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31 agosto 2014

SundayUp - Steven Wilson, Cover Version (2014)

Se non sapete chi è Steven Wilson, è ora che vi documentiate.
Mente geniale del nuovo progressive e stakanovista dell’arte musicale, ha creato i Porcupine Tree (dei quali è anche cantante, chitarrista e spesso tastierista), quartetto progressive, ha co-fondato i Blackfield, pop rock malinconico al limite del patetismo deprimente, No-Man e Storm Corrosion, rispettivamente art-pop con Tim Bowness e progressive ambient con Mikael Akerfeldt degli Opeth, ha creato l’Incredible Expanding Mindfuck e Bass Communion, entrambi progetti di musica elettronica, più acerbo il primo, più atmosferico e maturo il secondo, ha partecipato alla produzione di diversi dischi degli Opeth, formazione progressive death metal svedese, e sta remixando diversi dischi del progressive storico, tra cui Aqualung e Thick as a Brick dei Jethro Tull, diversi album dei King Crimson e alcuni degli Yes.
Attualmente si sta dedicando alla carriera solista (anche se, tecnicamente, i primi due dischi dei Porcupine Tree erano dischi solisti, essendo Wilson sugli stessi unico strumentista e compositore): dopo l’esordio Insurgentes e il capolavoro Grace for Drowning, l’ultimo suo disco in studio, The Raven that Refused to Sing (il cui ingegnere del suono è stato Alan Parsons, lo stesso di Dark Side of the Moon dei Pink Floyd), lo ha portato alla ribalta del mainstream come pochissimi altri musicisti prog al giorno d’oggi.


Attualmente è in studio, e sta lavorando sul suo prossimo disco, due tracce (un pezzo senza nome e una gioiosa ballata intitolata “Happy Returns”) del quale sono già state eseguite durante il tour 2013. La band che lo accompagna dovrebbe essere la stessa di Raven, tra cui il bassista e corista Nick Beggs (che, oltre a far parte della band di Steve Hackett, ex chitarrista dei Genesis, era bassista, suonatore di Chapman stick, cercate pure su wikipedia cos’è, e a volte cantante, dei Kajagoogoo. Ve li ricordate? Probabilmente no. Ma vi ricordate La Storia Infinita? Ecco, la canzone del titolo, “Neverending Story”, è loro), il batterista Marco Minnemann, tra i candidati per sostituire Mike Portnoy alla batteria nei Dream Theater, il fiatista Theo Travis, che ha lavorato tra gli altri con Robert Fripp dei King Crimson, il super chitarrista acrobatico Guthrie Govan e il tastierista Adam Holzmann, che ha lavorato con Miles Davis e Michel Petrucciani.

Dopo aver pubblicato Raven, però, Wilson ha pubblicato anche un EP (EP solo di nome e non di fatto, visto che dura un’ora ed è composto da CD e DVD o Blu-Ray) con materiale dal vivo e alcune tracce dalle sessioni di Raven, Drive Home, e quest’estate ha deliziato i suoi fan più recentemente acquisiti con una chicca.

A cavallo tra il 2002 e il 2010, Steven pubblicò una serie di sei singoli (quindi lato A e lato B), tutti senza indicazioni sui titoli delle tracce, solo con il titolo, Cover Version, e il numero romano corrispondente all’uscita in questione. Cover Version li raccoglie insieme in un’unica compilation, testimonianza del suo primo vero lavoro solista (uscito a suo nome).
La peculiarità è che si tratta (come forse avevate capito dal titolo) di una raccolta di sei cover (e sei pezzi originali sul lato B), il che di per sé non è una cosa così straordinaria. Solo che la scelta delle canzoni è quantomeno curiosa, visto il suo repertorio usuale. Infatti, si tratta di “Thank U” di Alanis Morrisette, “The Day Before You Came” degli ABBA, “A Forest” dei Cure, “The Guitar Lesson” di Momus (ok, questa non stupisce poi tanto. Momus è un artista piuttosto oscuro, che probabilmente solo Wilson conosce, e il tema del pezzo scelto da Wilson è una specie di episodio di pedofilia, una cosa davvero molto inquietante), “Sign ‘O’ the Times” di Prince e “Lord of the Reedy River” di Donovan. I pezzi sono quasi tutti in uno stile asciutto, plumbeo e spigoloso non estraneo a Wilson, ma estraneo forse a chi lo ha conosciuto con i suoi ultimi due lavori solisti, così ricchi di trame sonore ed eteree melodie: voce, chitarra acustica, poche tastiere e molte armonie vocali. Le cover sono piuttosto diverse dagli originali, specie “Thank U” e “The Day Before You Came” (invece “Sign ‘O’ the Times” è abbastanza fedele), mentre le composizioni wilsoniane sono tutte un po’ acerbe rispetto ai lavori pubblicati in quegli anni con i Porcupine Tree o rispetto al suo esordio solista Insurgentes.
Le cover, insomma, valgono da sole l’acquisto del disco, perché riflettono alla perfezione la personalità di Wilson come compositore ed esecutore.
Prima che proviate ad ascoltarlo, c’è una considerazione da fare, però. Tempo fa, in un’intervista (presente nel documentario sulla realizzazione di Insurgentes), Wilson disse (confido che se state leggendo qui abbiate una conoscenza dell’inglese sufficiente a comprendere quanto riportato):
Music that is sad, melancholic, depressing, is in a kind of perverse way more uplifting. I find happy music extremely depressing, mostly - mostly quite depressing. It's particularly this happy music that has no spirituality behind it - if it's just sort of mindless party music, it'd be quite depressing. But largely speaking, I was the kind of person that responds more to melancholia, and it makes me feel good. And I think the reason for this is, I think if you respond strongly to that kind of art, it's because in a way it makes you feel like you're not alone. So when we hear a very sad song, it makes us realise that we do share this kind of common human experience, and we're all kind of bonded in sadness and melancholia and depression.

Morale della favola: Cover Version è un disco triste, e per apprezzarlo dovete approcciarvi alla musica triste esattamente come fa Wilson.
Buon ascolto.

Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus



P.S.: Sul mio blog, Kill Ugly Radio, ho pubblicato una classifica dei 5 lavori fondamentali di Wilson. La trovate qui

28 agosto 2014

I primi 200 giorni di Matteo Renzi: a che punto sono le riforme?

Il 22 febbraio 2014 è entrato in carica il governo di Matteo Renzi. Poco più di due settimane dopo, in una delle prime conferenze stampa, il presidente del Consiglio promise di fare un sacco di cose. Sono passati circa sei mesi e di cose portate a casa con certezza ce ne sono ancora piuttosto poche.
Le province sono state definitivamente “riformate”, mentre sono state approvate alcune norme sul lavoro, sul fisco e sulla pubblica amministrazione. La maggior parte delle cose promesse dal leader toscano è in fieri, molte altre invece hanno fatto perdere le loro tracce. Vediamo a che punto sono le principali riforme annunciate dal governo in questi mesi.

L'ITALICUM. Il primo grande impegno preso da Renzi è stato quello della riforma della legge elettorale.
Il 29 gennaio, ancor prima di diventare Capo del Governo, Renzi si incontrò con il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi per discutere della legge elettorale e per trovare un punto d’incontro sui temi economici, politici e sociali che avrebbe affrontato durante la presidenza del Consiglio.
Vedendo la difficoltà incontrata dal sistema elettorale attuale, il Porcellum, alle ultime elezioni, il segretario del Partito Democratico ha focalizzato l’attenzione nell’ideare un nuovo sistema di voto, che secondo il suo punto di vista è premessa necessaria a garantire una stabilità governativa e di conseguenza un’azione decisa nel campo delle riforme che non possono essere più garantite proprio a causa del sistema elettorale attuale. Renzi dichiarò che tutto si sarebbe risolto entro e non oltre il 25 maggio.
Il nuovo sistema elettorale, approvato dalla Camera e in discussione al Senato, è stato preso dal modello spagnolo ma poi modificato per far fronte alle esigenze dei partiti italiani. È un sistema proporzionale calcolato su base nazionale e non provinciale, come quello spagnolo, utilizzando la regola dei “più alti resti”, andando a favorire così i partiti più piccoli che con un calcolo su base provinciale sarebbero stati molto penalizzati.
Renzi ha modificato anche le soglie di sbarramento rispetto a quelle presenti nel Porcellum. Il 4.5% per i partiti di una coalizione, l’8% per i partiti non coalizzati e il 12% per le coalizioni. Al momento, l’Italicum vive una fase di sostanziale stallo.

IL DECRETO "SBLOCCA-ITALIA". 
Entro fine agosto il governo dovrebbe approvare il cosiddetto “decreto sblocca-Italia”, una legge che contiene parecchie norme che riguardano i cantieri pubblici e in generale il settore edilizio. Tra le cose più importanti, ci sono una serie di norme per accelerare i lavori di alcuni grandi cantieri (alcuni dei quali saranno commissariati) e norme per limitare i poteri che hanno le soprintendenze ai beni artistici e culturali di bloccare i lavori pubblici e privati.

Il Ministro Giuliano Poletti 
IL JOBS ACT E LA RIFORMA DEL LAVORO È il cardine della riforma economica tanto decantata e pubblicizzata dal Presidente del Consiglio. Il 12 marzo arriva il Decreto Poletti che ha portato variazione in tema di apprendistato e contratti a termini.
È stata aumentata da 12 a 36 mesi la durata dei contratti a tempo determinato senza clausola, cioè quelli per cui non è obbligatorio specificare il motivo dell’assunzione. I contratti a tempo determinato potranno essere rinnovati fino a un massimo di otto volte, senza obbligo di pausa tra l’uno e l’altro. Il Jobs Act, per il momento, non ha portato quella ventata di cambiamento auspicata e pubblicizzata da Renzi, ma ha semplicemente regolamentato e stabilizzato una situazione importante ma non fondamentale e centrale nel miglioramento delle condizioni dei lavoratori precari.
La partenza vera e propria della Riforma del Lavoro sembra essere slittata a non prima di giugno 2015.

IL DECRETO IRPEF E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Il Decreto Irpef è datato 24 aprile, e la novità maggiore è rappresentata dal cosiddetto Bonus Irpef, consistente in 640 euro in più in busta paga da maggio a dicembre dell’anno corrente. Sono i tanto criticati 80 euro mensili promessi e dati dal governo a quella fascia di lavoratori con un reddito compreso tra gli 8 e i 24 mila euro annui.
Il Bonus Irpef ha le coperture economiche sufficienti fino a dicembre 2014, mentre dovrebbe diventare strutturale a partire dall’anno prossimo.
Un altro punto su cui l’esecutivo renziano ha posto molte attenzioni è la riforma, o meglio, la risoluzione dei debiti che la Pubblica Amministrazione ha nei confronti delle imprese. I debiti ammontano a 68 miliardi di euro, e il governo ha stanziato l’importante somma di 57 miliardi, dai quali però solo 26 sono arrivati nelle casse dei creditori (le aziende insomma). È stato fatto un sforzo considerevole ma non ancora sufficiente per andare a migliorare una situazione paradossale, la quale non vede il cittadino debitore bensì creditore nei confronti dello Stato.

SPENDING REVIEW. Renzi ha dichiarato che, per i prossimi tre anni, una delle principali fonti di risparmio sarà costituita dalla revisione della spesa. Nelle previsioni del Premier, la spending review avrebbe dovuto fruttare intorno ai 7 miliardi di euro, mentre il commissario alla revisione, Carlo Cottarelli, ha preparato un piano di risparmio previsto che si ferma intorno ai 3 miliardi. Questo accade perché a Cottarelli è stato impedito di proporre tagli a sanità e pensioni, che da sole rappresentano il 40% della spesa pubblica. Renzi ha posto l’asticella dei 16 miliardi di risparmi per il 2015, ma non è ancora chiaro come saranno ottenute queste risorse.


LE NUOVE PROVINCE. Giovedì 3 aprile la Camera ha convertito in legge il cosiddetto “Disegno di legge Delrio” sulla riforma delle province, approvato dal Senato con qualche difficoltà lo scorso 26 marzo.
La legge non prevede una vera e propria “abolizione” delle province, ma piuttosto una loro riformulazione, con alcune grosse differenze rispetto ad oggi.
Secondo la legge approvata dal Parlamento, i nuovi enti che sostituiranno le province a partire dall’1 gennaio 2015 sono enti di secondo livello, per i quali non ci saranno più elezioni dirette né per i presidenti né per le assemblee provinciali.
Le province saranno sostituite da assemblee formate dai sindaci dei Comuni della provincia e da un presidente. Ci sarà anche un terzo organo, il consiglio provinciale, formato dal presidente della provincia e da un gruppo di 10-16 membri eletti tra gli amministratori dei comuni della provincia.
Il numero dei membri è stabilito in base al numero degli abitanti della provincia.
Il presidente della provincia sarà eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della provincia e resterà in carica quattro anni, a meno che nel frattempo non cessi la sua carica di sindaco (in quel caso è prevista la decadenza automatica da presidente, e nuove elezioni).
Il consiglio provinciale sarà eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia e resterà in carica due anni; anche in questo caso è prevista la decadenza dalla carica nel caso in cui il membro del consiglio cessi dalla sua carica di amministratore.
I nuovi enti continueranno a occuparsi di edilizia scolastica, tutela e valorizzazione dell’ambiente, trasporti, strade provinciali. Un’altra funzione sarà il “controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale” e la “promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale”. Tutte le altre competenze passeranno ai Comuni. Non percepirà nessun compenso sia il presidente della provincia che i membri del consiglio provinciale e dell’assemblea dei sindaci. Nel complesso, si stima che questo processo produrrà un risparmio di centinaia di milioni di euro.

LE CITTA' METROPOLITANE
Dall’1 gennaio 2015 dieci amministrazioni provinciali italiane saranno sostituite da dieci cosiddette “città metropolitane”: sono Torino, Roma, Milano, Bari, Genova, Venezia, Firenze, Bologna, Napoli e Reggio Calabria.
Anche in questo caso ci saranno tre organi: il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana, tutti svolti a titolo gratuito. Il sindaco sarà quello del Comune capoluogo, il consiglio sarà formato da 14-24 membri (sempre in base alla popolazione) e durerà cinque anni, e la conferenza metropolitana sarà formata dai sindaci del territorio della provincia.
Tra le funzioni degli organi delle città metropolitane ci saranno l’organizzazione dei servizi pubblici, la mobilità e la viabilità, la pianificazione territoriale generale, la coordinazione dello sviluppo economico e sociale. Di fatto le città metropolitane avranno le funzioni fondamentali delle vecchie Province.


I primi sei mesi di Matteo Renzi al governo sono ormai trascorsi e di risultati concreti se ne sono visti pochi. L’errore più grande del Premier toscano è stato quello di promettere tanto e in poco tempo, quando invece avrebbe dovuto mantenere un profilo più basso a causa della poca stabilità governativa che il segretario del Partito Democratico ha nell’esecutivo delle grandi intese.
La Riforma del Senato e quella delle province, nonostante le molte critiche, hanno le potenzialità per inaugurare un nuovo cammino democratico nel Paese, andando ad abolire il bicameralismo perfetto, vero e proprio marchio di fabbrica dell’Italia post-fascista. Negli ultimi giorni altri passi in avanti sono stati fatti, soprattutto riguardo ai temi della scuole e della pubblica amministrazione, lasciando presagire che le manovre più importanti siano in divenire.

Giacomo Bianchi

26 agosto 2014

Francia: "La ricreazione è finita!"


fonte: lemonde.fr
La presidenza di Francois Hollande si sta trasformando in un vero e proprio calvario. L'ultima tappa di questa via crucis ha avuto luogo proprio ieri. Il primo ministro Manuel Valls, che si era insediato nello scorso mese di marzo in seguito al disastroso risultato elettorale del Partito Socialista alle Elezioni Europee, ha presentato le sue dimissioni. La causa scatenante di questa decisione è rappresentata dallo scontro tra lo stesso Valls, appartenente all'ala più riformista dei socialisti e perciò presto ribattezzato “il Matteo Renzi francese” e il suo ministro dell'economia Arnaud Montebourg, che invece fa parte della fazione più a sinistra all’interno del partito.
Il conflitto tra i due in realtà andava avanti già da tempo. La materia del contenzioso sono le aspre critiche che Montebourg non ha mai lesinato alla linea economica tenuta dall’esecutivo e dal presidente, a suo dire troppo accomodante nei confronti delle richieste tedesche in materia di disciplina fiscale. I primi screzi con Valls si sono infatti verificati in occasione di un convegno socialista in cui Montebourg tuonò che era giunto il momento di “mettere in pratica una sana resistenza” alle “ossessioni eccessive dei conservatori tedeschi”. Parole che dovevano parere  un attacco frontale alle orecchie di un primo ministro chiamato in causa dal presidente come uomo forte in grado di rimettere in carreggiata la stagnante economia francese, mantenendo al contempo il rigore nei bilanci pubblici imposto da Bruxelles. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è però arrivata sabato scorso in un’intervista al quotidiano Le Monde. Montebourg ha alzato ulteriormente il tiro, invocando un drastico cambiamento di rotta del governo per rilanciare la crescita economica e affermando la necessità di “dare priorità all’uscita dalla crisi e mettere in secondo piano la riduzione dogmatica del deficit, che porta ad austerità e disoccupazione”. Inoltre in un’altra occasione, riferendosi esplicitamente a Valls, aveva dichiarato che si stava rendendo necessario “trovare una leadership alternativa”. Queste sue parole avevano riscontrato il consenso del ministro dell'educazione Benoit Hamon, anche lui membro dei frondisti del Partito Socialista.
Fonte: libération.fr
Morale della favola. Valls si è recato dal presidente, presumibilmente al grido di “O lui o me” e Hollande ha rinnovato la sua fiducia al primo ministro. Sì perché sebbene si sia dimesso gli è stato affidato l’incarico di formare un nuovo governo, in cui, manco a dirlo, Montebourg e tutti coloro che nell’esecutivo condividevano il suo punto di vista, non saranno più presenti. D’altra parte lo stesso ormai ex ministro dell’economia ha preannunciato la sua prossima uscita di scena, dicendo di aver voluto “riprendersi la sua libertà”. Hollande si è anche raccomandato di accelerare i tempi per il rimpasto visto che la sua popolarità tra l’elettorato francese è estremamente bassa e anche una piccola titubanza potrebbe costargli molto cara. 
Fin qui la mera cronaca di una movimentata giornata politica sotto Tour Eiffel. In realtà due riflessioni si possono estrapolare da questi avvenimenti.

In primo luogo, si può cominciare legittimamente ad affermare che il sistema politico francese, fino a poco tempo fa reputato piuttosto solido, stia passando una fase di sconcertante e preoccupante instabilità. Di fronte a dati macroeconomici sempre più negativi, legati ad una più generale mancanza di crescita nell’eurozona, l’insoddisfazione dell’elettorato per le scelte della classe politica è cresciuta esponenzialmente e le fedeltà partitiche si sono radicalmente alterate. Dapprima un campanello d’allarme lo dovevano lanciare le presidenziali del 2012. Dopo quasi trent’anni un presidente non veniva confermato per un secondo mandato. Si era detto che Sarkozy era impopolare e troppo distante dalle stereotipo dell’uomo ideale per guidare la Francia e si era chiuso un occhio. Come si era chiuso un occhio sul margine tutto sommato risicato con cui era stato eletto lo stesso Hollande. Pochi mesi fa però è arrivata la doccia gelata costituita dalle europee a rimarcare la crisi dei grandi partiti. La populista Marine Le Pen si è issata al primo posto, il centrodestra ha raccolto un misero 20% ed è entrato in crisi d’identità e Monsieur Le President ha toccato con mano il suo bassissimo indice di gradimento. Ieri appunto si è aggiunto il non invidiabile record negativo di durata (soli 147 giorni) dell’esecutivo targato Valls. Se tre indizi fanno una prova, il sistema politico e partitico transalpino è in pieno sconvolgimento.

Fonte: libération.fr
In secondo luogo i dissapori all’interno del PS francese che hanno portato alle dimissioni del primo ministro sono paradigmatici per quanto riguarda le difficoltà dei partiti di centrosinistra europei di costruire una proposta economica condivisa e realistica. Hollande all’inizio della sua presidenza sembrava un nuovo paladino delle vecchie ricette della sinistra, fatte di tasse e spesa pubblica (senza magari i toni sprezzanti verso lo storico alleato tedesco di Montebourg). Tuttavia già la stessa nomina di Valls, con i suoi orientamenti più progressisti in stile third way, si può leggere come l’ammissione di una sconfitta in questo senso. Una sconfitta che riecheggia, con le debite differenze, il tentativo di Mitterrand di portare avanti politiche dirigiste e protezioniste di stampo socialista negli anni ’80. Un tentativo che si scontrò contro una serie di circostanze come la direzione liberoscambista del progetto d’integrazione europea. Allora la sinistra europea imparava la dura ma inequivocabile differenza tra piazza e governo, tra utopia e realtà. Una lezione che, evidentemente, continua ad essere difficile da assimilare.

Valerio Vignoli

Nota: la citazione del titolo dell'articolo è una celebre frase dell'ex Presidente francese, il generale Charles De Gaulle.

1 agosto 2014

Sundayup -J.R.R. Tolkien: i romanzi della crisi


Non amo particolarmente il fantasy, è un genere che di fatto non coltivo, ma una sorta di moralità bibliofila mi ha spinto, parecchio tempo fa, a buttarmi sul (forse troppo) famoso Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien, giustamente considerato il padre di questo genere letterario. Un romanzo decisamente inflazionato, complici le note riduzioni (sì, volevo proprio dire riduzioni) cinematografiche che si sono trascinate dietro fanatismi estranei all’opera originaria. Per curiosità mi sono poi avvicinato ad altre opere dello stesso autore, riuscendo così a compormi un quadro discretamente completo del monumentale universo creato, con sapienza e cura demiurgiche, da Tolkien.
Il corpus tolkieniano, oltre che dei romanzi più famosi (Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit), si compone di una galassia di racconti, opere satellite, prequel, appendici, saggi, illustrazioni, atlanti, che danno forma a uno dei più dettagliati e coerenti universi fantastici mai creati. Un’opera monumentale, di cui il denominatore comune sembra essere la costante affermazione del principio dell’eterno rinnovamento del mondo a seguito di periodici sconvolgimenti. Una sorta di riproposizione del principio stoico secondo cui l’universo, a intervalli regolari, conflagra in un fuoco purificatore per uscirne poi rinnovato in un nuovo ciclo temporale. In Tolkien manca la dimensione apocalittica della distruzione totale di ogni cosa, ma la sequenza crisi-rinascita è presente in tutta la sua opera (la stessa scansione temporale dei romanzi in differenti “ere” lo suggerisce). L’autore stesso introduce questa idea in una delle sue numerose lettere (pubblicate da Bompiani in un volume intitolato La realtà in trasparenza): «Queste leggende terminano con una visione della fine del mondo, il suo disfarsi e il venir ricreato».


Per molto tempo mi sono interrogato sullo strano senso di incompiutezza e di amaro in bocca lasciato dalla fine della lettura di uno dei libri di Tolkien: spesso sembrano non finire realmente, ma condurci semplicemente a una finestra appannata dalla quale intravediamo il paesaggio esterno senza tuttavia riuscire a distinguerlo bene. Anche il libro che narra gli eventi più recenti (proprio il Signore degli Anelli) non mette la parola “fine” alla vicenda del mondo, concludendosi con una sorta di apertura a un futuro ignoto e non mostrato, ma intuibile dietro la foschia. In altre parole, i romanzi di Tolkien tendono a concludersi non con un’apocalisse e nemmeno con un proseguimento lineare della storia, bensì con una specie di via di mezzo: la rappresentazione (narrativa, e quindi camuffata metaforicamente) di un cambio radicale nell’ordine delle cose, la rappresentazione di una crisiL’idea di una crisi mondiale che distilla le energie migliori della società, rivelandosi quindi passaggio necessario nell’evoluzione e non incidente di percorso da evitare, è presente, tra gli altri, anche negli scritti di Albert Einstein, che ne parla a proposito della Grande Depressione del 1929 (“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi”: crisi deriva da krino, il verbo greco che indica, originariamente, l’azione di setacciare il grano per separarne la parte migliore). All’incirca negli stessi anni il nostro Tolkien iniziava ad appuntarsi abbozzi di una lingua inventata, il Quenya, basata sul finlandese con una fonetica vicina al latino e un sistema verbale accostabile al greco antico: il nocciolo originario attorno a cui verrà creato tutto l’universo tolkieniano.

Tolkien in uniforme durante la Prima Guerra Mondiale
Non si può sorvolare sugli estremi temporali della composizione dell’opera centrale della produzione tolkieniana, Il Signore degli Anelli: il romanzo venne portato a termine in un arco di più o meno quindici anni a cavallo della seconda guerra mondiale, e pubblicato nel 1954. Sorge quindi spontaneo l’accostamento tra le vicende letterarie e quelle storiche: forse mai come nell’ultimo conflitto mondiale la lotta tra Bene e Male è stata interpretata più simbolicamente (basti pensare alla propaganda antisemita in Germania, e antinazista negli Stati Uniti). È probabilmente arbitrario il parallelo, pure evidenziato da molti, tra le diverse fazioni in lotta nel Signore degli Anelli e quelle in lotta nella guerra reale (alcuni hanno visto, o creduto di vedere negli “orchi” una rappresentazione ora della società comunista, ora del nazismo e via dicendo), ma è innegabile che le vicende storiche abbiano avuto influenza sui grandi temi trattati da Tolkien.
In un’altra lettera l’autore, cercando di definire gli orizzonti spazio-temporali del mondo da lui creato, ammette che la terra in cui sono ambientate le sue opere non si trova su un'altra galassia o su un universo parallelo (non è, infatti, fantascienza), bensì è il nostro stesso pianeta, fotografato, nel Signore degli Anelli, all’incirca quattromila anni prima di Cristo (sebbene in altri scritti descriva la “Terra di Mezzo” come un “differente stadio di immaginazione”, e non come la nostra Terra nel passato tout court). Se le sue opere narrano eventi della Prima, Seconda e Terza era, con un accenno della Quarta, da un’altra lettera invece si evince chiaramente che il Novecento storico si troverebbe tra la Sesta e la Settima era. Ora, nella scansione temporale delle opere di Tolkien, il passaggio tra un’era e la successiva è sempre traumatico e dovuto a qualche sconvolgimento cosmico che stravolge il mondo (uno di questi passaggi è addirittura provocato dalla trasformazione della terra da piatta a tonda, una sorta di trasposizione mitica della presa di coscienza della sfericità della Terra realmente verificatasi nell’umanità).
La logica conclusione è dunque che la seconda guerra mondiale e, più in generale, il Novecento, costituiscano anch’essi, nella concezione dell’autore, uno di quei periodici sconvolgimenti che, come nell’ekpyrosis stoica, annientano il mondo permettendone la successiva rinascita in forma purificata. Se si tratti di una pia illusione o di una profezia in attesa di realizzarsi, resta ancora da stabilire.

Alessio Venier