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29 dicembre 2014

Il pagellone della politica 2014 - Parte II: il circo dell’opposizione

Le “regole del gioco” (per usare un’espressione molto abusata nel teatrino della politica durante il 2014) le ho già esplicitate nella parte precedente. Quindi senza indugi o metafore di difficile comprensione alla Pierluigi Bersani, andiamo dritti al nostro secondo round di pagelle. In questo sequel compariranno tutti quelli che detestano (più o meno profondamente) quel gran mattacchione del nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ed è gente bizzarra, che quasi sembra sbucata fuori da un circo.

Beppe Grillo: 4

beppe grillo blog
“Esci da questo blog Beppe!”. Questo era stato l'invito di Matteo Renzi nel suo faccia a faccia con Grillo in occasione delle consultazioni per formare il nuovo governo. Beppe lo ha preso alla lettera. Infatti ha fatto uscire il suo MoVimento 5 Stelle dalla rete per farlo entrare in una sorta di Talent Show con colpi di scena ed eliminazioni continue, degno di X Factor o Masterchef. A partire da febbraio si sono susseguite una impressionante serie di epurazioni tra le file dei pentastellati, giustificate in maniera più o meno credibile e sanzionate immancabilmente da quell'entità mistica chiamata “web”. L'epilogo finale di questa soap opera interna alla formazione (anti)politica che aveva sconvolto il panorama partitico italiano nel 2013, è arrivato in una sera di fine novembre. In seguito alla loro espulsione, causa presunta mancata restituzione della parte di stipendio pattuita, i deputati Massimo Artini e Paola Pinna, insieme ad un centinaio di attivisti, si sono recati a casa di Grillo per chiedere spiegazioni e chiarimenti. Si è aperta così una spaccatura in quello stesso MoVimento che sembrava assoggettato ai diktat del proprio fondatore e del suo guru Gianroberto Casaleggio. Grillo, che poi si è definito “stanchino”, ha nominato un direttorio composto da 5 fedelissimi per guidare le attività politiche, con buona pace del motto “uno vale uno”. Una prevedibile parabola di istituzionalizzazione per chi voleva smantellare le istituzioni. In mezzo però all'anno del M5S c'è stato tanto, persino troppo, altro. Una campagna per le elezioni europee dai toni sprezzanti,  conclusasi con il secondo posto dietro al PD e un'alleanza mal digerita dalla base con il pittoresco Nigel Farage, leader della formazione xenofoba britannica UKIP. Boutade infelici come quelle di  Grillo su mafia e immigrati. Prese di posizione imbarazzanti come quella del delfino Alessandro Di Battista sullo Stato Islamico. Una pesante batosta alle regionali in Emilia-Romagna, dove i grillini avevano mietuto i loro primi successi. Tonnellate di becero qualunquismo come se piovesse (anzi nevicasse visto le condizioni meteorologiche del periodo). In altre parole, seppur il consenso per il Movimento 5 Stelle si attesti ancora intorno al 20% (seconda forza politica nel paese), il suo declino e quello dell'ex-comico, che ne è al vertice, sembra evidente. Schiacciato dall’onnipresente e carismatico Matteo Renzi. Defraudato dello scettro del populismo da Matteo Salvini. Tutta colpa dei due Matteo... ma anche di una bella dose di autolesionismo.

Matteo Salvini: 8

matteo salvini roma
Vi avverto: sto aprendo una parentesi estremamente autoreferenziale. Fabrizio Mezzanotte è uno degli altri autori di “The Bottom Up”. (Ri)Conoscendone la sua abilità di trovare chiavi di lettura interessanti e taglienti per l’analisi dei fenomeni politici, a suo tempo gli chiesi di far parte della redazione. Tuttavia, a causa dell’utilizzo di una prosa piuttosto efficace e della scelta di tematiche nazionalpopolari, i suoi articoli hanno riscosso un successo superiore ai miei. La cosa un po’ mi infastidisce dato che, teoricamente, sarei io il direttore della rivista on-line. Tutta questa premessa, che fa molto “rosicone”(vocabolo renziano), serve a suggerirvi che se volete capire perché ho dato un meritatissimo 8 all’emergente leader leghista, dovreste andare a (ri)leggervi il brillante articolo di Mezzanotte dal titolo Il magnifico mondo di Matteo Salvini - Quando il talento finisce nelle mani sbagliate. Se non ne avete voglia o tempo e mi appoggiate in questa faida intestina ve lo spiego io in parole povere. Grazie ad una strategia comunicativa molto aggressiva e ad una sorprendente capacità di entrare in contatto con il proprio elettorato e le fasce più frustrate della popolazione, seguendo l’esempio di Marine Le Pen in Francia, Salvini ha resuscitato un soggetto politico destinato a morte certa e l’ha riportato alla ribalta nazionale. L’idea di intrufolarsi al Campo Rom di Bologna, rischiando la propria incolumità, per poi passare per vittima agli occhi dell’opinione pubblica, è stata semplicemente geniale. Tanto quanto la fantasiosa narrativa presente nei suoi frequenti tweets, in cui ogni problema è presto riconducibile all’Unione Europea o all’immigrazione clandestina (qui un esempio recente). Purtroppo Matteo Salvini si conquista, pari merito con il suo omonimo fiorentino, il voto più alto di questa pagella.

Silvio Berlusconi: 6

silvio berlusconi gangster
Ok ok lo sento che state rumoreggiando. Dai non tiratemi le uova marce… lasciatemi argomentare il mio giudizio. No, non sono completamente fuori di senno come Maurizio Landini quando sente parlare di “flessibilità del mercato del lavoro”. Bisogna ricordarsi qual era il quadro politico che prospettava il 2014 a Berlusconi: limitato nella sua possibilità di fare politica, in drastica diminuzione di popolarità nel paese, a capo di un partito diviso e allo sbando. Insomma a gennaio non c’era molto di che stare allegri. Berlusconi ha saggiamente compreso in fretta che non restava altra scelta che giocare sulla difensiva, sfruttando il significativo peso numerico che ancora detiene in parlamento. Perciò ha presto stipulato con il Premier Matteo Renzi il famigerato e segretissimo “Patto del Nazareno”, dal nome della via della sede romana del PD (questo rivelava già molto dei rapporti di forza interni all’accordo). Fondamentalmente l’intesa riguardava il sostegno di Forza Italia alle riforme istituzionali di Renzi e un canale preferenziale nello sviluppo del nuovo sistema elettorale. Allo stesso tempo alla formazione di Berlusconi era concessa la facoltà di fare opposizione all’esecutivo su tutte le altre sue iniziative. Insomma bene o male con questo accordo l’ex cavaliere si è garantito la sopravvivenza politica per un anno intero, evitando di essere completamente marginalizzato. Inoltre al momento rimane coinvolto nella partita per decidere il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Non male vero per un condannato per evasione fiscale?

La minoranza PD (sono davvero troppi per nominarli uno per uno): 5

cuperlo minoranza pd
Come avevo accennato nella prima parte, la minoranza PD (termine che in realtà racchiude un universo di correnti e correntine assai variegato), ha ingaggiato una guerra aperta contro Matteo Renzi e il suo piglio “autoritario” e l’ha, indubitabilmente, persa. Innanzitutto i vari Gianni Cuperlo, Stefano Fassina e Giuseppe Civati, tanto per citarne alcuni, sono risultati sconfitti dal punto di vista prettamente “politico”. Nel senso che, detta in maniera semplice, alla fine l’ex sindaco di Firenze ha fatto quello che voleva lui, quando lo voleva lui, come lo voleva lui, grazie al caro vecchio principio della maggioranza. Ma appunto questa era una vittoria largamente preventivabile. Però la minoranza, che annovera nei suoi ranghi anche esponenti della “vecchia guardia” come D’Alema, Bersani e la Bindi, è uscita con le ossa rotte, a mio modesto avviso, anche dalla battaglia della comunicazione. La missione di Renzi di etichettarli come un gruppo di giovani radical chic e anziani rottamati testardamente ostili al “rinnovamento” è riuscita perfettamente, per quanto posso percepire gli umori dell’elettorato medio. Forse anche il fatto stesso che gli strappi della minoranza (no alla fiducia sul Jobs Act e partecipazione alla manifestazione della Cgil)  siano stati più plateali delle provocazioni del Segretario non ha aiutato. In ogni caso lo spostamento al centro del PD targato Renzi crea un discreto vuoto politico a sinistra. Esso tuttavia può essere riempito solo da chi ha ancora spendibilità a livello elettorale come Civati e non da altri, come Bersani, il quale infatti, mi sembra voglia rimanere fedele alla “ditta”. Come al solito il 2014 ci ha regalato aspre divisioni e conflitti personali nel centro-sinistra. Il 2015 non sarà da meno suppongo.

Il peggio del Palazzo (Maurizio Gasparri, Antonio Razzi, Michaela Biancofiore e Gianluca Buonanno): 2

Quando nella prima parte ho dato il voto alle “Renzine” ho manifestato la mia riluttanza a parlare di gossip. Invece ora fieramente rivendico il mio insindacabile diritto a fare politica-spazzatura in pieno stile “La Zanzara”. Perciò ho selezionato per voi quattro personalità che si sono fatte notare nei 365 giorni appena trascorsi per aver abbassato brutalmente il livello della dialettica politica (sempre che si possa parlare di dialettica politica e non di più semplice chiacchera da bar). Non so se è un caso ma tutti questi “personaggi”- nel vero senso della parola - si trovano all’opposizione e, in particolare, a destra.

gasparri bullo superstar
Il primo di questi “fab four” è Maurizio Gasparri, parlamentare di Forza Italia e vicepresidente del senato della nostra povera Repubblica Italiana (sic!). Gasparri un po’ di tempo fa ha scoperto Twitter. Ed è stato l’inizio di una spirale di gaffe che hanno rivelato il suo lato più grettamente polemista. Infatti nel 2014, dopo aver sfoggiato la sua passione cinefila stroncando “La Grande Bellezza” e insultato i sudditi di sua maestà in seguito ad Italia-Inghilterra di Coppa del Mondo, l’Onorevole Gasparri si è cimentato in un atto di cyberbullismo nei confronti di una fan del rapper di orientamento grillino Fedez. Devo aggiungere altro?
Il secondo è una sorta di Michael Jordan del trash a partire dal suo video cult datato 2011 con la celebre battuta “fatti li c… tua”. Mi sto ovviamente riferendo ad Antonio Razzi (altro eletto tra le file del defunto Pdl, ma che ve lo dico a fare). Con la complicità di alcuni media affascinati dalla sua storia e dal suo status, Razzi quest’anno ha cercato di alzare l’asticella. I risultati sono stati: un’altra visita al dittatore Nordcoreano Kim Jong-Un (feat. Salvini), un altro clippino di qualità (feat. Silvio) e una foto del suo matrimonio in cui mostra un’acconciatura a dir poco agghiacciante. Della serie: una conferma al top.
berlusconi biancofiore libro
La deputata bolzanina classe 1970 Michaela Biancofiore era già nota agli addetti ai lavori per il suo amore spassionato e incondizionato per Berlusconi. L’amazzone forzista, che si era contraddistinta in passato per le sue dichiarazioni omofobe, quest’anno ha deciso di raccogliere la sua vita e i suoi pensieri in un imprescindibile volume dal titolo L’amore oltre gli ostacoli. Dentro c’è (o ci dovrebbe essere visto che il sottoscritto non l’ha letto) tutto il suo meglio (o peggio che dir si voglia). Tuttavia il colpo della fuoriclasse lo ha esibito rassicurandoci sulle prestazioni sessuali di Dudù, il barboncino di proprietà di Silvio Berlusconi e della sua compagna Francesca Pascale. Io ero terribilmente preoccupato. Non so voi…
Mentre i tre politici suddetti suscitano comunque un certo grado di ilarità, le parole di Gianluca Buonanno, europarlamentare leghista, stimolano esclusivamente indignazione. Forse anche per quel tono serio e sfacciato che solo i membri della Lega Nord riescono ad usare quando esprimono le loro malsane convinzioni. Se non avete mai sentito parlare di questo impresentabile della politica italiana e vi siete fermati a Borghezio (e nel caso avreste fatto bene) vi invito calorosamente a leggere la sua pagina Wikipedia e a guardare questo video. Un talento da esportazione. 

P.S. Questo doppio articolo è indirizzato a te, Fabrizio Mezzanotte. Per dimostrarti che anche io se voglio posso scendere dal mio piedistallo di austero politologo per parlare alla “ggggente” e ottenere un fracco di visualizzazioni.

28 dicembre 2014

La Lizard Squad, ovvero La Rivincita dei "Nerd"

lizard squad sony hacker
Il simbolo della "Lizard Squad"
Tantissimi bambini e ragazzi, sotto l’albero quest’anno, hanno trovato videogiochi per le loro console oppure direttamente le loro nuovissime Xbox One e PS4. E i giovani, ringraziando il vecchio dalla barba bianca per il regalo da 400€, si sono diretti di gran carriera verso i televisori, per cominciare subito a giocare, incuranti dei parenti intorno o dei pranzi in tavola. E proprio allora, in migliaia di case, la macabra scoperta: Xbox Live e PlayStation Network sono offline, rendendo impossibile a chiunque connettersi online e testare i regali natalizi. A far piangere centinaia di bambini, ragazzi, adolescenti e magari anche qualche adulto non è stata però l’incuranza di Microsoft e Sony, o magari di qualche addetto alle pulizie che prima di partire per le vacanze avesse staccato la corrente per risparmiare elettricità, spegnendo così però tutti i server. Al contrario, si è trattato di un attacco premeditato ed organizzato, e pure rivendicato. Per sua stessa ammissione, a scollegare contemporaneamente tutti i server delle due più importanti aziende video ludiche è stata la auto-definitasi “Lizard Squad”, un gruppo di misteriosi hacker che comunica solamente attraverso il significativo account twitter @FUCKCRUCIFIX. 


Il gruppo di hacker, che fin dai primi attacchi è stato collegato prima all’ISIS (per loro stessa ammissione, poi smentita dagli stessi) e poi ai misteriosi geniacci dell’etere che hanno (o avrebbero) colpito la Sony per danneggiare (o pubblicizzare) il film di James Franco e Seth Rogen “The Interview”, che grazie a tutta la storia ha intascato oltre 1 milione di euro ai botteghini in un giorno, aveva già promesso l’Attacco di Natale qualche giorno fa. In un giorno solo, “Lizard Squad” aveva infatti abbattuto i server di Xbox Live, PSN, Steam Online e Origin, sostanzialmente la totalità delle piattaforme per giocare online e scaricare videogiochi su console e pc. Fin dall’inizio del mese si sono fatti sentire: “A differenza di Babbo Natale, noi non distribuiamo tutti i nostri regali in un giorno solo. L'intero mese sarà divertente”, hanno scritto il 6 dicembre su Twitter, seguito poi dall'annuncio “Questa non è una minaccia ma una promessa. Il 25 dicembre entreremo dentro Microsoft e chiuderemo Xbox Live PER SEMPRE! Divertitevi finché dura.”
La strategia di attacco è semplice nell’idea ma molto complessa (e costosa) nella realizzazione. Gli attacchi sono di tipo DDoS (Distributed Denial of Service), ovvero l’invio contemporaneo ai server di milioni di input. E’ come se provassero a connettersi milioni di utenti nello stesso millisecondo, e i server crollano immediatamente. Il problema è che la situazione non è risolvibile fino all’interruzione dell’attacco per volontà stessa degli hacker, o meglio per la fine dei fondi. Un attacco di questo genere, per di più su piattaforme diverse e su scala mondiale, necessita di sistemi molto avanzati e di un budget decisamente alto. 

kim dotcom house new zeland megaupload
La casa dove Kim Dotcom sta scontando gli arresti domiciliari
Un attacco che potenzialmente poteva mettere in crisi l’intera industria videoludica. Cosa poteva fermare quindi alcuni tra i più pericolosi hacker in circolazione? Beh, sono bastati dei buoni da 99 dollari. Infatti proprio nel corso dell’attacco di Natale, la Lizard Squad è stata contattata da una delle figure più controverse del mondo informatico e più osannate dai Geek: Kim Dotcom. Tranquilli se il nome non vi dice niente. E’ solo il creatore e programmatore dell’ormai defunto MegaUpload, sito di filesharing che comprendeva anche Megavideo (e Megaporn) e che da solo, fino alla chiusura da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America, rappresentava il 4% del traffico mondiale di internet. Dalla sua modesta dimora in Nuova Zelanda, dove si trova agli arresti domiciliari, Kim Dotcom, all’anagrafe Kim Schmitz, tedesco, ha scritto alla Lizard Squad, che gli stava rovinando la giornata, povero Kim, bloccando i server e impedendogli di giocare. 
kim dotcom mega megavideo megaupload megaporn
Kim Dotcom, all'anagrafe Kim Schmitz
Ed ecco subito fatto l’affare: in cambio dell’eliminazione del blocco, agli hacker venivano consegnati voucher (del valore, appunto, di 99 dollari) per l’abbonamento annuo a Mega, il nuovo sito di filesharing di proprietà di Dotcom. L’abbonamento si rinnoverà poi all’infinito, se non ci saranno nuovi attacchi, e al contrario sarà stracciato se i server di Xbox Live e PSNetwork dovessero subire altri danneggiamenti. Per Kim, difeso in occasione della chiusura di MegaUpload anche da Anonymous, che ha attaccato direttamente i siti governativi degli Stati Uniti, questo ed altro. Immediatamente su Twitter i Lizard hanno comunicato l’interruzione dell’attacco, e i server di PSN e Live hanno ricominciato lentamente a funzionare, anche se soprattutto i programmatori della Sony avranno davanti giornate difficili per ripristinare completamente il sistema. Per il momento Kim è di nuovo il salvatore dell’universo nerd, mentre i Lizard, che inveiscono contro il mondo intero, con toni decisamente da troll più che da giustizieri, si godono il nuovo abbonamento. Per quanto tempo? Staremo a vedere.


27 dicembre 2014

Il pagellone della politica 2014 - Parte I: Governo e affini

Si avvicina la fine dell’anno ed è ora di tirare le somme. Vale anche per le personalità politiche che ci hanno accompagnato durante questi 365 giorni. Che ci piaccia o meno, i loro discorsi retorici, le loro promesse non mantenute, le loro gaffes più imbarazzanti hanno fatto parte del nostro quotidiano, a meno che qualcuno di voi non viva in un eremo isolato su una montagna, stile Mauro Corona.

Metto in chiaro subito un paio di questioni. 

1) I voti in realtà non servono a nulla. Li ho utilizzati giusto perché una pagella senza voti è come Berlusconi senza processi, Renzi senza nei, Grillo senza Casaleggio, Salvini senza felpe toponomastiche.
2) La scelta delle figure politiche è arbitraria e si basa meramente sulla mia ispirazione individuale e sul fatto che abbia trovato qualcosa di (semi)serio da dire su di loro. Quindi se pensate che manchi qualcuno in classifica, prendetevela  pure con il sottoscritto.

In questa prima parte verranno presi in considerazione solo quegli eletti che hanno gravitato intorno all’orbita del governo del “fare”.

Renzi: 8 (una media tra 10 e lode e 6 con riserve)

renzi gelato governo
Se fossi in lui onestamente mi darei un 10 e lode visto che fino alle primarie del dicembre dell'anno passato non deteneva nemmeno la carica di parlamentare e tra poco festeggerà il suo primo anniversario da Presidente del Consiglio. Dal suo punto di vista personale il 2014 ha rappresentato indubbiamente l'anno della svolta. Il suo CV, il suo ego e il suo conto in banca hanno decisamente “cambiato verso”. Tuttavia nel suo operato da Premier, Renzi merita un 6 con riserve. Se non ci si poteva realisticamente aspettare che con il suo avvento il debito pubblico magicamente scomparisse e l'economia riprendesse a crescere stile boom economico anni '60, d'altra parte forse questo governo ha un po' deluso. In particolare per quanto riguarda le tanto sbandierate riforme, il cavallo di battaglia di Renzi. Di quelle istituzionali, solo quella delle province è andata in porto ed è stata un flop che non ha portato a sostanziali riduzioni dei costi di amministrazione. Il superamento del bicameralismo paritario, tanto invocato dal dimissionario Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non è ancora stato approvato definitivamente causa le lunghe procedure per le leggi di tipo costituzionale. Il nuovo sistema elettorale, il cosiddetto “Italicum”, deciso attraverso il misterioso e contestatissimo “Patto del Nazareno” con  Silvio Berlusconi, è in continua discussione tra le forze politiche. Forse è meglio così visto che non è proprio un testo eccellente e presenta preoccupanti analogie con il precedente, dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Il Jobs Act, approvato in extremis con i suoi relativi decreti attuativi riesce nell'arduo compito di non soddisfare né i riformisti (come chi vi sta parlando) né i “conservatori” (io continuo a chiamarli così e non per denigrarli). Da una parte non costituisce, per intrinseca mancanza di fondi, quella riforma organica del mercato del lavoro sul modello dei paesi del Nord Europa. Dall'altra è accusato, vedremo se giustamente, dalla Cgil in primis, di togliere sostanziali tutele e diritti ai lavoratori, in particolare per quanto riguarda le modalità di licenziamento, e di non portare ad un incremento dell’occupazione. Sull'articolo 18 mi posso ricollegare al maggior successo di Matteo Renzi: la comunicazione. Nel 2014 il Presidente del Consiglio si è creato strumentalmente dei nemici (etichettati fanciullescamente come “gufi”) e li ha ineluttabilmente sconfitti, quanto meno a livello mediatico, uno dopo l'altro. Professori, illustri giornalisti, complottisti pentastellati, sindacati, minoranza PD, tecnocrati dell'UE, e chi più ne ha più ne metta. Probabilmente parte di questa strategia di comunicazione consiste anche nel non palesarsi mai nei luoghi dove potrebbe essere fischiato (vedi alluvione a Genova). 
Come segretario del Partito Democratico, Renzi ha portato la sua formazione ad un risultato storico alle Elezioni Europee, l’iper-pubblicizzato 40,8%, al netto della scarsissima affluenza. Ecco se poi smettesse di ricordarlo sarebbe anche ora che mi sembra tanto Galliani quando ribadisce che il Milan è il club più titolato al mondo, quando in realtà non vince più nulla da anni e naviga in (ex) zona UEFA, senza infamia e senza lodi. Inoltre quest’anno il PD ha ben figurato nelle recenti regionali in Emilia Romagna e in Calabria, seppur senza clamore causa sempre l'altissimo tasso di astensionismo. Ciò che mi sembra evidente però è il modesto interesse di Renzi per lo sviluppo del suo partito. Alla Leopolda di quest'anno, che ha assunto toni vagamente grotteschi, la sigla PD è rimasta soffocata da espressioni da politica 2.0 e interventi che di socialdemocratico avevano davvero poco. Ok ora la smetto a parlare di Matteo Renzi anche se tornerà sempre. Come in televisione, nei giornali, in radio, su Facebook, su Twitter…

Giorgio Napolitano: 7 (un po’ più del voto “vero” di Renzi)

napolitano presidente
Se non lo si era capito io sto dalla parte di Giorgio Napolitano. Questo è stato un anno relativamente tranquillo rispetto al precedente. Una volta accettata la staffetta (in linea con la celeberrima armonia interna alla sinistra) tra Enrico Letta e Matteo Renzi, si è limitato a sostenere senza esitazioni il nuovo esecutivo. In altre parole il Presidente è stato molto più impegnato nelle celebrazioni per i cent’anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale che a bacchettare le nostre litigiose coalizioni e i loro egocentrici e folkloristici leader. Ha trovato il tempo però per dissipare alcune ombre su un suo presunto coinvolgimento nella trattativa stato-mafia. La sua popolarità a livello di opinione pubblica si è mantenuta abbastanza elevata in comparazione ad altri leader nazionali e all’estero Napolitano è visto come l’unica figura davvero degna di credibilità e rispetto nel panorama politico italiano. Ha concluso l’anno annunciando le sue dimissioni a Gennaio. La bagarre per la nomina del suo successore è già cominciata e si preannuncia piuttosto accesa. Non sarà facile trovare un sostituto alla sua altezza. Sarò di parte ma Napolitano ha, secondo me, interpretato il suo ruolo in maniera autorevole, seppur talvolta eccedendo nel suo raggio d’azione a causa dell’inettitudine della nostra classe politica. Vedremo se la storia sarà clemente con lui. Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto in meno di quattro minuti Maurizio Crozza ha racchiuso magnificamente questi 8 anni al colle di “Re Giorgio”, come lo chiamano i suoi detrattori.

Pier Carlo Padoan: 6 

padoan economia
Nessuno voleva fare il Ministro dell’Economia di questo governo. Le ragioni era principalmente due. Primo: risibili prospettive di crescita economica del nostro paese e la necessità di rimanere all’interno dei vincoli imposti dal “Patto di Stabilità” europeo. Però questa non è una situazione inedita purtroppo. Secondo: trovare le coperture per le iniziative espansive (e anche un po’ populistiche) di Matteo Renzi. Alla fine Pier Carlo Padoan, economista di fama mondiale, ha raccolto questa sfida. Lo ha fatto con discrezione e sottovoce, da “tecnico” qual è. Se l’obiettivo era rilanciare l’economia italiana ovviamente non è stato raggiunto. Ma appunto era impensabile riuscirci senza un improvviso e inaspettato cambio di rotta in quel Berlino… ehm volevo dire Bruxelles. Che infatti non si è verificato. Il massimo che è stato concesso dalla Commissione Europea è quello di avvicinarsi al tetto del 3% del rapporto deficit-PIL. Anche attraverso questo limitato margine di manovra si è mosso Padoan nel varare la sua mastodontica legge di stabilità da 36 miliardi di euro che comprende i famosi bonus fiscali (fenomenali per vincere una tornata elettorale, irrilevanti per stimolare la domanda) e i finanziamenti per i nuovi ammortizzatori sociali contenuti nel Jobs Act. La Troika approva, per ora, in attesa di altre riforme. Insomma il nostro Ministro dell’Economia era cosciente di avere davanti una missione impossibile. E non ha fatto miracoli. Ora probabilmente si sta esibendo in una danza della pioggia sperando che il prezzo del petrolio continui a scendere. Altro che 80 euro…

Federica Mogherini/la politica estera del governo Renzi: 5 

federica mogherini ue
Ecco si parla ancora di Matteo Renzi in fondo. Sì perché Federica Mogherini, con tutto il rispetto possibile ed immaginabile, era una figura alquanto scialba e l’impressione è che spesso la nostra politica estera nel 2014, soprattutto in ambito europeo, sia stata eterodiretta dall’ex sindaco di Firenze. Peraltro la Mogherini si è poi dimessa da Ministro degli Esteri per essere nominata dalla UE, su notevole pressione del governo italiano, “Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza” (per gli amici Lady PESC). A quel punto è subentrato alla Farnesina il navigato ex-rutelliano, Paolo Gentiloni, che si merita un calcistico S.V.. Tornando ad una valutazione complessiva la politica estera del governo, non se ne può essere entusiasti. La apprezzabile accortezza nelle crisi internazionali (ISIS e Ucraina) e sulla questione Marò è andata di pari passo con una complessiva ambiguità nel contesto UE. Insomma chiariamoci: la si vuol fare guerra all’austerità dettata dalla Bundesbank sì o no? Visto che non era una strada praticabile (la domanda precedente era retorica) ci si è mossi su un sottile filo di ricatti e tirate d’orecchie, proclami e marcie indietro. I risultati sono stati mediocri al di là della già menzionata strategia mediatica del conflitto per uso domestico. Altrettanto deludente la performance del governo nel tanto celebrato “semestre europeo” (anche per ammissione dello stesso Renzi che non è avvezzo all’understatement). 

Angelino Alfano: 4 

angelino alfano
Non sapendo se collocare Berlusconi al governo oppure all’opposizione, l’unico inossidabile alleato di Renzi a Palazzo Chigi che entra in questa parte di pagella è proprio Angelino Alfano, attuale Ministro dell’Interno e leader di NCD. Partiamo dall’Alfano uomo di partito. Qua la situazione è critica. Il suo soggetto politico nato nel Novembre 2013, Nuovo CentroDestra, che nel proprio statuto afferma di essere “ispirato dai valori del popolarismo europeo” (boh?), vale al momento all’incirca un 3%. Con questa magra quota di elettorato, Alfano appena sente odore di “elezioni anticipate” gli viene l’orticaria. Anche perché a quel punto l’unica strada per la sopravvivenza sarebbe il ritorno, con la coda tra le gambe, nella squadra del centro-destra, ipoteticamente guidata ora dal goleador Matteo Salvini e dal regista Silvio Berlusconi. Quindi la permanenza nel governo di coalizione, è diventa una sorta di mantra da quelle parti. Infatti NCD si è rivelato un partner piuttosto affidabile per Matteo Renzi, in particolare riguardo alle riforme istituzionali. Il voto insufficiente quindi potrebbe sembrare abbastanza immeritato. Diventa invece perfettamente appropriato se prendiamo in considerazione il suo operato da Ministro dell’Interno. Dopo il caso Shalabayeva nel 2013, quest’anno Alfano si è distinto per una discutibile gestione del corpo delle forze dell’ordine nel corso di una manifestazione che vedeva coinvolti gli operai delle acciaierie di Terni. Insomma un altro piccolo disastro. L’ex Cavaliere di Arcore disse una volta che gli mancava il “quid” per esser un leader. Mi sembra che non l’abbia ancora acquisito.

Le “Renzine” (ovvero Marianna Madia, Maria Elena Boschi, Pina Picierno e Alessandra Moretti): 4

maria elena boschi bimbiEcco qua inizia la pagina “trash” che troverà più ampio spazio nella seconda parte. Chiarisco subito: non è mia intenzione fare gossip. Non voglio parlare di come la Madia mangia il gelato, né commentare il look da spiaggia della Boschi, né indagare sulla vita privata della Picierno e, infine, nemmeno sapere quante volte la Moretti va dall’estetista. Discutiamo di contenuti. Ecco è proprio questo il problema. Se siete anche solo saltuari telespettatori dei Talk Show italici le avrete sentite sicuramente parlare almeno una volta ciascuna nel 2014. Cosa vi hanno lasciato le loro dichiarazioni? Cosa vi è rimasto impresso? Niente? Al massimo una versione sbiadita e monocorde di un discorso di Matteo Renzi, composta da un 50% di ottimismo gratuito, un 30% di ostinata apologia del governo e un 20% di banalità e frasi fatte? Ecco allora forse è meglio tornare alle frivolezze… 

P.S. Perdonate le molteplici metafore “pallonare”. Renzi è entrato pure nel mio subconscio…

24 dicembre 2014

SundayUp - I migliori album del 2014, ascoltati a cazzo di cane.

Sapete, io sono una persona che odia tutto ciò che è sulla bocca di tutti. 
Saliva? Herpes? Tracce di kebab? Niente di tutto questo, intendo dire che, per lo sgomento generale delle persone con cui ho a che fare, nonostante mi piaccia la musica e, pensa te, in teoria avevo iniziato questa column come recensore di dischi, in verità non mi piace tenermi aggiornato sulle uscite. Sì, vedo le bacheche di tutti voi con i gesù personali del momento che emergono da un nulla verso il quale sarebbe bene ricordarsi che tutti prima o poi dovremo tornare. Però - e qui supero a balzoni la sottile linea fra idiosincrasia e socialsociopatologia - anche quando si tratta di un artista che mi piace, e magari tanto, ho sempre qualche problema a fiondarmi sul nuovo album. Sarà perché sono sempre stato piuttosto riservato sui miei gusti personali, un po' perché è un tratto del mio carattere e un po' perché è difficile spiegare perché a 15 anni ti ascolti questo invece di questo. Cioè, si potrebbe tranquillamente spiegare così, ma in realtà non ho di questi pregiudizi pseudointellettualistici.

In questo si inserisce anche il fatto delle classifiche, fatto che sono impossibilitato a giudicare perché, credetemi, se ascolto più di 4 dischi usciti in uno stesso anno significa che Mogwai hanno dato alle stampe qualcosa (succede tipo ogni anno a partire dal 2008), i R.E.M. si sono riformati, i Low devono pagare la retta della scuola ai due figlioli, Jason Pierce è stato mollato dalla tipa un'altra volta e Nick Cave si è svegliato dopo aver sognato di aver intubato Miley Cyrus sulla spiaggia di Wangaratta mentre Blind Jefferson suonava un blues e ha pensato bene di doverlo comunicare al mondo  - tutto nel giro di soli dodici mesi! 
Dato che malauguratamente non è successo, comunque sia, ho deciso che per riportare equilibrio nella Forza avrei dovuto ascoltare i migliori album del 2014 e trarne alcune conseguenze. La mia base polemica sarà, un po' a caso, ma simbolicamente, Pitchfork. Ovviamente, visto che qui le bollette non si pagano da sole, le lauree non si prendono da sole, gli zebedei non si grattano da soli, ho deciso che giudicherò insindacabilmente solo in base alle mie casuali conoscenze pregresse e alla prima traccia che, altrettanto per caso, mi capiterà di trovare su youtube.
Ariel Pink, fonte: loudandquiet.com
10) Caribou - Our Love : Can't Do Without You 
Qui un minimo ero informato, in negativo ovviamente, perché ho visto un set live per una radio su internet e mi era parso di una tristezza e di un vacuo pazzeschi. Con questo pezzo partiamo male, odo una vocina del piffero col pitch shift che, come ebbi già modo di dire su questi schermi, per me equivale alla proverbiale campanella dei lebbrosi o a un grande cartello con scritto "Kiss me, I got ebola". Il pezzo è da club, con tanto di crescendo e fill che sono il giusto incontro tra Fatboy diol'abbiaingloria Slim e Avicii. La frasetta del titolo accompagna quasi tutto il pezzo come un mantra e finisce in una doccia di clipping che fa più Ibiza che Primavera Sound. 

9) Ariel Pink - Pom Pom : Picture Me Gone
Non sapevo veramente chi o cosa aspettarmi. Il video mi offre un tizio che era indeciso se ispirarsi nella sua public image a Morrissey, Grimes o Robert Smith dei Cure e, nel dubbio, li ha mischiati tutti e tre. Il pezzo, invece, mi prende assai, perché è una nenia psichedelica, a metà fra gli Animal Collective e "Queen of Denmark" di John Grant ma sotto sedativi. Questo potrebbe essere il mio album dell'anno! 

8) Todd Terje - It's Album Time : Delorean Dynamite
Lo ammetto, mi aspettavo un folkone nordico pallosissimo alla Tjere Nordgarden (sì, il mio cervello fa associazioni veramente originali). E invece sento una roba che vuole che si balli un sacco e veramente senza fermarsi, senza voci (dio ti ringrazio per questo [anche per le tigelle col pesto, ma prendiamo una cosa per volta]) e che mi ricorda a grandi linee la colonna sonora di Jazz Jackrabbit I, più fruttata e con più minori. Si badi, questo è uno dei complimenti più grandi che possa fare a un disco electro-dance. Probabilmente avrò voglia di sentirlo per intero.

7) Sun Kil Moon - Benji : Ben's My Friend

Questo è l'unico che ho ascoltato per intero, perché ho dei bei (in realtà dolorosissimi, come logica vuole, se sapete di che parlo) ricordi dei Red House Painters e quindi il buon Mark Kozalecchio di Reno Kozelek mi ha sempre fatto simpatia, specie per un motivo che ricorderemo qualche posizione più avanti in classifica. Scelgo l'ultima traccia perché, anche se i miei amici trentenni mi hanno detto "buu! Beck lo faceva quarant'anni fa!", mi è sembrata veramente particolare. Una specie di rap, sopra la chitarrina, con tanto di sovraincisioni di voce nell'ultima strofa, con un tipico testo kozelekkiano che parla di vita quotidiana e tristezze varie. In questo caso è un meta-testo che segue un flusso di coscienza di songwriting (mi avvalgo del mio lifetime-bonus per usare un'espressione abusata come flusso di coscienza) sostenuto da una batteria imperterrita, in cui il cantato ogni tanto pensa ad alta voce formando una specie di ritornello. Poi si fa più raziocinante, rispetto a un episodio di vita con Ben Gibbard dei Postal Service / Death Cab for Cutie. Artista e bomber vero.

6) Swans - To Be Kind : Oxygen
Unico pezzo che compare nella prima pagina di youtube, oltre a tremila recensione di youtubers qualsiasi. Gran bel lavoro, ufficio promozione degli Swans! Di loro non so nulla. Schiaccio play e sento musica primitiva vagamente Kraut, in ritardo di trent'anni, che diventa improvvisamente No Wave, un qualcosa che farebbe venire voglia di suggerire ai cigni di darsi alla crisi di mezza età riflessiva e piena di risentimento come Kozelek, invece che a far del bordello fastidioso come questo. Skippo e vado oltre, come dice Caparezza

5) Grouper - Ruins : qualsiasi pezzo
Voce femminile angelico-spettrale, piano solo e gracidio di rane. Amo il minimalismo e la tristezza, ma secondo me c'è pochino di interessante, qui. È qualcosa che si vuole proporre come tristone al primo colpo, ma senza molta dinamica all'interno dell'onda. Il problema di questo album è che ascoltato tutto di fila non riesco a figurarmelo in nessuna occasione della mia vita (e non è che di lavoro io faccia il Teletubbie, quindi non mancherebbero occasioni noiose). Monocorde.

4) Aphex Twin - Syro :Produx 29 
Ora, io credo che Aphex Twin abbia letteralmente inventato un tot della musica che oggi mi piace, ma, ciononostante, se ricordate la mia fobia da classici, non ho niente di suo. In giro ho sentito dire che è stato un delusone, questo Syro, e io, proprio perché ci tengo, ammetto di non avere gli strumenti culturali per giudicarlo bene. Ascoltando Produk 29 ho la netta impressione che è il pezzo di qualcuno a cui non gliene frega un cazzo di dimostrare qualcosa, ma si diverte a fare quel che fa, magari anche per dimostrare che bisogna continuare ad avere rispetto per lui. Ho ascoltato anche Giselle e, santo graal, questo è il modo di campionare e smanettare le voci: basta pitch shift, per l'amore del cielo! Bisogna resuscitare un mostro degli anni '90 come lui per fartelo capire, James Blake, Jon Hopkins, Chiunque Faccia Elettronica da Due Anni a Questa Parte? In ogni caso, mi sembra un approccio al suono spiazzante, in ogni caso ritmato e per questo interessante

UPDATE, 25/12: Come un messaggio pieno di insulti mi ha fatto notare, quelle che ho linkato sono dei fakes, dato che Aphex nostro non ha pensato di lasciare che le genti mettessero i suoi pezzi su Youtube (si vede che è rimasto ai '90) in compenso un sacco di gente ha caricato un sacco di merda falsa. Bene, ho ascoltato quello vero e, sostanzialmente, il mio giudizio non cambia: si diverte a fare quel che fa & non usa il pitch shift. 

3) The War on Drugs - Lost in the Dream : Under the Pressure & An Ocean in Between the Waves  
Bene, qui abbiamo Bruce Springsteen meets Arcade Fire meets Dire Straits meets Bob Dylan. Tutto molto anni '80, visto che usa una specie di chorus-flangerato che nel 2014 francamente non si può sentire. Fino al '93 era tipo legalizzato, ma comunque, tornando a parlare in generale, mi sembra un disco d'epoca. Se avete nostalgie di robe di cui è difficile avere nostalgia, accomodatevi, è fatto piuttosto bene. Ecco, forse ha fatto bene Mark Kozelek a cacciargli un merdone assurdo e che sembrava veramente la mania di un suonatore di chitarrina di mezz'età, dedicando loro una "War on Drugs Suck My Cock", di cui abbiamo un riassunto qui e qui.

2) FKA Twigs - LP1 : Pendulum & Two Weeks
Sapevo poco di questa ragazza, a parte che è apprezzatissima dalla critica e che è una femminista vera. Ascolto e penso, in ordine cronologico, Grimes, Cocteau Twins. Ovviamente, risciacquato in elettronica. Abbiamo basi con rumoretti non convenzionali (più black e meno sognanti rispetto a Grimes), ma su cui si posa un impianto vocale per niente eclettico, mi pare, al netto dell'esecuzione e dell'estensione assolutamente impressionanti. Il singolo Two Weeks ha delle belle punte emozionali, che mi pare manchino altrove. Non mi fa voglia di approfondire.

1) Killer Mike & El-P - Run The Jewels 2
Boh regaz, che vi devo dire, sono due rappusi incazzatissimi. Avranno i loro motivi.


Run the Jewels, fonte: rapburger.com
Bene, se devo fare un bilancio, in fin della fiera non credo di essermi perso gran che ad aver ascoltato tutto questo ben d'Iddio in una botta sola alla fine dell'anno. Ora scusate, ma devo correre ad ascoltarmi per la settecentesima volta Radio Free Europe, altrimenti mi sento male.

Filippo Batisti

@disorderlinesss 

16 dicembre 2014

L'Afghanistan dopo Karzai

Il 22 settembre scorso l’Afghanistan ha finalmente potuto indicare come nuovo Presidente della Repubblica Ashraf Ghani. Finalmente perché era da quasi dieci anni che Hamid Karzai ricopriva tale ruolo (senza contare il periodo in cui era stato nominato Presidente “facente funzioni” tra il 2001 e il 2004, subito dopo l’invasione statunitense) e finalmente anche perché il processo elettorale che ha portato a questa nomina è durato ben cinque mesi. Cinque mesi in cui gli afgani e la comunità internazionale hanno dovuto assistere ad una lunga sequela di tensioni, litigi, accuse di brogli (oltreché di brogli reali), ma anche ad un ballottaggio, a nuovi litigi e nuove accuse e pure ad un riconteggio delle schede del ballottaggio. Atto finale di questa sfiancante guerra politica intestina è stato un accordo di condivisione del potere tra Ghani e il suo principale sfidante arrivato secondo al ballottaggio di giugno, Abdullah Abdullah.

Ghani, Karzai e Abdullah.

L’accordo Abdullah-Ghani, larghe intese in salsa afgana

Al primo turno delle presidenziali, svoltosi il 5 aprile, Ghani aveva raccolto poco più del 30% delle preferenze pur provenendo dall’etnia principale dell’Afghanistan, i pashtun, contro il 45% di Abdullah (che si era già presentato alle presidenziali del 2009 ma era stato pesantemente battuto da Karzai in un’elezione segnata, ancora una volta, da scandali e brogli). Abdullah aveva ottenuto molti voti in tutto il paese e soprattutto nelle aree storicamente più lontane da Kabul e dal Pashtunistan – un’area abitata prevalentemente da pashtun e che si estende fra l’Afghanistan meridionale e il Pakistan nord-occidentale – e per evitare problemi con le altre etnie, di recente aveva stretto molte alleanze con numerosi candidati pashtun. Ma nonostante il successo personale e gli accordi siglati da Abdullah, i risultati del ballottaggio del 14 giugno hanno visto Ghani scavalcare nettamente il suo rivale, imponendosi con il 56% e una differenza di circa un milione dei voti. Alcuni analisti hanno perciò fatto notare che in Afghanistan, de facto, la carica di Presidente è riservata ad un pashtun. 

Nel periodo che va da giugno a settembre i due candidati hanno continuato a litigare, ad accusarsi reciprocamente di brogli e ad evitare di trovare un accordo, mentre gli afghani, stanchi e delusi, stavano ad osservare la schermaglia, la comunità internazionale cercava di far sedere entrambi i contendenti ad uno stesso tavolo e l’ONU soprintendeva al riconteggio delle schede elettorali che avrebbe poi indicato in Ghani il vincitore.

Il passo fondamentale per giungere a questa nomina è stato l’accordo di condivisione del potere siglato fra Abdullah e Ghani stesso e fortemente voluto dall’amministrazione statunitense. Questo accordo ha dato vita ad un governo di unità nazionale creando l’inedito ruolo di Chief Executive Officer – tradotto in italiano con “amministrato delegato” – che da molti osservatori è stato paragonato a quello di un Primo ministro. Sempre secondo l’accordo, al governo Ghani potranno prendere parte anche il Chief Executive Officer e i suoi due vice; Abdullah avrà voce in capitolo nella nomina di due ministeri chiave come quello della sicurezza e dell’economia (incarico, quest’ultimo, ricoperto da Ghani nella breve esperienza del primo governo Karzai). Formalmente l’amministratore delegato avrà il compito di mettere in pratica le politiche del gabinetto del Presidente, rispondendo solo a lui del suo operato. 
Il problema principale resta però la cornice istituzionale nella quale dovrebbe collocarsi questa nuova figura. L’Afghanistan infatti non ha un Primo ministro vero e proprio dal 1996 ed è forte il timore che il paese si spacchi per l’incapacità di reggere il peso di due uomini forti al potere contemporaneamente, seppure per due cariche differenti. 
La situazione è ulteriormente complicata dalla tempistica e dalle modalità con cui si dovrebbe sancire la nascita di questo nuovo ruolo. Difatti, nell’accordo tra Abdullah e Ghani si specifica che la carica di Chief Executive Officer comincerà a “transitare” verso quella di Primo ministro tramite la convocazione, entro due anni, di una loya jirga1 costituzionale che avrà il compito di definire nei dettagli quali saranno i poteri e i limiti della nuova figura politica. L’iter istituzionale prevedrebbe poi una ratifica, sempre da parte della loya jirga, dei cambiamenti apportati alla Costituzione e infine le dimissioni del vecchio Parlamento, configurato ancora con le vecchie regole, e le indizioni di una tornata elettorale. “Il problema”, nota il giornalista Frud Bezhan2 di Radio Free Europe: “È che una loya jirga costituzionale può essere convocata solo in presenza di consigli distrettuali eletti”, una precondizione che non si è ancora verificata. Inoltre, il Presidente ha potere di nomina sui membri della loya jirga e, volendo pensar male, viene da chiedersi se Ghani, tramite questa prerogativa, saprà resistere alla tentazione di orientare le decisioni dell’assemblea in un senso a sé più favorevole. 
I primi segnali che giungono dalla cerimonia di insediamento di Ghani e che parlano di un Abdullah furioso (non gli sarebbe stato permesso di parlare durante l’evento e sono stati pubblicati i risultati delle elezioni violando gli accordi precedentemente siglati) non fanno ben sperare per il futuro di questa strana convivenza.

L’erba cattiva non muore mai
Nonostante gli Stati Uniti abbiano speso circa 7,6 miliardi di dollari per sradicare le coltivazioni di oppio dal territorio afgano gli sforzi della comunità internazionale nella lotta al narcotraffico sembrano essere smentiti dai risultati osservabili sul campo. Se il raccolto di papavero del 2013 aveva già registrato un record (209mila ettari coltivati contro i 154mila del 2012 e i 193mila del 2007, un’altra annata che aveva toccato livelli mai raggiunti prima), il 2014 non è stato da meno, arrivando a sfiorare i 224mila ettari di estensione. L’oppio, con i suoi 3 miliardi di ricavi nel 2013, finanzia il narcotraffico e la guerriglia talebana, generando così un circolo vizioso che alimenta altri grandi mali del paese: la corruzione e il conflitto.
Non bisogna poi dimenticare che, anche se le principali rotte della droga conducono all’estero (soprattutto verso Russia, Iran, Europa ma, grazie al porto pakistano di Karachi, perfino verso l’Africa centrale e il Sud-est asiatico), è presente una quota di consumo interno non indifferente. Difatti si stima che almeno 1,3 milioni di afgani siano consumatori abituali di droga, in forte crescita rispetto agli anni passati.

Come la pensa il Mullah Omar
Mai del tutto domati e sempre pronti a colpire, gli insorgenti (etichetta sotto la quale trova spazio un ampio ventaglio di
gruppi armati: le milizie talebane, la rete Haqqani, i Tehrik-i-Taliban pakistani, elementi di Al-qaeda e altri ancora) hanno di recente assestato alcuni gravi colpi alle forze di sicurezza internazionali e afgane. Col progressivo ridursi della presenza militare straniera – da sempre obbiettivo privilegiato della guerriglia – gli insurgents locali hanno dovuto ripiegare sugli attacchi green on blue, ovverosia attentati rivolti al personale USA o ISAF impegnato ad addestrare le forze di polizia o dell’esercito afgano. Il caso più grave ha riguardato il vice-comandante del Combined Security Transition Command, il generale dell’Us Army Harold Greene, lo scorso 5 agosto, ucciso da un membro dell’ANP (Afghan National Police) mentre visitava Camp Qargha, a Kabul. 
Simili attacchi a volte sono condotti contro quelli che dovrebbero essere i propri commilitoni da infiltrati degli insurgents o da aspiranti tali (recentemente un kamikaze è quasi riuscito ad uccidere il comandante della polizia di Kabul, facendosi esplodere a poca distanza dal suo ufficio; lo stesso comandante si è dimesso poche settimane dopo l’attentato, per il deteriorarsi della sicurezza nella capitale). 
Com’è noto ISAF e Stati Uniti stanno abbandonando le loro basi nel paese; nel farlo cedono tutti i poteri e le responsabilità alle forze locali (meno di un mese fa le truppe britanniche e statunitensi hanno lasciato le grandi basi dell’Helmand, una delle regioni più delicate dal punto di vista della presenza talebana e dell’oppio, che proprio nell’Helmand vede produrre la metà del raccolto dell’intero paese3). 

Questa decisione però, se ha comportato la necessità per le forze afgane di riorientare il proprio ruolo in senso più proattivo, ha significato anche un inevitabile aumento del 90% delle perdite tra i membri delle ANSF (Afghan National Security Forces), molto numerose e più presenti del passato sul territorio e nelle operazioni militari. Unitamente ad altri fattori, correlati alla scarsità di nuove leve e di quadri superiori ben addestrati, tutto ciò produce continue defezioni che minano le già precarie forze armate afgane.
Se la crisi politica incombente dovesse tramutarsi in realtà, nessuno può prevedere quale sarebbe il destino dell’esercito e della polizia, che oggi contano su ben 352mila uomini. Lo scenario più fosco prefigura una loro frantumazione su linee etniche, una dispersione dell’equipaggiamento e dell’addestramento (forniti in larga parte dagli alleati occidentali) e un ritorno alla guerra civile che devastò l’Afghanistan per quasi un decennio. Insomma, uno scenario molto simile a quanto sta accadendo in Iraq con le milizie dell’ISIS.
Non bisogna dimenticare neppure che l’azione degli insorgenti continua ad abbattersi come una scure oscurantista anche sulla popolazione, come ad esempio nella provincia di Nangarhar dove, come atto di ritorsione per l’arresto di due loro militanti, i talebani hanno fatto chiudere 28 fra scuole ed istituti educativi, costringendo così 20mila studenti a rimanere a casa. O come nella provincia di Paktika quando, meno di un mese fa, un kamikaze a bordo di una moto si è fatto esplodere durante una partita di pallavolo, uccidendo più di cinquanta persone e ferendone una sessantina

Se la crisi politica incombente dovesse tramutarsi in realtà, nessuno può prevedere quale sarebbe il destino dell’esercito e della polizia, che oggi contano su ben 352mila uomini. Lo scenario più fosco prefigura una loro frantumazione su linee etniche, una dispersione dell’equipaggiamento e dell’addestramento (forniti in larga parte dagli alleati occidentali) e un ritorno alla guerra civile che devastò l’Afghanistan per quasi un decennio. Insomma, uno scenario molto simile a quanto sta accadendo in Iraq con le milizie dell’ISIS.
Non bisogna dimenticare neppure che l’azione degli insorgenti continua ad abbattersi come una scure oscurantista anche sulla popolazione, come ad esempio nella provincia di Nangarhar dove, come atto di ritorsione per l’arresto di due loro militanti, i talebani hanno fatto chiudere 28 fra scuole ed istituti educativi, costringendo così 20mila studenti a rimanere a casa. O come nella provincia di Paktika quando, meno di un mese fa, un kamikaze a bordo di una moto si è fatto esplodere durante una partita di pallavolo, uccidendo più di cinquanta persone e ferendone una sessantina


La realtà è che questa è una guerra che nessuno dei due contendenti può sperare di vincere con le armi, sul campo. I talebani non sono abbastanza armati e addestrati, un confronto diretto con ISAF li vedrà sempre sconfitti e inoltre non hanno l’appoggio di tutta la popolazione afgana. Però sono combattenti esperti, conoscono bene il territorio in cui si muovono e sono foraggiati dal Pakistan e da molti Stati del Golfo. Nello schieramento opposto, la coalizione internazionale e le forze di sicurezza locali sono poco motivate, frammentate lungo linee etnico-tribali, afflitte dalla diserzione cronica, spesso corrotte e infiltrate dai terroristi ma sono anche numericamente superiori e dotate di quella potenza militare che agli insurgents è sempre mancata. Una situazione di sostanziale stallo nella quale nessuno dei due contendenti sembra in grado di prevalere.
Fino ad oggi, dopo più di dieci anni dall’inizio dell’invasione statunitense dell’Afghanistan, il solo ricorso alle armi non pare abbia fatto emergere una fazione la cui vittoria sia chiara e incontestabile. Del resto, però, la strada dei colloqui di pace tentata dagli USA e dall’iperattivo Qatar (e sempre osteggiata da Karzai e da alcune fazioni degli insurgents), finora non sembra abbia portato a risultati apprezzabili. Ghani e Abdullah vorranno unirsi a quel percorso? E se sì, quali condizioni porranno ai rappresentanti del Mullah Omar e dell’amministrazione statunitense? 

Re
solute Support, BSA e AfPak
Subito dopo la sua elezione, il nuovo Presidente dell’Afghanistan – chiunque esso fosse stato – sapeva già di avere un importante impegno ad attenderlo. Infatti uno scottante documento attendeva la sua firma.
È già da parecchi anni che si parla apertamente della necessità di prolungare la missione ISAF anche oltre la scadenza di fine 2014 che la NATO e gli USA si erano precedentemente dati. Questo nonostante il fatto che gli alleati e l’opinione pubblica siano stanchi di una guerra a bassa intensità che non pare sul punto di concludersi. Al contempo il governo e le forze armate afghane, come già detto sopra, difficilmente riuscirebbero a mantenere l’ordine nel paese (basti pensare che le sole ANA e ANP costano 4 miliardi all’anno e che il governo afgano riesce a contribuire a tale cifra con appena 500 milioni) senza l’appoggio delle truppe occidentali. Per questo motivo, da gennaio 2015, entrerà in funzione la nuova missione della NATO, Resolute Support, che dovrà sostituire ISAF e che comprenderà personale tanto statunitense quanto europeo (per l’Italia, un recente rapporto del Centro Studi Internazionali, parla di un contingente di 800-1.000 uomini).

Originariamente tale missione non doveva più prevedere una funzione “combat” per gli occidentali, ovverosia di ingaggio diretto col nemico sul territorio. Resolute Support, infatti, come si evince già dal nome, aveva il compito di proseguire l’addestramento delle forze armate locali; l’attività bellica doveva limitarsi a dare la caccia agli elementi di Al Qaeda rimasti in Afghanistan; un compito, quest’ultimo, simile a quello che aveva dato il via all’Operazione Enduring Freedom nel 2001. Questi per l’appunto i piani originari. Il 2014 è però stato un anno impegnativo per la politica interna ed estera dell’amministrazione Obama: l’avanzata vittoriosa dell’ISIS in Iraq e Siria e di Putin in Ucraina, le controrivoluzioni la dove era passata la Primavera araba. Le cose non sono andate meglio in casa, dove i repubblicani hanno conquistato entrambi i rami del congresso con le elezioni di midterm dello scorso novembre. Il Pentagono, del resto, non ha mai nascosto troppo accuratamente le sue antipatie per un Presidente considerato troppo morbido con i nemici della nazione. Ci è voluto quindi molto poco a modificare i compiti attribuiti alle truppe di Resolute Support. Ciò significa che, da gennaio 2015 e fino a dicembre 2016 (il termine di RS è stato fissato nel 2017), i 9.800 militari statunitensi che rimarranno in Afghanistan riprenderanno ad affiancare in prima linea le truppe locali, per qualsiasi tipo di combattimento.E questo ci riporta all’importante documento che attendeva la firma del nuovo Presidente dell’Afghanistan. Ghani non si è fatto attendere e, il 30 settembre 2014, appena un giorno dopo il suo insediamento, ha siglato l’accordo bilaterale di sicurezza (Bilateral Security Agreement, BSA) che permetterà alle truppe statunitensi di rimanere nel paese anche dopo il 2014. Il 23 novembre anche la Camera bassa (la wolesi jirga) ha ratificato tali accordi4 mentre un secondo accordo è stato siglato con le forze della NATO. Il BSA è servito a dare una copertura legale all’intera operazione: la parte più controversa riguarda la copertura legale dei soldati occidentali che compiano un reato su territorio afghano a danno di cittadini afghani e che, proprio in base all’accordo firmato da Ghani, saranno giudicati dai paesi di provenienza e non da un tribunale locale. Sempre grazie al BSA saranno riconfermati gli aiuti economici (16 miliardi di dollari all’anno fino al 2017) da parte dei donatori esteri, volti a rafforzare l’assistenza militare e la ricostruzione del paese.
Infine il Pakistan, nel quale parte dell’establishment politico, militare e religioso è di fatto molto vicino ai talebani, che come sempre cerca di influenzare la politica interna afgana. Molti analisti vedono nell’elezioni di Ashraf Ghani l’ombra lunga di Islamabad e del suo potente servizio segreto, l’ISS. Ciò in spregio alla Costituzione del 2004 che, nelle intenzioni dei suoi redattori, doveva creare candidature imparziali e ripartite equamente fra le diverse etnie che compongono il paese. 


Ghani che, come già detto, è di etnia pashtun come del resto oltre il 15% della popolazione pakistane (una cifra che ne fa il secondo gruppo etnico del paese e il primo in diverse province, soprattutto quelle nelle vicinanze al confine con l’Afghanistan), potrebbe rappresentare la migliore garanzia per Islamabad: la sua influenza sull’instabile vicino rimarrà inalterata.
Ghani, ha già compiuto la sua prima visita ufficiale nelle vesti di neo Presidente: il 14 novembre si è recato sia dal Primo ministro Nawaz Sharif sia dal capo dell’esercito pakistano Raheel Sharif, col quale ha parlato di migliorare la cooperazione militare. Il giorno prima si erano invece incontrati i ministri delle finanze dei due paesi per aumentare il volume degli scambi commerciali nell’area5. Ma gli altri vecchi alleati dell’ISS, i talebani, cosa faranno quando anche Resolute Support terminerà e la loro campagna militare dovesse avere successo? Considerato che un’ampia regione del Pakistan nord orientale – in particolare le cosiddette FATA (Federally Administered Tribal Areas) – è stata ormai sottratta al potere centrale, cosa impedirebbe a quella zona che oggi viene denominata AfPak per la sua sorprendente omogeneità, di staccarsi rispettivamente da Kabul e da Islamabad e di divenire a tutti gli effetti il tanto agognato Pasthunistan?

Marco Colombo

1 Una grande assemblea dei rappresentanti dell’intero popolo afgano con la quale si prendono le decisioni più importanti per il paese (come ad esempio la nomina di un nuovo Capo di Stato, oppure l’approvazione della Costituzione o la sua modifica).
2 Internazionale 1070, 26/9/2014, p. 30.
3 Internazionale del 31 ottobre 2014, n. 1075, pag. 33.
4 Internazionale del 28 novembre 2014, n. 1079, pag. 21.
5 Internazionale del 21 novembre 2014, n. 1078, pag. 31.