ONU per i rifugiati. L'agenzia, attiva dal 1950, è impegnata in tutto il mondo a proteggere le vite di rifugiati, sfollati ed apolidi, attività per il quale ha ottenuto il Premio Nobel per la pace due volte, nel 1954 e nel 1981. Ovviamente UNHCR si avvale della collaborazione di una fitta rete di organizzazioni non governative, locali e sovranazionali, sparse in tutto il territorio di competenza.



Dove si trovano i rifugiati in Italia? L'accoglienza, la tutela e l'integrazione dei rifugiati in Italia non segue un modello uniforme: i rifugiati sono accolti in parte nel sistema di accoglienza coordinato dalla protezione civile, in parte nei CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo), e in parte all'interno dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
I CARA accolgono i richiedenti asilo privo di documenti per completare l'identificazione o attendere la conclusione della pratica di riconoscimento dello status di rifugiato. I centri sono 14, distribuiti in 7 regioni italiane. I servizi offerti dallo SPRAR sono frutto della collaborazione tra gli enti locali e le organizzazioni del terzo settore e sono orientati ad una forma di “accoglienza integrata” che si è rivelata negli anni particolarmente efficace, ma riservata ad un numero ancora troppo limitato di rifugiati.


I rifugiati in Italia sono 47 mila.

Angela Caporale

Photo credits: http://www.facebook.com/UNHCRItalia

19 giugno 2014

Sul carro di Renzi

Fonte: forexinfo.it
Mi sembra che dopo le elezioni europee un po' tutti vogliano salire sul confortevole carro del grande trionfatore, il presidente del consiglio e segretario del Partito Democratico: Matteo Renzi. Il suo 40,8% del voto popolare (un risultato fenomenale a prescindere dall'alto tasso di astensionismo) sta fungendo da magnete per forze politiche che si erano dimostrate palesemente ostili all'esecutivo  e che avevano utilizzato contro di esso toni durissimi. Così in questi giorni si assiste ad uno sconcertante e repentino cambio d'opinione del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, su tutti, nei confronti di Renzi e della sua volontà di affrontare al più presto una serie di riforme istituzionali e non solo cruciali per ammodernare il nostro paese. Pare che ora il suo movimento voglia appunto partecipare a queste iniziative del Governo: dalla legge elettorale, su cui da un po'  era calato il silenzio dell'immobilismo, alla discussa riforma del senato, che stava per correre lo stesso rischio e finire nelle sabbie mobili di Montecitorio. Chi prima si limitava a contestare in maniera acritica e puramente distruttiva le proposte del Presidente del Consiglio, ora si fa più disponibile e propone i suoi punti di vista. Le violente accuse e gli indecorosi improperi sono stati relegati alla campagna elettorale. Essi hanno lasciato il posto al pragmatismo e ad una presunta collaborazione “per il bene del paese”.
 
Fonte: formiche.net
Lasciatemi essere scettico e nutrire alcuni dubbi su questa folgorazione di Beppe Grillo in nome della responsabilità e dello spirito di cooperazione per una causa comune. In parte lo ha dichiarato anche il leader M5S stesso che, profilandosi l'eventualità di una lunga legislatura, si impone la necessità di essere più propositivi. Ciò non significa minimamente passare alla maggioranza ma, semplicemente, esporre le proprie soluzioni sui temi affrontati dal governo ed, eventualmente, trattare con esso per raggiungere dei compromessi. Insomma una mano tesa ma a determinate condizioni. Inoltre, più che un coscienzioso “scongelamento dei voti”, come lo hanno definito alcuni opinionisti politici, questo mi pare essere un tentativo piuttosto disperato di uscire dall'oblio dell'irrilevanza parlamentare. Questa in fondo è la stessa ragione che spinge anche Silvio Berlusconi ad intrattenere rapporti sostanzialmente amichevoli con Renzi e a stipulare con lui accordi, come quello sul “Italicum”. La straordinaria popolarità del Presidente del Consiglio e la sua determinazione spingono inevitabilmente gli altri attori (mai termine fu più azzeccato) nello scenario partitico a dover per forza di cose a dover, volenti o nolenti, scendere a patti con lui. Infine l'altra criticità in questa apparente détente estiva risiede negli interessi che si celano dietro la cooperazione. La realtà è che probabilmente la partecipazione ai cambiamenti delle regole del gioco fa gola a tutti. Chiunque si aspetta di rimanere in Parlamento e giocare un ruolo all'interno di esso vuole una fetta della torta. Quindi nelle ultime mosse di Grillo sussiste una dinamica legata ad un preciso calcolo dei benefici elettorali e politici in un'ottica di medio periodo.
Meriterebbe una più lunga ed esaustiva analisi, ma è comunque strabiliante come il M5S abbia in poco tempo compiuto una trasformazione radicale assorbendo comportamenti, modalità di ragionamento e strategie totalmente assimilabili alle altre forze della “vecchia” politica. Le norme imposte dalle strutture esterne vincolano sempre di più una formazione che si presentava come antipolitica e anticonvenzionale, plasmandone le azioni. Si sta forse assistendo ad un ineluttabile processo di normalizzazione e di istituzionalizzazione del MoVimento (sempre che fosse realmente anomalo in principio)?
Fonte: formiche.net
Tornando però a questo colossale bandwagoning in salsa italica, il vulcanico ex sindaco di Firenze dovrebbe diffidare delle lusinghe che gli si stanno improvvisamente presentando. Queste avance sono interessate ma non interessanti. Nel senso che sono, come già illustrato in precedenza,  condotte secondo meri calcoli politici e in più potrebbero ostacolare il processo decisionale. Quando in una riforma sono troppi a contribuire e ad imporre le proprie esigenze, si corre il forte rischio di rimanere con un pugno di mosche in mano. Probabilmente ciò che più ha colpito l'elettorato italiano di Renzi è invece proprio il decisionismo. Talvolta le sue iniziative sono affrettate, precarie e opinabili ma sono pur sempre iniziative atte a muovere le acque di un oceano chiamato status quo.
Tuttavia un partner per le riforme è essenziale per il Partito Democratico, dato che non possiede la maggioranza assoluta dei seggi in nessuna delle due camere. Inoltre la riforma del senato è di tipo costituzionale e richiede una porzione ancora più consistente di voti favorevoli. Il gruppo parlamentare del M5S non è affatto affidabile ed è sottoposto agli umori volubili di Grillo e di quella entità mistica e fittizia chiamata rete. Silvio Berlusconi non ha più una credibilità ed è in evidente parabola discendente. SEL sta perdendo i pezzi ed è troppo distante dalla visione Renziana di cambiamento. L'NCD di Alfano in questo senso rappresenta sicuramente l'alleato più accettabile perché più docile e più manipolabile ma conta poco ed è dato per scontato. Infine c'è da considerare il fuoco amico. Nonostante il fragoroso successo nelle elezioni per il Parlamento Europeo abbia rasserenato la sempre movimentata galassia PD, il caso Mineo dimostra come persistano malumori latenti nella fazione più a sinistra del partito.
In conclusione, temo che dovremmo aspettare ancora un po' di tempo per vedere dei risultati concreti e, magari, soddisfacenti. Il Presidente del Consiglio uscirà vincitore dalla battaglia delle riforme solo se saprà far pesare il suo straripante consenso presso l'opinione pubblica in tutte le trattative e i negoziati che gli toccherà, per forza di cose, intavolare. È la migliore carta che ha in mano. Una carta contro veti incrociati e immobilismo. La deve saper giocare con attenzione e senza parsimonia.

Valerio Vignoli
@ValerioVignoli

9 giugno 2014

Oltre l'euroscetticismo - Intervista con il prof. Baldini

Le elezioni per il Parlamento Europeo si sono appena concluse e hanno portato con sé risultati inaspettati e clamorosi, polemiche e preoccupazioni, tanti dubbi e poche certezze. Sono state le Europee del trionfo di Renzi, del ciclone Marine Le Pen in Francia e, più in generale, dell’avanzata dei partiti euroscettici. Sono state le europee in cui i cittadini dell’UE potevano (almeno apparentemente) scegliere con il loro voto il Presidente della Commissione Europea che succederà a José Manuel Barroso. Analizziamo questa tornata elettorale sia nella loro dimensione complessiva che nel contesto dei principali singoli stati membri con Gianfranco Baldini, docente di Scienza Politica presso l’Università di Bologna.

fonte: internazionale.it
La dimensione del risultato elettorale di Renzi e del suo Partito Democratico in Italia è di portata storica. Secondo lei da dove sono confluiti i voti al PD e cos’ha convinto gli italiani a riporre la loro fiducia nel Presidente del Consiglio?

Come in tutte le elezioni europee bisogna considerare che la partecipazione elettorale è più bassa rispetto a quelle nazionali, nonostante le aspettative di un’inversione di tendenza. Occorre partire da questa premessa. Bisogna guardare i numeri assoluti e non le percentuali. Una breve parentesi: anche stavolta gli exit poll italiani si sono rivelati essere sbagliati mentre fuori dal nostro paese sono più accurati. Io ero all’estero durante gli ultimi giorni di campagna elettorale e ricevevo notizie che davano il PD e il MoVimento 5 Stelle molto molto vicini. Poi sappiamo com’è andata a finire.

Ecco, perché i sondaggi in Italia non sono mai attendibili?

Una volta tutti non ammettevano di votare Berlusconi. In questa tornata elettorale invece probabilmente gli elettori sono stati spinti a dichiarare di aver messo la croce sul partito di Grillo perché sembrava il voto più coerente con il clima d’opinione che si era creato. Allo stesso tempo questo stesso clima d’opinione che si è creato, può aver convinto molte persone a votare per Renzi, che aveva assoluto bisogno di questo bagno elettorale. Inoltre penso che tanta gente di destra si sia convinta a dare la fiducia all’ex sindaco di Firenze perché lo identificano come l’unica persona che sta cercando di fare qualcosa in Italia, che tenta di rimuovere tutte le incrostazioni tra le quali è bloccato il sistema. Tuttavia le prime analisi dei flussi tuttavia mostrano che la maggior parte del supporto è arrivato dal blocco di centrosinistra. Infine mi sembra evidente che molti elettori di centrodestra si siano astenuti. Per tutte queste ragioni il risultato del PD ha assunto contorni storici.

Lei ha proprio accennato all’aria che si respirava durante la campagna elettorale. Non l’ha trovata totalmente priva di contenuti (e non solo europei) e dai toni imbarazzanti e indecorosi?

Purtroppo è vero ma se lei guarda alle europee di 5 anni fa le cose cambiano ben poco. Cinque anni fa si parlava degli scandali di Berlusconi e della sua relazione con Noemi Letizia. Si presumeva che la presenza dei nomi dei candidati alla commissione europea potesse portare ad una maggiore rispondenza o accountability, come la chiamano gli anglofoni, tra il voto dei cittadini e le espressioni politiche della realtà europea ma non è andata così. Comunque sì la campagna è stata certamente brutta e basata sui temi nazionali e non europei. Ma su questo, se posso essere un po’ disilluso, non avevo grandi aspettative.


Il PD con i suoi 31 seggi è la singola componente più rilevante nel gruppo del Partito Socialista Europeo e la seconda in assoluto dopo la CDU della Merkel. Quanto può essere significativo il ruolo del principale partito di centro-sinistra italiano e quanto può influire sulla linea politica di Bruxelles?

Questo è un punto essenziale. Il numero dei parlamentari dei cristiano-democratici tedeschi a Bruxelles è superiore solo perché sono assegnati più seggi alla Germania, quasi 100. Il risultato del PD è il migliore in assoluto tra i partiti dei 28 paesi. Renzi gode di questo consenso molto forte e tra meno di un mese inizierà il semestre di presidenza italiano nel quale il presidente del consiglio cercherà di far valere le nostre istanze ai tavoli europei. Rimane vero che la situazione complessiva italiana è abbastanza critica in termini economici e ciò incide sulla capacità dell’Italia di giocare un ruolo di primo piano. Certamente all’interno del PSE il peso specifico del PD sarà molto consistente dato anche che quasi tutti i principali partiti della famiglia socialista-laburista, come quello tedesco o quello francese, non si sono comportati troppo bene e sono in difficoltà. Questo pone il Partito Democratico in una situazione totalmente anomala. Bisognerebbe tornare indietro alla performance del PCI nell’84, su cui aveva pesato la morte di Berlinguer, per aver un termine di paragone. Ma era tutta un'altra storia e tutt’un altro partito. Riassumendo la posizione del PD può essere rilevante ma Renzi è stato intelligente nell’analizzare l’esito delle Europee in maniera ottimista ma cauta, visto che la credibilità italiana in Europa non è molto alta.

Fonte: lemonde.fr
Passando alla Francia, il risultato a mio avviso più clamoroso di tutti. Marine Le Pen sfonda imponendosi come primo partito. Il Partito Socialista di Hollande non va oltre un misero 14%. Male anche l’UMP. Il sistema politico e partitico transalpino è sull’orlo del collasso?

Effettivamente lei ha ragione nel definirlo un risultato clamoroso. Prima di tutto però è necessario ricordare che la tradizionale dinamica delle elezioni di secondo ordine, come le Europee, favorisce i piccoli partiti come il Front National francese o l’UKIP inglese. Se unisci questo elemento con la crisi attuale è facile prevedere il successo di queste formazioni. Ciò è effettivamente avvenuto. Inoltre il sistema politico francese sconta una peculiarità ulteriore. Marine Le Pen ha fatto una lunga campagna contro quello che lei chiama l’UMPS, ovvero l’establishment e il cartello delle due forze politiche principali (UMP e PS), affermando che l’unica vera forza popolare è il Front National.

Un po’ come quando Grillo soprannominava il Partito Democratico il “PD meno la L”…

Esattamente. Questo tipo di retorica ha un impatto molto forte sull’opinione pubblica. Inoltre sicuramente la leadership del presidente e la credibilità del Partito socialista è ai minimi termini nonostante poche settimane fa, in seguito alla batosta nelle amministrative, lo stesso Hollande abbia sostituito l’ex primo ministro Ayrault con Manuel Valls, che è guardato un po’ come il Renzi francese. Resta comunque da capire se gli elettori rimarranno con il Front National quando si recheranno alle urne per le elezioni generali. Marine Le Pen si è dimostrata però capace di avere successo su un certo tipo di elettorato: quello che si sente più spaventato dalle dinamiche della globalizzazione e della europeizzazione e spesso ha una situazione lavorativa precaria. Vorrei ribadire comunque che la struttura del sistema politico francese, che incentiva la cooperazione tra i partiti di maggioranza, e il sostanziale consenso europeista tra PS e UMP hanno aiutato la retorica anti-establishment di un leader populista come la Le Pen.

Lei ha menzionato l’UKIP di Nigel Farage. Quanto può pesare la sua affermazione sull’impegno britannico all’interno dell’UE? Il rischio che il Regno Unito lasci l’Unione è concreto?

Fonte: euronews.com
La decisione di queste settimane su chi portare a capo della commissione europea pare essere strettamente legata alla posizione britannica. La Gran Bretagna non ha mai avvallato né Schulz né Juncker e nemmeno gli altri candidati perché eccessivamente associati alla difesa dello status quo europeo che a Cameron non va più bene. La minaccia e la sfida di Farage è tale per cui i conservatori si sentono di dover dare risposte più decise su questo tema dato che tra undici mesi si torna alle urne. Il punto centrale è questo: l’uscita della Gran Bretagna non è impossibile. È tecnicamente difficile, penso non avverrà ma non è impossibile. È del tutto imprevedibile inoltre come possa avvenire poiché non ci sono precedenti sostanzialmente. In Inghilterra però esistono spinte molto forti affinché ci sia il distacco. La stessa classe imprenditoriale britannica è divisa. Le trattative tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna per modificare la membership inglese andrebbero però inserite nel più ampio quadro degli accordi di libero scambio tra il vecchio continente e gli Stati Uniti. L’amministrazione Obama reputa inconcepibile un’eventuale fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE.

Onestamente ho trovato poco sensati i tentativi di delineare dei trend che hanno percorso tutta l’Europa visto che tutte le elezioni si sono giocate soprattutto su dinamiche e argomentazioni squisitamente nazionali. È d’accordo o si sente di individuarne uno oltre alla già sviscerata avanzata dei partiti euroscettici?

Teoricamente le performance dei partiti al governo, secondo il modello delle elezioni di secondo ordine, seguono una curva ad U: soddisfacenti se le Europee si svolgono nel primo anno dopo l’insediamento, peggiorari se si avvicina alla metà del mandato e in recupero nel finale. Per Renzi, per esempio, ha influito quello che viene definito “effetto luna di miele”. Anche in Germania il governo di centrodestra della Merkel fresco di nomina ha incontrato il favore dei cittadini. Il modello trova un riscontro pure in Francia in cui i Socialisti sono andati molto male. Più che concentrarmi però su destra e sinistra o governo e opposizione, mi soffermerei sulla tenuta alla marea euroscettica. Si configura la presenza di un gruppo formato dai principali tre partiti europei (PSE, PPE e Liberali) che occuperà il 70% dei seggi nel Parlamento Europeo e che potrebbe, in teoria, andare avanti come se non fosse successo niente nel senso di continuità. Ma sarebbe un atto di assoluta miopia politica poiché qualcosa è successo.

Peraltro pare che il blocco degli euroscettici sarà diviso in due nel Parlamento Europeo. Non è che in fine dei conti la loro forza sarà abbastanza modesta e saranno esclusi dai processi decisionali?

Rettifico: forse le formazioni saranno addirittura tre con l’aggiunta di un gruppo misto. Alla estrema destra, se vogliamo utilizzare le categorie tradizionali, si costituirà un nuovo gruppo misto di non iscritti composto dall’unico rappresentante dei nazionalisti tedeschi del NPD, da quelli di Alba Dorata Greca e pochi altri. Affianco a loro si siederanno gli eurodeputati del Front National insieme al PVV dell’olandese Wilders e alla Lega Nord. Poi, alla loro ipotetica sinistra, si troverà il gruppo formato probabilmente, tanto per capirci, dal UK Indipendence Party e magari il Movimento 5 Stelle (e sarà interessantissimo osservare cosa succederà su questo fronte). Infine ci sarà un gruppo che mette insieme i Conservatori britannici, gli euroscettici polacchi e pare che anche i tedeschi di Alternativa Per La Germania si vogliano unire. Quindi al momento se ne contano appunto tre, con svariate sfumature xenofobe e critiche nei confronti delle istituzioni dell’UE, più un non gruppo. Inoltre si costituirà un gruppo di sinistra radicale in cui comunque emergono proposte fortemente radicali di riforma della costruzione europea. La coesione tra queste molteplici entità potrebbe non essere affatto semplice. Anche la capacità di elaborazione di questi partiti è tutta da verificare. Passare dalla protesta alla proposta è complicato soprattutto in un contesto in cui su molti temi esistono preferenze nazionali consistenti e ciascuno di questi partiti (tolto forse il M5S) è anche espressione di sentimenti nazionalisti.

Il prof. Baldini (fonte: amarevignola.wordpress.com)
Una delle novità di queste elezioni era la possibilità per gli elettori di votare direttamente il presidente della commissione europea attraverso la maggioranza nel parlamento ma ora vengono tirati in ballo nomi esterni come quello di Cristine Lagarde. Non le sembra un cattivo segnale ai cittadini dell’Unione Europea che lamentano la distanza dalle istituzioni comunitarie?

Sì e no. perché quella di Bruxelles è una palese marcia indietro. Ciò è avvenuto benché tutti sapessero che nessun partito avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta e che quindi sarebbe stato necessario un accordo sul Presidente della Commissione Europea tra i principali eurogruppi. Per di più, come ho già detto, quei nomi non piacevano ad un paese influente come la Gran Bretagna.
No perché in politica le persone si giudicano sulla base delle loro azioni. Se questo individuo, chiunque esso sia, fosse in grado di avere un’agenda minimamente credibile che restituisce slancio all’economia europea potrebbe rivelarsi una scelta positiva, ciò nonostante il suo nome non fosse nella rosa dei candidati.

In conclusione: che UE ci dobbiamo aspettare nei prossimi 5 anni? Quanto è verosimile che si riprenda la strada interrotta dell’integrazione politica? Le misure di austerità fiscale rimarranno la linea guida a Bruxelles?

Queste sono le domande più difficili. Risposte certe non ne posso dare, ma posso formulare alcune speculazioni. Il nodo centrale è questo: come trovare un compromesso tra chi vorrebbe un avanzamento dell’integrazione politica per fare in modo che l’unione monetaria si posi su basi più forti e chi, d’altra parte, vuole restituire potere agli stati nazionali? L’idea che ci debba essere un rilassamento dei criteri di austerità è abbastanza consolidata ma allo stesso tempo, secondo il mio punto di vista, non si dovrebbe rinunciare a mantenere un certo rigore di un certo bilancio. Certamente i costi sociali di queste politiche di austerity vanno ridotti. Si deve chiudere un occhio se i criteri fiscali non sono ottimali o se le spese per gli investimenti, che sono cruciali per rilanciare le economie dei paesi mediterranei, sono un po’ eccessive. Ma la chiave, lo ripeto, è nel trovare una convergenza tra le due tendenze evidenziate in precedenza. Come la si troverà è ancora molto incerto.

Valerio Vignoli
@ValerioVignoli

8 giugno 2014

La vena psych degli R.E.M. - Pt. II

Nella prima parte ho fatto una breve apologia degli Ari M. come gruppo di pop alternativo planetario. Ora entro nel merito dell'argomento andando a delineare la misconosciuta vena psych. E' richiesta una conoscenza di base della discografia.



Per motivi che non mi spiego, vorrei escludere dalla disamina Murmur, che per motivi puramente idiosincratici per me rimane una roba a sé nella discografia ariemmiana. 
Perciò, la partenza è simbolicamente identificata con Time After Time (Annelise), che come direbbe Scaruffi è un raga di chitarra che avrebbero potuto fare i Beatles o i Rolling Stones ma senza un minimo della ieraticità che invece qui infonde Stipe, insieme coi bonghi di second'ordine di Berry. Ma dobbiamo subito arrivare al terzo calunniato e misconosciuto album, Fables of the Reconstruction per trovare un terzetto psych come Feeling Gravitys PullAuctioneer (Another Engine)- e una scelta fra quasi tutte le altre (Old Man Kensey/Driver 8). L'altro album del periodo EQuitalia calunniato e misconosciuto è il successivo, che invece contiene uno dei pezzi esemplificativi della grammatica di ciò che intendo per psych negli Ari M., si tratta di Swan Swan H. (strano che tutti sti pezzi psych abbiano i titoli più sbilenchi): una nenia ipnotica (Scaruffi dai ora basta) condito dal solito testo evocativo, rullantino a marcetta militare, fisa nel ritornello da festa paesana che si ributta in uno storytelling sciamanico di chi ha catturato con carismatico savoir faire l'attenzione del consesso che lo circonda.


L'ultimo album EQuitalia è Document che contiene alcuni classiconi del gruppo e certi inserti di sax dettati sicuramente dallo Zeitgeist, ma di cui qualcuno dovrà pur rendere conto davanti a Dio presto o tardi. Qua i pezzi da segnalare sono tre, di cui due importantissimi. (tralasciamo Fireplace, che a me gasa per altri motivi). Lightnin Hopkins, dal nome di un vecchio satanico bluesman, è un pezzo che nel suo piccolo, bianchissimo, borghese psychismo ha una discreta rilevanza: i cori che fungono da refrain, i corvi poeiani, il guiro (successivamente definito sul libretto di New Adventures "the ultimate in musical usefulness"), un accenno di slap come-alla-tele, Berry che come diverse altre volte nella storia tiene su la baracca silenziosamente, gli urletti scomposti di Stipe. Subito dopo c'è King of Birds, forse l'archetipo del pezzo psych degli Ari M., in cui ritroviamo gli arpeggini mezzi acustici un po' ragati, il rullantino militare, la voce baritonale di Stipe che snenia un testo che ha anche dell'infantile (Everybody hit the ground, che è un po' il nostro "tutti giù per terra")  per aprirsi a hooks di più ampio respiro armonico e in cui, come a 2'10 e pure alla voce fa una cosa che ha fatto e farà altre volte durante la sua carriera: sforza la sua limitata e ruvidicchia voce in qualcosa che per i canoni del pop (lascia stare che sia EQuitalia) sarebbe simpliciter una take da rifare. Il disco si chiude con Oddfellows Local 151 (ribadisco i titoli sblenchi), che forse rientra nei nostri canoni, ma senza spiccare in nulla, se non nel riallacciarsi al tema delle storie oscure-psych di campagna dipinte in toni inquietanti.



Dopo nella storia degli Ari M. comincia il periodo dei $$$, lasciando EQuitalia per passare ai Warner Brothers. Green è un album non facile, col quale non fanno il botto. Contiene un paio di pezzi utili a noi, il primo è The Wrong Child, che è una storia volendo piuttosto triste nella sua essenziale didascalia all'interno della testa di un bambino con problemi di socialità, condita dal mandolino rincoglionente di capitan Buck, prima del suo impiego più celebre, e i soliti controcanti di Mills che si sovrappongono al cantato sempre sforzato di Stipe. (Vorrei citare Hairshirt, che però è una canzone intimista con strumenti acustici e non ha molto di psych, come invece ha) I Remember California, che fa parte della taciuta vena dark degli Ari M. Come altri pezzi del disco (World Leader Pretend), sembra il soliloquio di un Perec incatenato in trip brutto. La stessa caratteristica di delirio privato e oscuro è condivisa da un pezzo che secondo me non conosce nessuno dell'album del botto, Out of Time, dove figura Losing My Religion: parlo di Low. Un bel testo, la strofa di una chitarrina in muto e un ruscelletto di organo che portano a un refrain dall'inquietudine condivisibile da un Nick Cave. (per motivi ideologici e di critica dei costumi mi piacerebbe tantissimo inserire nella vena psych anche Shiny Happy People, una delle tre canzoni degli Ari M. più fraintesa di sempre; ma non lo farò).


Dopo c'è l'album dello strabotto, dei miliardi, dei video che citano Fellini e Wim Wenders, orchestrato da John Paul Jones: lì niente psych. Seguirà Monster, uno dei più interessanti album del primo periodo Warner Brothers. Si potrebbe ben segnalare la traccia di chiusura, You, che è un'ode malata di un amore malato nella quale Stipe non si fa problemi a stracciarsi le corde vocali in un crescendo finale che ha veramente del preoccupante. Lo scenario è effettivamente ben costruito, in coerenza col resto dell'album – purtroppo non c'è tempo per soffermarsi. L'album successivo, New Adventures in Hi-Fi, scritto in tour e l'ultimo con Bill Berry alla batteria prima del coccolone, è uno di quelli che più ho amato da ragazzetto (ora meno, perché certi pezzi sono adolescenzialetti anzichenò e va bene tutto nel non riuscire a saper crescere ma almeno non arrivo a farmi piacerissimo Lo StatoSociale). All'attenzione del pubblico psych potrebbero salire la prima traccia, How the west was won and where it got us, che oltre a essere un pezzo spaventosamente bello e ben orchestrato, contiene due o tre punti di cacofonia ragionata che dopotutto non aggiunge molto alla vena, ma resta l'occasione per ascoltarsi un pezzone; e la traccia sesta, Leave, 7'17 imbattuti dagli Ari M. che hanno ficcato un pezzo pop americano abbastanza inquietante su un tappeto ininterrotto di una sirena che di per sé non è qualcosa di straordinario ma a conti fatti impoverirebbe il pezzo se mancasse e mancherebbe di segnalare un'angoscia in elaborazione che si fa fisica e incessante come lo sono gli acufeni in un orecchio.



La seconda era di $$$ per gli Ari M. è tormentata. Rimangono in tre. Sopravvivono alla svolta elettronica. Up non regala molto psych, se non forse Walk Unafraid, ma è più scena che altro. Reveal è un disco di canzoni palloso-electrobucoliche orchestrate così cosà ma con un 3-4 pezzi devastanti (The Lifting, nella mia top 5 di sempre, I've been High, All the way to Reno, Imitation of Life). Di psych c'è giusto qualche sprazzo, ma niente degno di nota. Around the Sun è un disco di brutte canzoni prodotte e orchestrate malissimo. Niente psych. L'ultimo album bello degli Ari M. è Accelerate e ivi si notano due pezzi dal gusto più 2008 ma neppure troppo che rivedono i fasti psych di un tempo, Until the Day is Done nella forma più classica e allegra. Invece Sing for the Submarine ha qualcosa di ombroso nel suo essere frettoloso e inquieto come qualcuno che si guarda attorno. Collapse Into Now è un album che non ho proprio avuto voglia di capire, ammesso che ci fosse qualcosa da capire in un album fatto per finire il contratto e poi, con diversa tristezza, sciogliersi senza neanche portarlo in tour (un'altra scelta, nei modi e nei tempi, che ha contraddistinto, per me, gli Ari M. da qualsiasi altro gruppo con contratti e hit planetarie da tenere a bada) (e contraddistinto pure da molti litigiosissimo gruppi indie).



Probabilmente c'è poco di concreto in questo fil rouge che ho voluto tracciare. La verità va letta alla luce della prima parte di questo pezzo, in cui sostanzialmente volevo sottolineare la caratura particolare degli Ari M. in quelli che sono stati i decenni più plasticosi dell'era della musica leggera. Sì, Everybody Hurts, Losing My Religion, Shiny Happy People, Nightswimming, At My Most Beautiful e tutto quanto. Ma anche cose piuttosto oscure, con un filo di inquietudine per niente banale. Ai defunti Ari M. va riconosciuto questo, specialmente da parte dei detrattori.

Filippo Batisti
@disorderlinesss

1 giugno 2014

La vena psych degli R.E.M. - pt. I


(before you read: questa prima parte è una lunga contestualizzazione per il succo del discorso,
che arriverà col prossimo capitolo)

Se c'è un gruppo a cui sono emotivamente legato, sono loro. Primo cd, il best of di trequarti di carriera nel 2003, con un paio di inediti, dove ci stanno principalmente i pezzoni da classifica. Dopo, l'unico newsgroup (quanto suona obsoleto? Esisteranno ancora? Risulteranno vincenti come gli uccelli e i piccoli roditori all'epoca dei dinosauri o come i populismi micatantocripto nell'era della postdemocrazia?) che abbia mai frequentato era it.fan.musica.rem., oltre a it.sport.basket e it.sesso.racconti - devo loro tutto quello che so sulla vita. Da lì, è stato un crescendo estremamente calibrato nel tempo di acquisto dei capitoli precedenti (una dozzina) e aggiornamento delle nuove uscite (ho fatto in tempo a godermene tre). E' una carriera trentennale condotta con stile, innovazione, capacità di scrivere instant classics che, piaccia o no ai puristi del termine, rimangono probabilmente insuperati degli ultimi decenni nel panorama del pop alternativo. Passati i 18 anni abbiamo imparato che le etichette di genere sono buone giusto per le orride scaffalature di Ricordi, ma se c'è un gruppo al quale ha senso applicare questa tag sono gli Ari M., ma solo se considerati nell'endiadi con l'altra parola, pop. Questo mi ricorda due cose, primo che è un po' lo stesso discorso che avevo sentito fare ad Accento Svedese riguardo le Pipettes, un gruppetto abbastanza inutile di tre ragazze carine e vestite uguali che avevano la caratteristica precipua di arrapare solo se considerate insieme (quanto suona obsoleto? Esisterà ancora Accento Svedese? Il suo blog era l'unico blog che abbia mai letto con costanza in vita mia, insieme a onanrecords e artsyfucking su tumblr - devo loro tutto quello che so sulla vita).
La seconda è che esiste una roba molto bella messa in piedi da un tizio con un cognome buffissimo, Matthew Perpetua, che si chiama PopSongs, che fa una piccola esegesi di ogni pezzo della storia degli Ari M. fino al 2008 (nei primi post trovate delle risposte di Stipe a domande dirette dal pubblico).
 
Berry, Stipe, Buck, Mills.
In breve, gli Ari M. sono pop perché fanno cose orecchiabili, in strutture canoniche, facendo uso di ritornelli e hooks come se piovesse, in tempistiche canoniche e facendo utilizzo di stilemi riconoscibili (l'arpeggino alla Peter Buck, e.g.) – questo vale per la maggioranza numerica dei loro pezzi.

In breve, gli Ari M. sono alternativi perché i testi sono notoriamente criptici (la solita vecchia storia che quando suonavano nei club sgangherati  c'era da ringraziare se emergeva la voce dal resto, nessuno avrebbe capito altro oltre la forza illocutoria del proferimento), perché almeno per i primi 5 album non hanno fatto una canzone d'amore e la prima che tirarono fuori fu The One I Love, che è una roba ermetico-cattiva, tipo un momento presomale di Califano musicato da Max Collini, dove di amore ce n'è ben poco. Inoltre perché, in trent'anni, hanno progressivamente girato il mondo della strumentazione, partendo dalla formazione tradizionale ruock, passando per il momento acustico bucolico, le tentazioni orchestrali, alle Colonne d'Ercole da cui moltissimi buoni gruppi non sono più tornati indietro per raccontare, cioè La Svolta Elettronica (a titolo di esempio, non pervenuti: Editors, Bloc Party, Yeah Yeah Yeahs, Korn (Korn?! Ma cosa sto scrivendo?) ; pervenuti: Ari M., Bugo), per finire col cercare un dialogo tra canzone pop d'autore e ruock e tentazioni orchestrali negli ultimi 3 album. Il tutto ben più che dignitosamente, lasciando intatti i fallimenti che sicuramente ci sono.

Infine, sono alt perché hanno sempre mantenuto un certo stile nelle public relations e nella loro immagine pubblica: fino all'ultimo, mal riuscito, album di addio prima dello scioglimento, non erano mai apparsi sulla copertina di un album. Non avevano un logo fisso (vallo a dire oggi, nell'era del branding di se stessi). Non hanno tendenzialmente fatto merdate da ricchi mantenuti, pur avendo strappato alla Warner due contratti da 5 album ciascuno e svariati milioni in cassa. Hanno esplorato l'esplorabile per quanto poteva fare un gruppo pop con sulle spalle le aspettative dei milioni di cui sopra. Poi, ultimo ma primo per genealogia, hanno cominciato con 5 album con un'etichetta indipendente che aveva la stessa sigla dell'Agenzia delle Entrate statunitense (EQ-uitalia Records farebbe il botto in Italia, sulla scia di un nome scomodo tipo "Padania" per gli Afterhours).

Live nel periodo Equitalia.

Poi, che cazzo, la metà di loro erano burini della Georgia (= Puglia d'America) e/o frequentavano il DAMS della situazione. Non se ne sono scordati, anche se Michael Stipe si è imborghesito niente male (oggi fa l'ex studente DAMS a NYC con la scultura e le foto sbiadite, come vorrebbero fare tutti gli ex-studenti DAMS, solo che lui campa di altro, pur avendo fatto, proprio come i nostri ex-studenti DAMS, i video del suo gruppo prendendo immagini capovolte in b/n di mandrie di vacche e scritte in sovraimpressione in bold o la stessa roba con tre donne in topless). Poi diciamocelo, quanti altri gruppi hanno una hit planetaria in 12/8? Inutile che Capra ce la meni coi National
Ora, dopo questa brevissima apologia, vorrei passare a illustrare la misconosciuta vena psych degli Ari M.
(continua)


Filippo Batisti
@disorderlinesss