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30 settembre 2014

Calcio - Top & Flop della quinta giornata di Serie A

TOP

Mattia Destro (Hellas Verona – Roma 0-2)


Non c’è molto da dire su Mattia Destro, e sul perché sia tra i Top di questa settimana. Cominciate guardando questo video. 
Perché questo gol è così eccezionale? Beh, in primis perché è oggettivamente eccezionale. Osservate lo stop al volo, la torsione, l’occhiata rapida alla porta e il tiro molto preciso da una così grande distanza. In secondo luogo, è eccezionale perché viene da Mattia Destro, che tra gli attaccanti “giovani” italiani è quello più d’area di rigore, bravissimo nel tap in vincente e nell’azione sottoporta. Tra gli attaccanti della scorsa stagione di Serie A, Mattia è quello che ha in media ha totalizzato meno passaggi per partita, a fronte dei gol segnati. In più, tra i primi dieci marcatori di serie A della scorsa stagione, è il secondo per distanza media dalla porta (8,9 metri). Per la totalità della sua carriera, Destro ha giocato fruttuosamente, che per un attaccante significa segnare, dentro l’area di rigore, ed ancora più stabilmente dentro l’area piccola. Ecco perché risulta eccezionale il gol, per il fatto stesso che Mattia Destro abbia avuto l’idea di tirare da lì, di cercare il gol da 40 metri invece che da meno di 9. E l’idea ha pagato.

Albin Ekdal (Inter – Cagliari 1-4)

Ho un personale ricordo di Albin Ekdal, appena sbarcato in Italia da una squadra svedese dal nome impronunciabile. Trofeo Berlusconi, Milan - Juventus, anno 2008. Sinceramente mi fece un’ottima impressione, quello strano biondino un po’ allampanato, ma con le idee chiare su dove giocare e dove spedire la palla. Rimasi un po’ dispiaciuto quando il giovanotto, appena acquistato dal Brommapojkarna, venne prima spedito in Primavera e poi al Siena, dove segnò il suo primo gol in Serie A (contro l’Inter a San Siro, ndr). Ancora più deluso rimasi quando venne ceduto prima al Bologna e poi al Cagliari, ma continuai a seguirne le tracce, comprandolo anche quando potevo al fantacalcio. Ovviamente, non solo quest’anno non solo non l’ho comprato io, ma l’ha comprato il mio avversario in questa giornata di campionato. Per qualche misteriosa congiunzione astrale, o forse per ricambiare la mia simpatia, Ekdal al fantacalcio si è accomodato in panchina, mentre in campo segnava una tripletta storica, per lui, per il Cagliari e per la permanenza di Zeman sulla panchina dei sardi. Almeno adesso verrà ricordato anche per qualche impresa sul campo, e non solo per essere il gemello di madre diversa di Avicii.

Fonte: sport.sky.it

Udinese – Parma 4-2 (Udinese-Parma 4-2)
Sarebbe sinceramente impossibile trovare un Top unico in questa partita. Potrei tranquillamente scegliere il rigore a cucchiaio di Cassano, il gol e il rigore procurato da Josè Mauri, classe ’96, la doppietta dell’eterno Di Natale o la rete in rovesciata di Heurtaux. E invece li scelgo tutti,  indicando la partita tra Udinese e Parma come più divertente del lungo weekend calcistico. Continui ribaltamenti di fronte, belle azioni, bei gol, belle parate, un rigore a cucchiaio che entra dopo aver colpito la traversa, un gol in rovesciata, una cosiddetta provinciale di nuovo terza in campionato mentre una delle grandi della scorsa stagione in fondo alla classifica. Chiaro, se siete dei tifosi di una di queste due squadre potreste aver subito alcuni infarti, o esservi mangiati le unghie fino all’osso, o aver tirato pugni nel muro, però io mi sono visto proprio una bella partita.

Filip Djordjevic (Palermo – Lazio 0-4)
Si, ok, ero andato bene fino ad ora, ma poi Djordjevic ha segnato, proprio mentre scrivevo, una tripletta con la Lazio in casa del Palermo, e non potevo non metterlo. Andatevi a vedere il suo terzo gol, va, e poi ditemi. 


FLOP


Nagatomo, Vidic e la ballerina difesa dell’Inter (Inter-Cagliari 1-4)

Perdere contro l’ultima in classifica è brutto. Essere umiliati dall’ultima in classifica è terribile. L’Inter di Mazzarri riesce nell’impresa che fino a quel momento non era riuscita a nessuno, cioè perdere contro il Cagliari di Zeman. Le squadre di Zeman sono sempre state superoffensive (e ne sia testimonianza l’incredibile formazione 2-8 che potete vedere qui), ma davanti ad una difesa ordinata e schierata non hanno scampo e lasciano praterie aperte ai contropiedi. Contro l’Inter però hanno trovato una difesa lenta ed impacciata. Vidic, pallida ombra di quello di Manchester, avrà ancora gli incubi: avete presente quando tentate, in sogno, di correre verso una porta o di scappare da qualcosa e non riuscite mai ad allontanarvi? Ecco, questo provava Vidic inseguendo inutilmente Ibarbo. Poi Andreolli, chiamato a sostituire capitan Ranocchia, in uno strano turnover che lascia scoperta la difesa nerazzurra. Infine Nagatomo, che pensa bene di farsi espellere per doppio cartellino giallo dopo solo mezz’ora dall’inizio e di lasciare i suoi in inferiorità numerica per tutta la partita. Ultimo, ma non per importanza, Mazzarri, che non cambia nulla della sua difesa fino al secondo tempo, quando è già sotto di tre reti, e cambiando solamente Dodò (che mostra tutti i limiti difensivi che aveva anche in maglia giallorossa) infortunato per D’Ambrosio. Contro questa difesa, gli otto giocatori offensivi di Zeman hanno vita facile.

Il Sassuolo, ovvero la conferma che non è arrivata (Sassuolo-Napoli 0-1)
L’anno scorso pochi si aspettavano la salvezza del Sassuolo, dopo una stagione non certo esaltante. Ma grazie ad acquisti di esperienza e di futuro e ad un grandissimo finale di campionato la squadra emiliana si è guadagnata la permanenza in Serie A. Era quindi lecito aspettarsi che Squinzi, patrono neroverde, spendesse per una campagna acquisti degna del massimo campionato. E invece no. La formazione tipo è in grandissima parte la stessa dell’anno scorso (molto simile a quella della vittoria della Serie B, soprattutto negli uomini chiave), con gli unici nuovi giocatori, comunque di alto livello, come esterni di difesa (Peluso e Vrsaljko) ed in porta (Consigli, a sostituire Pegolo infortunato). Ma dalla difesa in avanti, la squadra è la stessa, con le stesse pecche e gli stessi problemi dell’anno scorso. Berardi-dipendente, nel momento in cui la stellina dell’Under 21 non c’è, per infortunio o spesso per squalifica, dato il carattere fumantino, la squadra è priva di riferimenti offensivi. I vari Sansone, Zaza, Floro Flores e Floccari, nonostante le qualità individuali, non riescono ad essere incisivi come gli viene chiesto, e la squadra è sul fondo della classifica, con tre pareggi in cinque partite e due gol segnati. Le soluzioni sono due: o Berardi cresce e si carica la squadra sulle spalle con continuità o la società dovrà intervenire sul mercato. Se nessuna delle due cose accade, il futuro dei neroverdi è solo nero.  

Zouhair Feddal (Palermo-Lazio 0-4)
Poco tempo fa avevamo lasciato Alvaro Morata sbagliare un gol sottoporta in modo abbastanza comico, e lui ci ha ripagato con una rete contro l'Atalanta. Oggi tocca a Feddal (al minuto 1:09) del Palermo, e chiaramente gli auguriamo di segnare al più presto. 



EXTRA

Questa è una nuova parte, che non so se prenderà piede. Racchiude dentro di sé ciò che non è classificabile in scale umane, o sensate. Alcuni di voi la considereranno il massimo dei top, altri il più profondo dei flop. Io non giudico, lascio che siate voi a giudicare. Ecco a voi Ferrero in tutto il suo splendore.

Marco Pasquariello

Articolo 18: una prova di forza


Nel tentativo di affrontare la questione del recente scontro sull’articolo 18, credo sia necessario delinearne gli aspetti di merito, per passare poi alla sua dimensione di polemica politica, che a meno di un deciso cambio di rotta rischia di rimanere, quale già è, preponderante.

Il diciottesimo articolo dello Statuto dei lavoratori sancisce il diritto all’annullamento del licenziamento, al reintegro ed eventualmente al risarcimento del danno subito per chi sia stato privato del posto di lavoro “senza giusta causa o giustificato motivo”. La situazione deve essere accertata dal giudice, la cui sentenza è provvisoriamente esecutiva già in primo grado e contro la quale è data facoltà all’azienda di sporgere reclamo. Questo il suo semplice, ma da molti deliberatamente trascurato, contenuto, inserito nel quadro del titolo III dello Statuto, intitolato “Della libertà sindacale”, dal quale si intende verso che abusi fosse innanzitutto pensato e diretto.

Fonte: formiche.net
Il suo campo di applicazione è limitato ai dipendenti di aziende al di sopra dei quindici addetti, il che attualmente significa ad una platea di lavoratori stimata attorno ai 6,5 milioni dei circa 18 milioni di dipendenti su 22 milioni di occupati del nostro Paese. Si tratta esclusivamente di assunti con un regolare contratto a tempo indeterminato, categoria che tra i neoassunti risulta per ovvie ragioni drasticamente in calo. L’articolo punisce i licenziamenti discriminatori (ovvero dettati da motivazioni di carattere razziale, religioso, di genere, di appartenenza politica e soprattutto sindacale, ecc.) e quelli ingiustamente disposti per ragioni economiche, ad esempio qualora un’azienda ravvisi la propria convenienza a non impiegare più un lavoratore a condizioni contrattuali giudicate onerose o con tutele eccessive. Nel concreto le sentenze di reintegro non sorpassano le poche migliaia l’anno, considerata anche la gravità dei requisiti richiesti. L’art. è stato già riscritto dalla legge Fornero, che limita ai soli casi di discriminazione l’obbligatorietà del reintegro, riserva alla decisione del giudice la scelta tra questo ed un indennizzo per gli altri.

La proposta dell’attuale governo sembra essere quella, ferma restando la prima parte, di rendere obbligatorio l’indennizzo – una mensilità per ogni anno lavorato fino ad un massimo fissato – per gli altri tipi di licenziamento ingiustificato. Il governo auspica di superare la dicotomia tra protetti e non protetti dall’articolo con la riduzione delle tipologie contrattuali e con l’istituzione di ammortizzatori sociali più estesi, di veder crescere l’occupazione grazie alla rimozione di un ‘residuo storico’ considerato di freno agli investimenti, anche esteri, di adeguarsi all’Europa. Di contro si sostiene l’inconsistenza delle motivazioni – che risiederebbero invece in un attacco alle minoranze interne al PD e ai sindacati – dato che si verrebbe a creare una nuova divisione tra gli assunti fino al giorno x di entrata in vigore della legge e i detentori di un diritto acquisito, che tale ‘scambio’ sarebbe di per sé illegittimo, che nulla sarebbe l’utilità dell’abolizione per gli investimenti, viste anche varie dichiarazioni degli stessi industriali sulla marginalità della questione, che sarebbe assurdo, per favorire l’occupazione, permettere licenziamenti illegittimi, che infine esistono, ad esempio in Germania, norme in tutto analoghe a questa. Questi i principali argomenti, il cui peso, come si diceva, è relativo. Vista anche l’unica, candida affermazione di Renzi in materia quando doveva ancora vincere le primarie (“Dell’art. 18 non frega niente a nessuno”), i meccanismi paiono altri.

Fonte: ecomy.it
Capitolo politico. Storicamente centrodestra e centrosinistra si sono scontrati sul tema già più volte. Approvato il 20 maggio 1970 da un governo a guida democristiana, in seguito ad una stagione di ampie rivendicazioni sociali e civili, lo Statuto è stato fatto oggetto degli attacchi dei governi Berlusconi, in particolare dell’ex ministro del lavoro Sacconi, e difeso dai sindacati e dai partiti di centrosinistra sia durante i governi Prodi, che si attennero al metodo della concertazione, ovvero al preventivo accordo delle forze sociali sugli interventi in materia, quando costituivano l’opposizione. L’apice dello scontro si toccò colla manifestazione del 24 marzo 2002, quando i tre milioni in piazza colla CGIL di Cofferati dissuasero Berlusconi dall’andare oltre. Una prima prova di forza. Rilevante la posizione di Ichino, che da tempo propone un modello di “flexicurezza” sul modello danese, ovvero riduzione di alcune tutele avanzate, art. 18 incluso, e flessibilità in entrata e uscita dal mercato del lavoro in cambio dell’estensione delle tutele di base a tutti i lavoratori. Il senatoreha abbandonato il PD dopo le penultime primarie per Civica, vista l’impossibilità di far prevalere la propria linea sotto la segreteria Bersani, ma ora risulta, dato l’esito diametralmente opposto delle ultime primarie, il principale punto di riferimento di Renzi.

Le cose paiono cambiate: Sel da una parte, con centinaia di emendamenti presentati al testo del governo, centristi Ncd e Forza Italia dall’altra si attestano su posizioni prevedibili, mentre l’iniziativa di rottura (si pensi solo alla provenienza del predecessore Epifani) di Renzi ha causato un forte dibattito interno allo stesso PD e parallelamente un nuovo scontro tra governo sindacati, soprattutto col maggiore, la CGIL.

Fonte: lettera43.it
Per il primo aspetto, le due minoranze interne si trovano unite nel criticare le intenzioni del governo, contestano la mancanza di un testo scritto e l’abbandono di una linea storica (Civati, che è giunto a proporre un referendum tra gli iscritti) la natura “surreale” dell’operazione (Bersani), il mancato rispetto per un principio giusto e sancito dalla Costituzione (Cuperlo) ecc., ed hanno presentato sette emendamenti di compromesso, uno dei quali propone l’applicazione dell’art. 18 solo in seguito alla prima fase, di tre anni, del contratto a tutele crescenti la cui adozione pare nelle intenzioni del governo. Le firme di parlamentari PD superano la quarantina, numeri che parevano aver indotto alla trattativa.La responsabilità di dettare la linea ufficiale è nelle mani della direzione nazionale dove, certo, Renzi vi ha la maggioranza, ma un muro contro muro non pare la soluzione. Credo significativo che un renziano ‘doc’ come Chiamparino abbia dichiarato su Repubblica di preferire la linea di Cuperlo – che propone anche una definizione dei casi di reintegro obbligatorio più ampia di quella del governo – e che le riforme van fatte, ma bene. Nella stessa direzione le durissime critiche della CEI anche sul lavoro. Il paventato ricorso alla fiducia e i timori di dover ricorrere ancora al soccorso berlusconiano danno il senso del clima pesantissimo. Una spaccatura sarebbe questa volta ampia, profonda e densa di conseguenze. E un ennesimo schiaffo ad un serio confronto nel merito e non su testi mai discussi e concordati fra partiti e parti sociali.

Quanto al rapporto tra governo e i sindacati, se ne evidenzia la conflittualità, caratterizzata dalle accuse a questi ultimi di conservatorismo, scarsa trasparenza, inefficienza, scarsa rappresentatività e, all’esecutivo, di superficialità, mancanza di un progetto legislativo complessivo e realmente incisivo, propagandiamo, indisponibilità anche al solo dialogo. Sembra chiara la tendenza generale di Renzi a voler scavalcare le organizzazioni dei lavoratori per puntare al consenso di tutti i singoli cittadini ed elettori presentandosi come compiutamente ‘post-ideologico’.

I sindacati appaiono attestati su posizioni piuttosto differenziate, con la CISL – ma dopo le dimissioni di Bonanni la componente metalmeccanica ha indetto una manifestazione contro il governo - ed in parte la UIL più disposte alla trattativa, la CGIL decisamente in rotta di collisione coll’esecutivo, tutti concordi tuttavia nel giudicare sbagliato, pretestuoso e controproducente quanto proposto. E nel temere il rinvio della parte della riforma favorevole ai lavoratori a data da destinarsi causa risorse mancanti, vedasi il decreto Poletti. Uniti nel non riconoscere all’intervento una priorità, nel considerarlo uno “scalpo” da usare di fronte a UE, industriali e alleati di governo, quando servirebbe ben altro.

In conclusione, l’auspicio è quello che la conoscenza della concreta realtà dei fatti aiuti tutti a superare posizioni preconcette, che ciascuno basi solidamente il proprio giudizio sui contenuti economici, sociali e politici, senza i quali le parole sono, appunto, vuote. Che risulti chiaro come non esistano passi obbligati. Ogni legge è frutto di una scelta, che reca con sé precise motivazioni e precisi obiettivi e le cui conseguenze vanno sempre in una direzione e non in un’altra. Operazioni neutre non ne esistono. Meno di tutte lo sono, spesso, proprio quelle che vorrebbero presentarsi come tali.

Eugenio Mattioni

28 settembre 2014

SundayUp - Caro Buffa, grazie di tutto, ma forse è meglio così.

Federico Buffa ha annunciato che praticamente smetterà di fare telecronache per dedicarsi ad altro. Forse, dopotutto, è meglio così.
E, sia chiaro, lo dico da fan di Buffa. Fan con dei "però".
Federico Buffa è diventato noto al grande (quanto grande? domanda interessante) pubblico come commentatore spalla di basket NBA , al fianco di un altro mostro sacro, Flavio Tranquillo, prima su Telepiù, poi su Sky. Buffa ha dei meriti culturali enormi. E assegno a questa parola tutto il peso che ha. Insieme  a - e un po' più di - Tranquillo, Buffa ha fatto conoscere alle masse (davvero possiamo parlare di masse?) non tanto il basket NBA in quanto tale, quanto piuttosto le culture che vi stanno dietro e dentro. Soprattutto, ha fatto tutto questo con cognizione di causa (vedi esperienze in prima persona), con uno stile estremamente caratterizzato e personale, di cui parleremo molto, e ha fatto tutto questo senza mai salire in cattedra, come magari tende più a fare Tranquillo, perché fondamentalmente Buffa è "uno di noi", cioè un fanatico, uno che si diverte a vedere quello che vede per lavoro.
Le telecronache di Buffa aggiungono una dimensione di "piacevolezza dell'apprendimento" che ogni insegnante di scuola media sogna, oltre che una capacità di storytelling che farebbe comodo a diversi cantautori di alta fascia. Non a caso sul Tubo si trovano video degli aneddoti di Federico Buffa e i video spesso non scollinano i 2-3 minuti. Lo stile, oltre che i contenuti difficilmente (specie prima di internet!) accessibili e selezionabili con la stessa perizia da parte degli altri giornalisti italiani, è l'innovazione principale di Buffa, che è pure, mi pare, il grimaldello per il successo su larga scala che ha determinato l'influenza culturale da lui esercitata.

Lo stile di buffa è una narrazione da insider, da uno che ha letto (o piuttosto toccato brevi manu) le fonti e le impacchetta sapientemente in un aneddoto insieme divertente ed informativo. Spesso però, e veniamo alla prima pecca che gli imputo, la sua ammirabile sintesi deriva da una (forse necessaria) forte ellissi. Per raccontarti qualcosa insomma, dà per scontati diversi antecedenti che non necessariamente tu sei tenuto a conoscere. Oppure, all'interno della stessa mini-unità di narrazione, i salti tra i vari passaggi sono troppo ampi, a scapito della coesione del discorso. Questo si collega a un'altra spiccata caratteristica stilistico-retorica del duo Tranquillo-Buffa, che è quella dell'ironia, o meglio, dell'ammicamento, del darsela a intendere, nel far sì che la parte implicitata del messaggio sia fondamentale per il corretto scioglimento del sarcasmo contenuto della parte esplicita del messaggio, al fine della comprensione finale dell'enunciato. Perdonate i tecnicismi,  ma siamo qui per capire qualcosa di nuovo sul perché ci è piaciuto Buffa e del perché - secondo me - è forse un bene che abbia concluso il lungo e fondamentale capitolo delle telecronache di basket. Mi permetto un esempio, per dare corpo a questa mia incursione in quella disciplina accademica che si chiama analisi della conversazione. (Edit: la dott.ssa Vanessa Piccoli mi fa correttamente notare che in questo caso, in assenza di trascrizioni, che costituiscono il terreno della disciplina, sarebbe meglio parlare di "analisi del discorso". FB, 7/10/2014)

(due esempi a caso, avrei potuto metterne anche di più indicativi)

Ora, come vedete, questo sistema di conversazione duale con Tranquillo che, a differenza di quanto succede a un buon numero di commentatori sportivi tout court, unisce in maniera peculiare il fatto di essere sì una comunicazione a un soggetto terzo (il pubblico), ma anche un dialogo fra loro due. In particolare, la parte di dialogo a due di Tranbuffa è solo la punta di un iceberg di intercomprensione reciproca che li lega. Mi spiego: per altre coppie tv (tra cui inseriamo anche Tranquillo + Pessina o il raro Mamoli + Buffa) l'iceberg è più piccolo ma la parte visibile di esso è nondimeno più grande.

Dicevo, è un sistema piuttosto complesso, messo in atto da due persone che si conoscono e lavorano assieme da due decenni. Credo che a volte sia difficilmente accessibile per un pubblico ampio. Ora, questo forse è un infioccchettamento parascientifico che utilizzo per stigmatizzare una serie di epifenomeni di Tranbuffa che, idiosincraticamente, mi stanno sul cazzo


Ad esempio, il commento sportivo, specie quello dei Nostri, un po' come tutta la comunicazione pubblica (ma vale anche per le serie Tv, in un certo senso), si fonda e fonda parte del suo successo sulla formularità. Lo sapeva Omero, lo sapeva Mike Bongiorno ("Allegria!"). Tranquillo specialmente ne fa uso forte (tanto da avere creato diversi "mostri" di cui è responsabile, tipo Paola Ellisse o Alessandro Mamoli, tanto per restare in casa Sky). Buffa però non si esime, in particolare ho in mente il suo stilema tipico "... X è fra i 6-7 migliori [tiratori] della Lega". La parte variabile della formula è prima di tutto il numero, che, prima di Buzzfeed, spesso ha in uggia i numeri "tondi", come 5-10-15, e invece usa numeri non-standard tipo 4, 7-8, 12, ecc. 
L'altra variabile é il campo in cui X è fra i 6-7 migliori. Spesso infatti sono rifuggite macrocategorie come tiratori o difensori, ma si scende nell'iperspecifico come "difensori d'area su lunghi che bloccano e poppano" o "playmaker che sfruttano un quarto di campo dopo il primo passaggio per creare spazio e favorire la ricezione del tiratore designato". Insomma fa un po' ridere immaginarsi i quadernetti dove Buffa tiene classifiche dei "√7 migliori stoppatori usciti da North Virginia che abbiano giocato prima dell'introduzione dei 3 secondi in area".

Fin qui, comunque, poco di male, specialmente in confronto a quanto un grande numero di persone (la domanda di quante siano veramente continua a tornare e  a tormentarmi) deve  a Tranbuffa nell'aver dato strumenti per comprendere il gioco più bello del mondo, nella versione nordamericana (ci tengo molto a sottolinearlo, in quanto sono uno di quelli che gode a veder perdere gli Usa nelle competizioni internazionali e che, in contrasto con il proprio personale idolo, non pensa che "FIBA sucks"). Quello che mi irrita è che lo stile formulare di Buffa è diventato qualcosa che è imploso su se stesso. Questo si è visto bene in Storie mondiali, una serie di puntate premondiali di calcio che hanno rubato Buffa alla NBA per il 2014 e, a quanto pare, per sempre. Le storie  di per sè ampie, per forza condensate, nonostante il format lungo, si rivelano spesso difficili da seguire, anche dato che molti dei personaggi sono sconosciuti ai più (e mi riferisco al pubblico dei calciofili, che in Italia sappiamo essere predominante). Buffa (e il suo autore, ricordiamolo. Non sto a cercare il nome, ma so che esiste) un po' cade vittima delle sue ellissi e delle sue impliciture, che in questa sede non hanno un altro dialogante a sostenerle e perciò a renderle complete.


Auguri a Buffa per i nuovi format, perché, al nocciolo, le storie che racconta sono sempre interessanti. E sono felice che non sia tornato all'ovile dell'NBA. Di contro, sconsiglierei a chiunque (commentatori, ma soprattutto gente comune) di abbracciare la formularità di Buffa, perché nasce inserita in un contesto collaudato da molto e dove l'interscambio occulto fra i due membri va oltre quello che ci possiamo immaginare, e perché, in ogni caso, si tratta di artifici retorici difficili da sostenere e portare avanti senza la bravura e l'intendimento peculiare di chi li ha usati e fatti propri nel contesto originario. Oh, intendiamoci, Davide Pessina è un bravo ragazzo, ma non ce la potrà mai fare, lui non è assolutamente il futuro del commento NBA. Ciononostante, trovare una nuova strada oltre il Grande Buffa era qualcosa di auspicabile e che è stato fatto accadere con un tempismo degno dell'intelligenza dell'Avvocato, che sa che i grandi giocatori si ritirano quando sentono il primo segno di scricchiolio, non quando sono ormai in stampelle.

Concludo spiegando meglio che il merito culturale che gli attribuisco risiede nell'aver creato un interesse extra-televisivo per vicende extra-sportive che riguardano uno sport che, nella versione nordamericana, è sostanzialmente basato su un vacuo spettacolarismo per 60/65 partite all'anno e su un'epica molto ben costruita sopra un salto di qualità della prestazione sportiva per altre 20-40 partite. Sono felice che siti come La giornata tipo e BuzzerBeaterBlog abbiano un folto successo scrivendo parole e raccontando storie anche lunghe. Questo è grazie al Buffa, ma la strada è abbandonare il buffismo, per trovare strade nuove e originali.

Filippo Batisti
@disorderlinesss

26 settembre 2014

Calcio - Top & Flop della Quarta giornata di Serie A

P.S. (Che questa volta significa Pre Scriptum)
Il mio più grande dubbio nella redazione dei Top è stato se inserire Arturo Vidal o meno. Il cileno, reduce da un lungo infortunio, torna in campo e segna una doppietta, ed il secondo gol è un capolavoro. Ma ho arbitrariamente deciso di non metterlo, pur meritando il posto, per vari motivi. Primo: il primo gol lo segna su rigore, calciato anche abbastanza male. Secondo: la Juventus giocava in casa contro il Cesena, non proprio una corazzata, e non me ne vogliano i tifosi romagnoli. Terzo: Vidal avrà sicuramente modo di rientrare tra i Top nelle prossime giornate. Per gli altri invece sarà più difficile, anche se glielo auguriamo con tutto il cuore.

TOP

Andrea Belotti (Napoli – Palermo 3-3)
Fonte: forzaitalianfootball.it
Il vivaio delle squadre bergamasche si è sempre rivelato fondamentale per rifornire il calcio italiano di giovani dalle belle speranze, come Scirea, Donadoni, o in tempi più recenti, Montolivo e Pazzini, tutti usciti dal vivaio atalantino. Dall’altra squadra di Bergamo, l’AlbinoLeffe, è uscito il Gallo Andrea Belotti, che dopo due anni di Lega Pro approda in B al Palermo, dove diventa una pedina importante per Iachini. Termina la stagione con 24 presenze e 10 gol, e segue i rosanero in A. Nelle prime partite rimane in panchina, salvo giocare qualche scampolo di partita. Alla prima partita da titolare in Serie A, a 20 anni, 9 mesi e tre giorni, al San Paolo di Napoli, davanti a 18. 521 spettatori (non tanti per il San Paolo, ma provate ad immaginarveli mentre vi fissano e vi fischiano e vi urlano contro) segna una doppietta. Un bel biglietto da visita.

Pierluigi Gollini (Verona  - Genoa 2-2)

L’Hellas Verona ha dal 2007 un unico portiere: Rafael de Andrade Bittencourt. Al posto di secondo si sono alternati vari portieri, e in questo momento è il turno di Francesco Benussi, che, dopo una stagione terribile vissuta a Udine (0 presenze e un brutto infortunio) cerca nuova vita a Verona. Il terzo portiere quindi, Pierluigi Gollini, è abbastanza rassegnato a vedere la stagione dalla panchina. E invece prima si infortuna Rafael nel corso della settimana, e poi Benussi durante il riscaldamento prepartita (proprio sfortunato). Ed ecco allora che è il turno dell’ex Manchester United. Sì, leggete bene. Cresciuto nella SPAL, è stato comprato nel 2012 dai Red Devils, e dopo due stagioni in Inghilterra è tornato in Italia alla corte di Mandorlini. Alla prima presenza in Serie A ha subìto due gol, ma la prestazione in generale è stata molto positiva. Ed avere la benedizione di Alex Ferguson non è male per un ragazzo classe 1995.

La premiata ditta Mihajlovic-Ferrero che porta in vetta la Doria (Sampdoria – Chievo 2-1)

Fonte: tuttosport.com
Nel momento stesso in cui acquista la Sampdoria, il 12 giugno, Massimo Ferrero diventa una delle personalità più interessanti del calcio italiano. Imprenditore (acquista la Livingston, compagnia aerea che con lui dura poco più di un anno), produttore cinematografico, ora anche dirigente sportivo, ma soprattutto showman, Ferrero diventa grande proprio grazie al cinema, sia producendo film sia proiettandoli: è infatti proprietario di 60 sale cinematografiche, da cui la grande disponibilità economica necessaria a coprire i 15 milioni di debiti dei blucerchiati e a fare un mercato tale da dare una rosa di tutto rispetto a Sinisa Mihajlovic, con cui il feeling è stato immediato. E Miha ringrazia, dando alla nuova rosa lo stesso gioco arioso e votato all’attacco della scorsa stagione ma ottenendo risultati molto migliori. A disposizione ci sono tre portieri potenzialmente titolari (Viviano, il vero numero uno – anche se sulla maglia ha il numero 2 -  Da Costa, il titolare precedente, e Romulo, la scorsa stagione in prestito al Monaco e titolare nella nazionale argentina seconda al Mondiale, ma fuori rosa nella Samp), e sono arrivati Romagnoli, Cacciatore e Silvestre a chiudere una difesa l’anno scorso troppo fragile. Il centrocampo, prima troppo giovane, è stato “insaggito” (aka reso più saggio) da Marchionni, ma era il reparto meno bisognoso di rinforzi. In attacco invece è stato ingaggiato Bergessio dal Catania, che era certo di giocare titolare ma si è trovato davanti un rinato Stefano Okaka, il cui secondo nome, Chuka, significa “Dio è al di sopra di ogni cosa”. E questa squadra, perdonate la battuta, gira veramente da Dio, con i giocatori che si trovano a memoria e sanno alla perfezione come andare in rete. Tra il gioco e l’istrionico Ferrero (per farvi capire: sulla pagina Wikipedia, alla voce filmografia, si trova “Questo l'elenco dei film che dichiara di aver prodotto”. Se non vi basta questo, sappiate che ha chiesto in diretta a Ilaria d’Amico di fare un film insieme) la Samp quest’anno può volare alto.

FLOP

Lo sterile attacco della Fiorentina (Fiorentina – Sassuolo 0-0)

Fonte: calcio.fanpage.it
Parlare di sterile attacco della Fiorentina sembra un controsenso, soprattutto guardando i nomi che teoricamente sono a disposizione di Montella: Giuseppe Rossi, Mario Gomez, Babacar, Bernardeschi, Cuadrado, Marko Marin, Vargas e Ilicic. Ma per il momento, in campionato, nessuno di questi nomi ha segnato. Certo, alcuni sono infortunati, altri si sono infortunati nel corso della stagione, ma per il momento la Fiorentina, in quattro partite di Serie A, ha raccolto solo una misera rete, segnata da Kurtic.  Non proprio uno score invidiabile, soprattutto per una squadra che ha sempre fatto del gioco d’attacco il proprio marchio di fabbrica. L’infortunio di Gomez ora complica molto le cose, perché Babacar e Bernardeschi non sono sembrati in grado di reggere da soli l’attacco viola, e Cuadrado fino a questo momento non ha dato il meglio di sé. Certo è che se la situazione di sterilità perdura, Montella non vedrà i frutti di avere certi nomoni in squadra.

Il Parma: come indebolire una squadra senza vendere nessuno (o quasi) (Parma – Roma 0-0)ù

Avevamo lasciato la scorsa stagione con il Parma festeggiare per la conquista, all’ultimo minuto, dell’Europa League. Poi, nel corso delle vacanze, il presidente Ghirardi ha minacciato di vendere tutto dopo l’esclusione dalla coppa europea. Probabilmente il mercato ha risentito di questa indecisione societaria sui piani e sul futuro. Perché non sono arrivati né grandi nomi in previsione dell’Europa né sono partiti i grandi quando l’Europa è sfumata. Le cessioni fatte non sono state certo di primo piano (principe delle cessioni è quella di Amauri, passato proprio all’avverso Torino, poi Parolo, passato alla Lazio, più una risma di altri giocatori) e i giocatori arrivati miravano a coprire proprio i giocatori venduti (Belfodil per Amauri, Lodi per Parolo, Costa per Benalouane, De Ceglie per Molinaro). Ma qualcosa si è rotto nel giocattolo di Donadoni. Che sia il problema cardiaco di Biabiany, o la rottura di Cassano con parte dello spogliatoio, o l’assenza di una presidenza forte, o forse l’insieme di queste cause, o forse nessuna di queste, rimane un mistero e forse lo rimarrà per sempre. Resta il fatto che tre punti in quattro partite sono pochi per una squadra con ambizioni europee.

Alvaro Morata (Juventus – Cesena 3-0)

La Juve lo ha valutato 20 milioni di euro al momento, con possibilità di guadagnarci quando sicuramente diventerà un campione. Il resto dell’Europa lo ha giudicato come estremamente sopravvalutato, e nessun altra squadra estera ha anche solo provato ad avvicinarsi all’offerta bianconera. Chi ha ragione? Suggerimento



 P.S. (questo è un Post Scriptum)
Visto che bravo? Ho fatto tre top e tre flop, proprio come mi ero prefissato. Sto migliorando. Quasi quasi mi metto tra i top. Anzi no, che poi sarebbero quattro. Facciamo che lascio così e ci vediamo alla prossima di campionato.

Marco Pasquariello

25 settembre 2014

Immigrazione - (Se) l'Austria chiude le sue frontiere

Fonte: vnews24.it
Il Partito delle Libertà Austriaco (FPÖ) -di cui avevamo parlato qui- sembra non avere dubbi: in Austria ci sono troppi immigrati, o meglio, troppi immigrati che arrivano illegalmente. Molti di loro usano l’Italia come terra di passaggio per entrare in Austria. Quest’anno, secondo la Tiroler Tageszeitung, sono circa 4700 gli stranieri fermati in Austria e, di questi, la maggior parte sono stati respinti in Italia. 
L’FPÖ vede gli immigrati irregolari come una grave minaccia per la sicurezza interna e mira a sospendere gli accordi di Schengen e a istituire nuovamente i controlli lungo la frontiera con l’Italia. Se si obbietta che i controlli vengono comunque eseguiti una volta sul territorio, la risposta è che con un controllo direttamente al confine diminuirebbero le possibilità di ingresso di soggetti pericolosi. Questo è il punto di vista del partito: ben vengano gli immigrati cui è riconosciuto lo status di rifugiato politico, verso cui c’è l’obbligo di dare protezione, ma questo è tutto. 
L’Austria e gli altri stati benestanti dovrebbero forse farsi carico di tutti coloro che cercano migliori condizioni di vita? L’FPÖ non ci sta. È giunta l’ora di regolare il fenomeno in modo più rigoroso e fermare chi non presenta immediatamente domanda di asilo. Il flusso di migranti è troppo rapido perché possa essere gestito adeguatamente. Il modello di riferimento è la Svizzera, con le sue barriere “intelligenti e flessibili” -decisione presa tramite referendum, ne abbiamo parlato qui-. Insomma, se il mercato richiede forza lavoro, i migranti sono benaccetti, altrimenti la risposta è: stop, tornatevene a casa
Anche il ministro dell’interno Johanna Mikl-Leitner (ÖVP) non sembra disdegnare l’ipotesi di sospendere gli accordi di Schengen, il che fa pensare che tutto ciò possa diventare presto realtà. Di tutt’altro avviso sono i Verdi (die Grünen), che bollano questa proposta come egoistica e suggeriscono, invece, una soluzione più solidale con gli stati “di arrivo” (Grecia, Italia, Spagna, Malta). Secondo i Verdi è proprio il sistema di accoglienza europeo che dovrebbe cambiare. Se secondo il Regolamento Dublino II gli aspiranti rifugiati devono presentare domanda di asilo nel primo stato europeo d’ingresso, i Verdi propongono un sistema in cui gli stati europei dovrebbero accogliere un numero di rifugiati proporzionale al loro livello di benessere e alla popolazione. 
A fomentare il girone della discordia tra gli stati europei ci si mette anche la Germania, che minaccia di sospendere gli accordi di Schengen nei confronti dell’Austria. I tedeschi sostengono che i profughi utilizzino l’Austria solo come terra di transito per raggiungere la Germania. 
Fonte: repubblica.it
Inutile dire che questo dibattito non può rimanere indifferente al governo italiano. L’emergenza è, infatti, sul Brennero. Questo luogo è una delle mete principali dei profughi provenienti da Africa e Medio Oriente che, attraverso viaggi infiniti, cercano di raggiungere i Paesi del Nord dove magari ci sono già dei familiari. Da quest’estate, sono migliaia gli stranieri che hanno passato la frontiera e sono poi stati respinti dalle autorità austriache. I clandestini cercano spesso di evitare i procedimenti d’identificazione anche dopo essere stati respinti, in modo da ritentare il prima possibile il passaggio della frontiera. Sulle pagine de “La Padania” leggiamo di esponenti della Lega che già incitano il governo italiano a prendere esempio dall’Austria e a considerare la possibilità di chiudere tutte le frontiere. 


Che il problema dei profughi e dei migranti porti alla voglia di minare qualcosa, come gli accordi di Schengen, che sta alla base dell’Unione Europea, deve far scattare un campanello d’allarme. Che a farsi promotore di una svolta in tale direzione possa essere l'Austria, è ancora più preoccupante; ma soprattutto è il sintomo della necessità di un’Unione Europea più forte e coesa. Chiudere le frontiere non è la risposta, ma non lo è nemmeno permettere un ingresso che pecca di una regolamentazione omogenea per paura di essere tacciati di razzismo. A novembre sarà avviata la nuova missione Frontex Plus, il cui obiettivo è rafforzare lo sforzo europeo in tema d’immigrazione ed emergenza sbarchi. Il commissario europeo agli affari interni, Cecilia Malmstroem, ha invitato tutti i Paesi membri dell’UE a contribuire alla gestione dei flussi migratori. Si tratta di un segnale positivo che si spera porterà anche a un’ulteriore riforma del Regolamento Dublino III. 

Sabrina Mansutti

22 settembre 2014

Calcio - Top e Flop della Terza Giornata di Serie A

Breve legenda della rubrica. Ogni giornata di campionato, 3 top e 3 flop.
Ok, forse così è un po’ scarna come legenda. Spiego meglio: per ogni giornata del campionato di Serie A, selezionerò i 3 migliori giocatori, o sorprese, o gol incredibili, o squadre, o situazioni. E farò la stessa identica cosa per i flop, ovvero le cose peggiori viste durante tutte le partite. Sappiate però che non è una classifica, sono solamente tre elementi, ognuno può ordinarli come preferisce. Spero di essere stato più chiaro, comunque il meccanismo si chiarirà di giornata in giornata.
TERZA GIORNATA - 20/21 settembre
TOP
L’Empoli. (Cesena-Empoli 2-2)
Fonte: lanazione.it
Immaginate. Siete una squadra (ok, non cominciate, ho chiesto di immaginare, quando si immagina si può essere ciò che si vuole, no?) neopromossa in Serie A. Il vostro allenatore è esordiente in Serie A. La vostra rosa, che è praticamente la stessa che avete avuto in B, è composta da un mix di vecchi apparentemente stanchi di correre dietro ad un pallone e giovani esaltati. Nessuno da voi si aspetta niente, tanto meno che, sotto di due gol, abbiate la forza di pareggiare. Non vi fa un po’ arrabbiare tutta la situazione? E’ probabilmente ciò che ha veramente provato l’Empoli, a 0 punti dopo due giornate e sotto di due gol contro il Cesena (che è quasi nella vostra situazione, se non fosse che ha già vinto in campionato). E la rabbia, la voglia di far mangiare il cappello a tutti, il bisogno sanguigno di farsi valere, tutti insieme questi elementi spingono i toscani al pareggio ed anche vicini alla vittoria. Quella non arriva, ma il primo punto sì.
La nonna di Florenzi. (Roma-Cagliari 2-0)
Fonte: corriere.it
Alle nonne tutti vogliono bene. E’ un dato di fatto. Quindi vedere una nonna che piange di gioia ci fa un po’ commuovere, no? E’ quello che è successo a Roma. Alessandro Florenzi, futura bandiera della Roma, nato a Roma, cresciuto nella Roma, con la maglia della Roma tatuata addosso per tutta la carriera (se si esclude un anno di prestito a Crotone), segna il suo primo gol stagionale in campionato contro il Cagliari. Invece di esultare con i compagni, si gira e corre. Corre verso la tribuna, si fa aprire un cancello, sale i gradini a tre a tre, entra in una fila di sedili ed abbraccia una piccola signora, con i capelli bianchi e gli occhiali. Appena si scosta, per tornare in campo, dove si prende un'ammonizione -arbitro cuore di pietra- si vede la nonna Florenzi, piena d’orgoglio per il nipote, che per la prima volta lo vede giocare dal vivo e che non riesce a trattenere le lacrime. Tanto che nonna Florenzi piange per un quarto d’ora dopo la rete del nipotino. Nel post partita si dirà che piange perchè Florenzi Alessandro gli ricorda il nonno, anche lui calciatore, piange perché, dopo la partita di Champions con il CSKA, aveva predetto il gol del nipote. Ma secondo me piange come tutte le nonne, alla prima recita del nipote, o alla laurea, o al primo gol stagionale in Serie A. P.s. Florenzi nipote, al termine della partita, si premura anche di dire che la nonna c’ha ‘na certa età, e spera che i giornalisti non la vadano a disturbare. Cuor di nonna!
Artur Ionita (Torino-Verona 0-1)
La Serie A è il vertice del sistema calcio italiano. Nel mare dei giocatori italiani, quelli che giocano in Serie A o che hanno la possibilità di giocare in Serie A o che nell’intera carriera avranno mai la possibilità di giocare in A sono una goccia, forse un paio, non di più. Ecco, pensate nel mare dei giocatori del mondo. Soprattutto, pensate nell’oceano di giocatori dei campionati minori, chessò, norvegese, o canadese, o thailandese. O magari moldavo. E quanti di questi segneranno in Serie A? E quanti segneranno una rete decisiva? Beh, in questa giornata di campionato ce n’è stato uno: Artur Ionita, dell’Hellas. Primo giocatore moldavo in Serie A, primo giocatore moldavo a segnare in Serie A, primo giocatore moldavo a portare con un gol la propria squadra alla vittoria in Serie A. Probabilmente, anche sua nonna starà piangendo.
Massimo Coda (Chievo-Parma 2-3)
Sì, lo so, ho scritto che avrei fatto tre top e tre flop. Ma siete insensibili se pensate che il povero Coda, classe ’88, dopo una carriera vissuta tra Svizzera e serie minori italiane e dopo una stagione al Nova Gorica (Slovenia), e dopo un esordio in Serie A da MVP non meriti un posto tra i top. Quindi ho inventato la Top 3+1, che funziona solo in casi eccezionali. E questo è uno di quelli. Perché Coda, entrando dalla panchina, salva il Parma dall’oblio dello 0 in classifica. Il Parma sta perdendo contro il Chievo, quando entra l’ex Cremonese e Bellinzona. Prima Coda serve l’assist a Cassano per l’1-1, poi segna il primo gol in Serie A per il 2-1 e propizia il gol del 3-1. E non lo mettevo tra i Top? Su, dai, siamo seri.
FLOP
Zemanlandia (Roma-Cagliari 2-0)

Fonte: notizie.tiscali.it
Zdenek Zeman è un personaggio estremo. O lo si ama, o lo si odia. Il suo approccio all’allenamento è molto semplice: più si fatica sul campetto, meno si fatica sul campo vero. Il che alle volte funziona e alle volte no. Il suo approccio alla partita è ancora più semplice: attaccare. Il che alle volte funziona e alle volte no. Capita quindi, alle volte, che non vada né l’approccio alla partita né quello all’allenamento. Ed è più o meno quello che sta succedendo a Cagliari, dove l’attacco non è florido (due gol in tre partite, di cui uno su rigore), la difesa fa molta acqua (cinque gol, dopo aver affrontato Sassuolo, Atalanta e Roma, e la Roma poteva farne ben di più) e la classifica piange: un punticino solitario e l’ultimo posto tra le 20 squadre di serie A. Il miracolo zemaniano non si avvererà o è ancora presto per vedere risultati?
L’attacco (e forse anche il centrocampo, e forse anche la difesa) del Torino (Torino-Verona 0-1)
Perdere partite capita. La possibilità di perdere è il bello del calcio, perché rende la vittoria ciò che è. Il problema però si pone se perdi senza neanche mai segnare, senza neanche mai tirare in porta. Ed è quello che sta vivendo il Torino di Ventura, dove in quattro partite (contando anche la prima partita di Europa League) non ha mai segnato. Addirittura, nella partita contro il Brugge, per 90’ non ha mai tirato in porta. E contro il Verona, nell’ultimo turno di campionato, nemmeno su rigore i Granata sono riusciti a segnare, e nemmeno sulla ribattuta del rigore. Ventura, nel post partita di EL, ha dichiarato “Quando il Torino segnerà, convocherò una conferenza stampa” prima di andarsene stizzito. Vedremo se parlerà con i giornalisti dopo la prossima partita o se si dovrà aspettare ancora.
Benitez e i suoi partenopei (Udinese-Napoli 1-0)
Il Napoli non c’è più. Entrare nella testa dei giocatori non si può, ma vedere le partite che perdono fa tornare in mente la pesantissima delusione dell’uscita dalla Champions, anzi, del mancato ingresso in Champions contro l’Athletic di Bilbao. Sia contro il Chievo che contro l’Udinese il Napoli perde una partita che domina, bombardando le porte avversarie, subendo un tiro in porta e perdendo alla fine per 1 a 0. Parte del problema è sicuramente l’allenatore. Rafa infatti ha un grande limite: non riesce a cambiare in corsa. Sì, cambia gli uomini, ma non cambia mai modo di gioco né schema, né tattiche. Se quindi l’avversario riesce a fermare o disinnescare determinate tattiche, avrà la partita in pugno. In alcuni casi, la classe e l’abilità dei singoli (Higuain, Mertens, Callejon, Hamsik, Insigne, Inler, Jorginho, De Guzman, e potrei scrivere quasi tutta la rosa) basta a togliere le castagne dal fuoco, ma in altri casi no. Ma in tutti i casi Benitez si limita ad attendere una magia dei propri uomini, privo di difese. Bisogna cercare delle alternative, altrimenti si perdono le partite pur dominandole.
L'incredibile acconciatura di Gervinho (Roma-Cagliari 2-0)
Ok. Ho un problema con i limiti e le scadenze. Avevo detto che avrei fatto tre Top, e ve ne siete trovati quattro. Ed ora vi trovate pure il quarto Flop. Però fidatevi, non potevo esimermi dal nominare questo illustre esempio di riporto in avanti del giocatore ivoriano. Non voglio indagare sul come Gervinho si sia ridotto così, o se sia una complicata acconciatura tribale. Certo è che se per tutte le partite gioca con la fascia a tenergli ferme le treccine sulla fronte vorrà dire qualcosa. A voi l'ardua sentenza. 
Fonte: gazzetta.it
Marco Pasquariello



21 settembre 2014

Si alza il vento, Miyazaki


Non credo sia giusto accendere le luci in sala appena finisce un film. Quando la musica sfuma, si dissolve la sequenza di chiusura e partono i titoli di coda, in quell'istante un tempo sugellato dal “The End”, lo spettatore sognante ha bisogno di tempo. Invece il buio viene all'improvviso stonato da fredde luci al neon che ti riportano troppo velocemente alla realtà. All'avvento del chiarore qualcuno si alza subito e corre in bagno, a fumare la sigaretta tanto agognata, fuori dalla sala perché finalmente potrà riaccendere il cellulare. Ma rimane sempre una manciata di individui trasognanti che fatica ad alzarsi dalla poltrona rossa: chi legge attentamente i titoli di coda, chi cerca di dare un senso a ciò che ha appena visto, chi vorrebbe un attimo di pace per potersi commuovere. Ma le luci ormai sono accese. Bisognerebbe lasciare scorrere lentamente i titoli, godere della musica e delle domande che solleva la visione di una bella pellicola, educare lo spettatore a digerire l'opera lasciandolo seduto con le luci spente ancora un po'.


“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”, scrisse Valéry nel 1920 (in un verso del Cimitero marittimo). E allo stesso modo titola anche il romanzo di TatsuoHori, scrittore e poeta giapponese della prima metà del '900. L'ultima fatica di Miyazaki è infatti la trasposizione cinematografica di un manga realizzato dallo stesso regista, ispirato al romanzo di Hori sulla vita dell'ingegnere aeronautico Jirō Horikoshi. È la prima – e a quanto pare ultima – volta che Miyazaki mette in scena una storia con personaggi realmente esistiti e con chiari riferimenti al periodo storico in cui è ambientata. Da un manga era nata anche l'animazione de Il castello errante di Howl, ma non si trattava certamente di una storia realmente accaduta. Cosa ne è della magia, quindi? Delle storie fantastiche, ricche di misticismo e favoleggianti? Non sono certo state dimenticate. È però un film diverso dal solito, rivolto quasi interamente ad un pubblico adulto, in controtendenza rispetto a quella che è sempre stata la volontà del regista stesso, ovvero di parlare anche ai bambini. Allora Si alza il vento è prima di tutto un film di formazione, un Bildungsroman animato, la messa in scena di ciò che intendeva Wilde scrivendo “Attento a ciò che desideri: potrebbe avverarsi”.

Jirō Horikoshi, il protagonista, è un Vincent Freeman (Gattaca) che non può volare, un Dwayne (Little Miss Sunshine) che non può pilotare un aereo: è miope. Nei suoi sogni infantili incontra un ingegnere italiano di nome Caproni, il quale gli svelerà un importante segreto: ci sono persone al mondo che fanno un lavoro ancora migliore del pilota, gli ingegneri aeronautici, e peraltro possono essere miopi. Da questo incontro notturno scaturisce il desiderio di Jirō, quel desiderio febbrile che porterà con sé tutta la vita. Ormai ragazzo, durante un viaggio in treno verso Tokyo, il destino prenderà per lui un altro appuntamento che gli segnerà la vita, con una ragazzina di nome Nahoko. È come se il loro incontro scatenasse una calamità naturale, un terremoto, anzi, “il” terremoto del Kanto del 1923. I due non si incontreranno più, sino al 1932, quando Jirō avrà già fatto carriera all'interno dell'azienda Mitsubishi e Nahoko sarà divenuta una splendida donna. Il loro secondo incontro scatena una nuova calamità, una forte tromba d'aria che cattura l'ombrello sotto il quale la ragazza si stava riparando dal sole, per gettarlo nelle braccia di Jirō. Questo scontro avverrà durante un soggiorno estivo, al termine del quale i due torneranno alle rispettive dimore come fidanzati. Una crepa lede però la felicità dei due innamorati: Nahoko ha contratto la tubercolosi dalla madre, ormai deceduta, ed ogni giorno per lei è una lotta per la vittoria della vita.




Ciò che Jirō ha desiderato si è realizzato. Ma a che prezzo? La malattia e la guerra. Il vero Jirō Horikoshi è stato infatti l'inventore dell'aereo da caccia Zero (Mitsubishi A6M Zeke) utilizzato dalla Marina Imperiale Giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale, culturalmente associato all'attacco di Pearl Harbor del 1941. E Nahoko Satomi, sua moglie, morirà di tubercolosi poco dopo le loro nozze. Il film è ricco di riferimenti letterari e storici, uno tra tanti: il signor Castorp, ospite all'hotel in cui Jirō e Nahoko si incontrano per la seconda volta, porta lo stesso cognome di Hans Castorp, il protagonista tubercolotico del romanzo La montagna incantata (Thomas Mann), citato dallo stesso nel film. Ma nei i riferimenti storici alla Seconda Guerra Mondiale, nella scelta di una figura come quella di Jirō Horikoshi, progettista di aerei militari, non credo si possa associare nessun intento guerrafondaio. 

Spesso durante il dispiegamento della trama si fa riferimento a quanto sarebbe meglio realizzare aerei da trasporto piuttosto che da distruzione, il ché non credo possa ritenersi una scappatoia retorica per salvare la faccia – e la carriera. Albert Einstein non poteva sicuramente immaginare che i suoi studi avrebbero condotto a Hiroshima e Nagasaki. Raccontare questa vicenda ha probabilmente un solo scopo: quello di fissare un lascito testamentario da parte di Miyazaki, nel quale poter raccontare il suo Giappone, quello in cui è cresciuto, attraverso la storia di un uomo buono, che come lui è riuscito a fare dei suoi sogni una realtà. Le distese di verde, i raccordi sonori nel montaggio, il violetto del vestito di Jirō, i baffi di Caproni e incontrarsi nei sogni: questi sono i piccoli dettagli che fanno di un grande regista la sua firma.
Non accendete subito la luce.

Roberta Cristofori

17 settembre 2014

Quale futuro per la Scozia e l’Europa?

Better together” o “Utopia of the yes”? In questi giorni di sfibrante ed elettrizzante attesa, gli scozzesi, i cittadini della Gran Bretagna, ma anche molti osservatori europei ed extra europei, attendono con il fiato sospeso l'esito del referendum per l’indipendenza della Scozia di giovedì 18 settembre, per quello che forse sarà un momento che entrerà in tutti i libri di storia. In ballo non c'è solo il destino di un’unione che dura da più di tre secoli e di quello che fu il glorioso impero britannico. Infatti se le urne di Edimburgo e dintorni dovessero premiare gli indipendentisti, guidati dall’energico premier scozzese AlexSalmond, si potrebbe persino innescare un effetto domino che stravolgerebbe l’intero continente.

Nelle ultime settimane si sta assistendo ad una incredibile (anche per gli stessi promotori del fronte unionista) rimonta del fronte del “sì” all’indipendenza. Mentre nello scorso mese di maggio la percentuale di chi si dichiarava a favore della secessione si attestava al 31-33% (blog.whatscotlandthinks.org), all’indomani della consultazione popolare i sondaggi proiettano una situazione estremamente in bilico. Il merito in gran parte va all’incessante azione “all’ultimo volantino” compiuta dai motivatissimi attivisti di “Utopia of the Yes”. Un bell’articolo di “The Economist”, pubblicato anche dalla rivista italiana “Internazionale”, ritrae appunto alcuni giovani militanti del partito nazionalista scozzese (SNP), mentre fanno volantinaggio in un quartiere degradato di Glasgow. Si dicono convinti che l’indipendenza porterebbe con sé più equità e giustizia sociale.
Ed è proprio questo il punto. Nelle menti degli scozzesi di oggi, separarsi da Londra, non significa tanto sconfiggere i propri antichi colonizzatori, quanto piuttosto affermare una propria e distinta cultura politica. Detta in parole povere, la Scozia è più di “sinistra”. Lo è in particolare da quando i governi conservatori di Margaret Thatcher hanno portato avanti misure liberiste di privatizzazione e smantellamento dello Welfare State oltre la manica. Perciò uno dei punti chiave di Salmond per convincere gli elettori a mettere una croce sul “sì” è la promessa di salvare il sistema sanitario dai tagli imposti da Westminster. Insomma, la Scozia prefigurata dal leader dell’SNP vorrebbe assomigliare ai paesi scandinavi, con un esteso sistema di protezioni sociali coniugato ad un’economia incentrata sull’alta tecnologia. Le risorse per finanziare un’ingente spesa pubblica dovrebbero provenire dal petrolio e del gas naturale del Mare del Nord. Questo è il sogno di tanti cittadini scozzesi: una nazione più libera, ricca e democratica. Un sogno che sembra inarrestabile.
L'ex premier britannico Gordon Brown
Potrebbe non bastare a fermarlo la timida e prettamente difensiva campagna per il “no”, “Better together”, sostenuta dai principali partiti inglesi e affidata ad Alistair Darling, anche lui di origini scozzesi, ex Cancelliere dello Scacchiere nell’ultimo governo laburista. Fin dall’inizio Darling ha cercato semplicemente di smontare le tesi del suo avversario ma, dopo che Salmond ha stravinto il secondo dibattito tenutosi sulla BBC in diretta nazionale, si è capito che non era sufficiente. Quindi è sceso in campo l’ex primo ministro britannico Gordon Brown (nativo di Glasgow) per promettere, in cambio del voto contro la secessione, un acceleramento nell’ulteriore devolution fiscale al parlamento di Holyrood, già promessa all’inizio della campagna elettorale. Pochi giorni fa, anche la Regina Elisabetta ha rotto il suo silenzio super partes per invitare il popolo scozzese a “pensare molto attentamente” al proprio futuro. Infine l’attuale premier Tory David Cameron è intervenuto in maniera decisa, avvertendo che il “divorzio” sarebbe definitivo e ricordando cosa effettivamente comporterebbe la scissione per l’intera regione. Cameron non vuole di certo essere ricordato come il responsabile dello sfaldamento della Regno Unito, visto che proprio il suo (a posteriori incauto) muro contro muro pare avrebbe spinto un dubbioso Alex Salmond ad invocare una consultazione popolare. Ce la faranno questa serie di appelli e promesse last-minute ad arginare le ambizioni separatiste?

Ma un interrogativo interessante potrebbe essere un altro, di carattere più generale: una Scozia libera e sovrana che ripercussioni può avere nel vecchio continente? In questi mesi di referendum stile Crimea, che hanno acceso vecchie fantasie nazionaliste che si consideravano sepolte, o assecondato le fantasie di gruppi di improbabili avventurieri dell’autodeterminazione dei popoli (vedi il Veneto), una eventuale vittoria del fronte del “sì” potrebbe creare una sorta di effetto domino dalle conseguenze difficilmente pronosticabili.
Cominciando da un fronte caldo del regionalismo europeo, ovvero quella Catalogna che a novembre terrà un referendum consultivo sulla secessione dalla Spagna, che Madrid ha bollato come “illegale”. Sempre nella penisola iberica, Edimburgo e Barcellona potrebbero dare nuova linfa alle rivendicazioni indipendentiste dei Paesi Baschi. La tappa successiva potrebbero essere i Balcani, regno di tensioni mai sopite. Questo tour immaginario si concluderebbe sul fronte caldo ucraino, dove i separatisti filo russi ingaggiano ormai da mesi una battaglia contro Kiev. Lo sguardo infine cadrebbe anche su casa nostra: metti che, con Salmond come modello, la Lega Nord trovi la forza per proporre anche la secessione del nord dall’Italia? Con l’indipendenza scozzese potrebbe aprirsi una sorta di spirale dove tutti i confini europei verrebbero completamente messi in discussione da una nuova ondata di fervore nazionalistico, mettendo a repentaglio l’esistenza degli stati. Come reagirà l’Unione Europea di fronte ad una vittoria secessionista?

Ovviamente parliamo di previsioni. Tutto è ancora da decidersi. Magari venerdì ci sveglieremo da questo incubo fanta-politico. Senza uno sconvolgimento della storia. Con una Union Jack ancora integra delle sue croci. Con una Europa con gli stessi soliti e tranquillizzanti confini.

Valerio Vignoli e Mattia Temporin

Photo credits: theguardian.com e repubblica.it

16 settembre 2014

Scozia indipendente? Le ragioni e i limiti del fronte del "Sì"

C’è fermento per le strade scozzesi. Le finestre delle abitazioni sono tappezzate di adesivi con la parola “Yes” e ovunque non si fa che parlare del referendum che avrà luogo il 18 settembre, il cui quesito è: “La Scozia dovrebbe essere uno Stato indipendente?”. Al voto potranno partecipare tutti coloro che hanno almeno sedici anni e la residenza regolarmente registrata sul suolo scozzese. Ci si aspetta un’ampia affluenza e i sondaggi, che variano di giorno in giorno, oscillano solitamente tra un 51% a 49% a favore dell’una o dell’altra fazione. Sarà quindi una lotta all’ultimo voto.
L’unione di Scozia e Inghilterra risale al 1 maggio 1707, attraverso l’Atto di Unione, approvato sostanzialmente per ragioni politiche dagli inglesi ed economiche dagli scozzesi. Nonostante il malcontento della popolazione che si è protratto nel tempo, i due Stati sono quindi uniti da più di trecento anni. È possibile che dopo un periodo così lungo i sentimenti nazionalisti siano ancora così radicati nella popolazione? 
Chiedete a chiunque sia stato in Scozia cosa ne pensa e vi risponderà che è difficile trovare un luogo in Europa dove le tradizioni e il senso di appartenenza siano più forti. Da un punto di vista prettamente politico/economico bisogna porre l’attenzione sugli anni ’70 per capire l’inizio di questa crociata a favore dell’indipendenza. Risale a questo periodo la scoperta di giacimenti petroliferi nel Mare del Nord, dei cui profitti hanno beneficiato in larga parte le casse inglesi. Il malcontento della popolazione, all’epoca, fece si che il Partito Nazionale Scozzese (SNP) in breve tempo guadagnasse sempre maggior consenso, fino a renderlo alle ultime elezioni del 2011 il primo partito all’interno del Parlamento scozzese. Il leader dell’SNP e attuale capo del governo scozzese, Alex Salmond, è il principale promotore del referendum sull’indipendenza. L’istituzione del Parlamento scozzese risale al 1997 quando, in seguito a un referendum, la volontà del popolo in favore di più autonomia governativa fu inequivocabile. Un proprio parlamento e la lotta per una maggiore autonomia fiscale non sembra più sufficiente agli indipendentisti, che con questo referendum auspicano al raggiungimento del loro obiettivo finale. Oltre ad un inevitabile sentimentalista richiamo patriottico che alcuni sostenitori praticano incitando all’odio verso gli “inglesi colonizzatori”, la maggior parte degli argomenti pro indipendenza hanno matrice economica. Vediamo ora in breve quali sono i punti più importanti della campagna indipendentista:
  • Le decisioni verrebbero prese interamente dal Parlamento scozzese, senza dover più sottostare al volere di Westminster;
  • Essere governati dalla forza politica che si è scelto. Gli scozzesi, infatti, votano in maggioranza per il SNP e per il partito laburista, in controtendenza con il resto del Regno Unito;
  • Cessare la produzione di armi nucleari sul territorio scozzese;
  • Attualmente la maggior parte dei ricavi e delle tasse sul petrolio finiscono nelle casse di Westminster, mentre attraverso l’indipendenza la Scozia potrebbe diventare uno degli Stati più ricchi d’Europa. Gli indipendentisti hanno come punto di riferimento la Norvegia e mirano alla creazione di un fondo che gestisca i ricavi generati da questo settore;
  • La Scozia possiede le risorse e il capitale necessario per poter essere indipendente;
  • La Scozia, con la sua ampia produzione di risorse rinnovabili, potrebbe diventare uno degli Stati leader in questo settore e creare un’ingente quantità di posti di lavoro;
  • Migliore assistenza sanitaria, agevolazioni per pensionati e bambini

Di primo acchito sembrano tutti argomenti molto convincenti, ma quali sarebbero le conseguenze di una Scozia indipendente? Ci sono alcune questioni che sono dei veri e propri rompicapi:
  • La sterlina: la Scozia vorrebbe conservare come valuta la sterlina, tuttavia i partiti di maggioranza del governo britannico hanno dichiarato che non accetterebbero questo fatto. Salmond in risposta ha proposto la cosiddetta “sterlingisation”, ossia la Scozia continuerebbe ad usare la sterlina senza l’appoggio della Banca d’Inghilterra. Una terza ipotesi sarebbe l’adozione dell’Euro, in caso di un ingresso nell’UE. Quest’ultima è l’opzione meno gettonata, sia per i lunghi tempi di attuazione sia per i vincoli sul debito pubblico imposti dall’Europa.
  • Unione Europea: Salmond ha fatto intendere di voler rimanere parte dell’UE senza una nuova procedura di ammissione. Tuttavia il presidente della Commissione Europea Barroso ha chiarito che la Scozia dovrebbe lasciare l’Unione e sottoporsi al voto unanime dei 28 Stati membri. Il voto unanime non è da dare per scontato; soprattutto la Spagna potrebbe essere restia a votare a favore, temendo che i catalani possano prendere ad esempio il processo indipendentista scozzese.
  • Parlamento: il 7 maggio 2015 avranno luogo le elezioni del parlamento del Regno Unito. In caso di esito positivo del referendum, la Scozia dichiarerebbe ufficialmente l’indipendenza fra due anni, tempo per sbrigare tutte le pratiche correlate. Si creerebbe quindi una situazione controversa, con i parlamentari scozzesi, di fatto, ancora parte del Parlamento del Regno. Alcuni conservatori suggeriscono di posticipare le elezioni, ma l’opinione prevalente sembra essere che i parlamentari scozzesi debbano rimanere in carica fino al 2016 poiché ancora membri del Regno.
  • Governo e opposizione: un voto a favore dell’indipendenza sarebbe un disastro sia per la maggioranza sia per l’opposizione. La divisione del Regno sarebbe vista come un fallimento di David Cameron, che subirebbe pressioni per dimettersi. Per quanto riguarda l’opposizione, i laburisti vedrebbero fortemente minate le loro possibilità di raggiungere la maggioranza al governo in futuro. Alle elezioni nazionali, infatti, il partito laburista conquista quasi tutti i seggi scozzesi.

Gli scozzesi decideranno di seguire il proprio cuore e la scia di ottimismo degli indipendentisti o si lasceranno spaventare dal cambiamento e daranno ascolto agli unionisti? La partita è ancora tutta da giocare in questi giorni e quella del 18 settembre sarà una notte rovente.  

Sabrina Mansutti