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28 aprile 2014

25 maggio 2014, elezioni europee: verso una rappresentanza migliore

 Il 25 maggio si terranno le elezioni per la scelta dei rappresentanti nazionali nel Parlamento Europeo. Sarà l’ottavo appuntamento per i cittadini italiani chiamati a scegliere i loro rappresentanti. Queste elezioni sono, più di ogni altra, un appuntamento decisamente importante perché si svolgono in un periodo molto critico per l’Unione Europea, visto l’avanzamento dei partiti “populisti” ed anti euro che incolpano le istituzioni europee di misure troppo austere come rimedio per gli effetti della crisi economica.
Fonte: eunews.it
Le elezioni si terranno in tutti e ventotto i paesi membri nello stesso periodo e segneranno inevitabilmente un punto di svolta per la qualità della rappresentanza europea.
Questo appuntamento elettorale vede diverse novità che sono state introdotte negli ultimi cinque anni, piccoli passi avanti che certamente porteranno ad un miglioramento della democrazia europea. Prima di parlare di cosa ci attenderà a maggio, bisogna ricordare quali e quanti problemi aveva in passato la rappresentanza parlamentare europea così da poter apprezzare maggiormente le novità di questa ultima tornata elettorale.  
Fonte: thisis1979.blogspot.com
Le prime elezioni per il Parlamento Europeo si sono tenute nel 1979, tempi in cui la Comunità Europea era composta da nove stati membri. In quella data per la prima volta furono i cittadini a scegliere direttamente i loro rappresentanti e non i parlamenti nazionali. Il primo anno è stato caratterizzato da un certo entusiasmo per il suffragio universale europeo, ma l’affluenza alle urne ad ogni elezione è stata sempre molto bassa e non ha mai superato la soglia del 57%.
Il grande problema, causa della scarsa partecipazione, è sempre stato il sentimento di lontananza percepito dai cittadini degli stati membri nei confronti delle istituzioni europee ed ancor più nei confronti dei propri rappresentanti che siedono a Bruxelles.
Il sistema di selezione dei candidati porta inevitabilmente il cittadino a disinteressarsi delle elezioni europee che appaiono come un appuntamento poco sentito. Sono i partiti nazionali, infatti, a selezionare i candidati e a decidere le circoscrizioni del proprio territorio, una prerogativa della sovranità nazionale impossibile da abbandonare. Se, infatti, le circoscrizioni sono piccole creano un rapporto più diretto con gli elettori, mentre al contrario, grandi circoscrizioni allontanando ulteriormente i rappresentanti dai cittadini. Esiste così un filtro formato dai partiti nazionali che scherma ulteriormente gli elettori nei confronti del Parlamento Europeo.
E’ interessante notare che durante gli anni novanta, mentre la Comunità Europea si trasformava in Unione e forniva a suoi cittadini, diventati ora cittadini europei a tutti gli effetti, un bagaglio di diritti fondamentali da far valere su tutto il territorio comunitario, mentre veniva attuata la politica monetaria che si sarebbe conclusa con l’adozione della moneta unica e durante gli anni di maggiore allargamento dei paesi membri, l’affluenza alle elezioni europee precipitava sempre più fino ad arrivare al 47% alle elezioni del 2004.
L’astensionismo è stato, a tutti gli effetti, il grande protagonista e la grande delusione del progetto europeo anche durante gli anni di maggior consenso sulle sue politiche di integrazione.
Non è facile studiare un sistema di rappresentanza adatto ad un’entità politica così grande, post-moderna e così unica nel suo genere come l’Unione Europea; non siamo davanti ad uno stato federale come gli USA, ma allo stesso modo la rappresentanza in parlamento è proporzionata alla grandezza dei singoli stati membri; non siamo neanche in presenza di una vera e propria organizzazione internazionale, poiché la sua assemblea viene eletta a suffragio universale da tutti i cittadini. L’Unione Europea è un unicum ed il suo assetto è in continua evoluzione, una progressione cadenzata da importanti tappe quali i Trattati Europei che segnano i grandi cambiamenti e le innovazioni apportate.
L’ultimo di questi è stato il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009, questo trattato ha portato diverse modifiche al Trattato di Maastricht del 1993 ed in particolare alcune che tentano di migliorare la rappresentanza parlamentare. Ci sarà, infatti, una nuova ripartizione dei seggi che ne prevede un massimo di 96 per lo stato maggiore e un minimo di 6 per il più piccolo: un sistema pensato in modo da sovrarappresentare solo i paesi con meno abitanti  (l’Italia, come la Gran Bretagna avrà a disposizione 73 seggi).
Un’altra grande novità è il maggior potere che viene dato ai Parlamenti nazionali secondo il principio di sussidiarietà dell’Unione Europea che risponde all’esigenza di avvicinare maggiormente i paesi membri alle istituzioni europee, una capacità di decisione che viene riportata nelle mani dei cittadini se si ritiene che una questione di politica pubblica sia da considerarsi a livello territoriale per una maggiore efficacia. Infine, un’innovazione che abbiamo potuto constatare già in questi mesi di campagna elettorale è l’obbligo per i partiti di presentare nel programma il loro candidato alla presidenza della Commissione Europea.
Fonte: euractiv.com
In questo modo i cittadini potranno scegliere il partito ed eleggere automaticamente anche il presidente, un modo per rendere la scelta dell’assetto della Commissione un po’ più diretto. Conosciamo, infatti, il candidato per la Commissione del PSE, Martin Schultz, il lussemburghese Jean-Claude Junker candidato del PPE, Alexis Tsipras candidato della Sinistra Unitaria, Guy Verhofstadt per l’Alde, Josè Bovè e Ska Keller per i Verdi.
Insieme il 15 maggio tutti i candidati parteciperanno ad un dibattito televisivo in cui esporranno i loro programmi e le loro idee per il futuro dell’Europa. 
Questo è sicuramente un elemento importante ed innovativo per iniziare a colmare quel gap di rappresentatività che per troppo tempo ha caratterizzato le elezioni europee, i cittadini saranno finalmente più partecipi e quindi maggiormente critici nei confronti dei loro rappresentanti. Questo certamente darà nuova linfa alla macchina parlamentare di Bruxelles. 

Gaia Taffoni
@TaffoniGaia

27 aprile 2014

SundayUp: Nymphomaniac vol. II - Lars von Trier (2014)

Fatte queste premesse, è arrivato il momento di parlare veramente della seconda parte di Nymphomaniac. Avevamo lasciato la nostra Joe, ancora ragazza, in preda al suo complesso di Elettra che salta fuori più che mai nel momento della morte del padre.

Joe è ancora sdraiata a letto e abbiamo perso il conto delle tazze di thé con il latte portate intanto da Seligman, ed inizia così raccontando l'evento centrale di tutta la sua vicenda. Vediamo attraverso la lente della sua memoria la protagonista bambina, immersa nel verde, vivere una vera e propria estasi: il suo corpo è sollevato in aria, saturo di luce e di godimento, in preda ad un vero e proprio orgasmo spontaneo. Affianco a lei due donne: da un lato Valeria Messalina, moglie dell'imperatore Claudio, una delle più antiche ninfomani conosciute storicamente, e dall'altra parte la grande meretrice di Babilonia. Sacro e profano si incontrano in quella che appare come la "nuova narrazione blasfema della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor", come azzarda Seligman. Qualcosa di molto simile alla Transverberazione di santa Teresa d'Avila (meglio conosciuta come Estati di santa Teresa) del Bernini, incarnazione dell'erotismo sacro, ricongiungimento dell'uomo con Dio nell'eros. Ricordiamoci anche che santa Teresa fu dichiarata posseduta dal demonio e ad un certo punto della sua vita si pensò di esorcizzarla. Volendo chiarire meglio il concetto di possessione, con tutte le accezioni che essa può contenere: "Il Possesso è un Male, anzi, per definizione è IL Male: quindi l'essere posseduti è ciò che è più lontano dal Male, o meglio, è l'unica esperienza possibile del Bene, come Grazia, vita allo stato puro, cosmico". Indovinate chi lo dice? Sempre lui, Pasolini.Ci viene svelato un secondo fatto fondamentale nei primi dieci minuti di questo Vol. II: Seligman è vergine, non è mai stato con una donna. Ancora di più, egli si definisce "asessuale". Ed ecco che subito dopo cita in sequenza le tre opere di cui abbiamo precedentemente parlato: I racconti di Canterbury, Il Decameron, Le mille e una notte. Ne parla per dimostrare come il tema dell'asessualità sia stato trattato da diversi grandi autori nel corso della storia e quanto sia meno inusuale di quanto si possa pensare.

Si torna al racconto della vita di Joe e aumentano gli elementi diabolici raccolti attorno alla sua figura: rimasta incinta di Jerôme, nel momento del parto le sembra di vedere il figlio riflesso sorriderle in modo satanico. E prontamente Seligman ci ricorda come questo topos sia stato trattato da Thomas Mann nel Doctor Faustus. Come avremmo potuto facilmente immaginare, Joe non è affatto tagliata per fare la madre. E non è nemmeno tagliata per la monogamia. Jerôme ne prende atto, e in un gesto di vero amore le concede di essere libera e condividere esperienze sessuali con altri uomini, poiché egli è consapevole di non poter umanamente saziare tutte le sue necessità. 
Ricominciano così le avventure erotiche di Joe, che la conducono alla porta di un "professionista": K (chi avrebbe mai detto che un giorno Billy Elliot avrebbe frustato sul posteriore Charlotte Gainsbourg? Questa è la magia del cinema). K è un uomo che attraverso l'attuazione di un vero e proprio rito riesce a far godere sessualmente Joe (alla quale darà il nome in codice "Fido"), forse per la seconda volta nella sua vita dopo l'estasi giovanile. Dove sta la particolarità? Nel fatto che lei raggiunga l'orgasmo non in seguito ad un atto sessuale, ma grazie ad una vera e propria sottomissione fisica compiuta con un numero ben definito di frustate. Questa forma di masochismo le consente di espiare quello che lei vive come un costante senso di colpa. Sì, dichiarerà di non vergognarsi di ciò che è, ma allora perché confessarsi con Seligman come per voler legittimare le proprie azioni? Chi non ha nulla di cui pentirsi, non ha bisogno di qualcuno che giustifichi il proprio comportamento. Nella fase della sua vita in cui ogni giorno è vissuto nell'attesa dell'incontro con K, "l'angoscia e la miseria esistenziale erano legati all'ansia dell'attesa del piacere e allo stesso piacere" (Pasolini, Petrolio). Pur di non rinunciare ad uno di questi appuntamenti, Joe lascia il figlio solo in casa di notte, e Jerôme lo ritroverà in lacrime appoggiato alla ringhiera del terrazzo, sotto la neve. Anche questo ci ricorda qualcosa: la scena iniziale del film dello stesso von Trier, Antichrist. Jerôme pone Joe davanti ad un bivio, un aut-aut: uscire un'altra notte per vedere K o rimanere a casa con il figlio. Da questa decisione non si tornerà più indietro. Joe ovviamente sceglie K.

Non riuscirà nemmeno nel tentativo di intraprendere una terapia, se ne tirerà fuori molto velocemente dichiarando forte e chiaro che nessuno sarebbe riuscito a soffocare il suo essere per il solo motivo di non disgustare la borghesia. "Io sono una ninfomane e adoro me stessa per questo. Ma soprattutto adoro la mia fica e la mia lussuria sconcia e oscena" - scena suggellata dai Talking Heads sparati a palla. Decide di mettersi quindi in società con L (Willem Dafoe) per un'attività di "recupero crediti", ovvero estorcere denaro a uomini in debito con i clienti di L. "La solitudine in cui di colpo si trova è lo stato necessario perché il mondo sia suo" (Pasolini, Petrolio). Sotto suggerimento di L, sceglie una ragazza a cui insegnare il lavoro e che possa succederle negli affari: P. Diventerà la sua madrina in tutto e per tutto, finché la loro relazione non si trasformerà in storia d'amore (passatemi il termine perché parlare d'amore in questo film è veramente una forzatura), la quale finirà appena Joe scoprirà che L ha iniziato una relazione con Jerôme. E qui torniamo alla scena iniziale: Joe era a terra perché picchiata da Jerôme, dopo aver tentato di ucciderlo puntandogli addosso una pistola. Siamo alla fine di questa lunga e terribile storia. Joe decide di fare definitivamente a meno del sesso. Happy ending? Non credo proprio. 


Qualche minuto dopo vediamo la porta riaprirsi, Seligman in pigiama avvicinarsi a lei nel tentativo di violentarla, un colpo di pistola, passi, buio.

Insomma alla perversione non c'è scampo. La donna è, e rimane, fino alla fine del film la tentazione, il demonio, la mania. Se Joe non fosse entrata nella vita di Seligman probabilmente lui non avrebbe mai sentito il bisogno di esprimersi sessualmente, ma invece, sottoposto alla lunghissima narrazione della donna, non può che esserne eccitato e quindi tentare di violentarla, portandola ad ucciderlo. Alla fine Joe non si salva: aveva scampato per un pelo il pericolo di divenire un'assassina, ed ecco che la sua controparte maschile la pone di nuovo di fronte alla messa in atto della sua devianza. Ma quindi Seligman è un buono trasformato per colpa della tentazione femminile incarnata da Joe, o è semplicemente un represso che ha passato la vita a nascondersi dietro la sua verginità per sentirsi migliore? Non possiamo saperlo. 




Certo è chiaro come sia l'elemento femminile a scatenare la violenza anche nell'uomo buono. Come per il Pasolini post-abiura, anche per von Trier "l'ostentazione di tutti questi amori che legano le coppie - amori fatali e manifestamente carnali, come la permissività consente, anzi, impone - rivela chiaramente che si tratta di rapporti profondamente insinceri" (Petrolio). La lunghissima e desolante storia di Joe è semplicemente la metafora dell'evoluzione dell'erotismo nella società attuale. Dopo l'iniziale estasi, la donna passerà la vita a ripetere meccanicamente l'atto sessuale sperando inconsciamente di poter riprovare un'altra volta quell'esperienza mistica. Questa reiterazione svuota di senso l'amore, il sesso, il desiderio, gli organi genitali sono solo stantuffi che si muovono alla ricerca di qualcosa che non arriverà mai. Il corpo di Joe diviene merce, mezzo per il soddisfacimento del desiderio altrui. Non è forse il coronamento del nostro stile di vita consumistico? Oggi tutto è concesso, basta pagare. Ma talvolta nemmeno quello è necessario. E questa totale e definitiva liberalizzazione non è forse realizzata nel corpo della donna? Dalla prostituzione, alle veline, passando per le pubblicità dei biscotti in cui comunque per vendere è necessario inserire il corpo nudo di una donna, e le quote rosa. Dall'estasi originaria, attraverso la coazione a ripetere e lo sfruttamento volontario del proprio corpo, sino ad una presunta negazione della sessualità (irrealizzabile). Per rendere tutto ciò più realistico von Trier ha scelto di utilizzare corpi di donne emaciate, al limite dell'anoressia, decisamente non "belle" dal punto di vista estetico. D'altro canto nella sua visione sembra che causa di tutto ciò sia proprio la donna. Difficile trovare una visione più maschilista della sua. Ma non è forse vero che l'industria del porno, la politica, i media, sono storicamente in mano a maschi bianchi occidentali? Quindi è la donna la tentazione diabolica, o l'uomo l'avido approfittatore che trova nella perversione femminile il capro espiatorio che invece gli consente di agire come meglio crede? Lascio a voi il giudizio finale. 


Chiaramente non si può far di tutta l'erba un fascio, ma si cerca di ragionare in termini antitetici rispetto a quelli del regista danese, che sicuramente ha difficoltà a cogliere le sfumature. Lo scopo della sua fatica è ovvio: una vera e propria analisi della nostra società (malata) portata avanti attraverso la storia di una donna (malata). Ma il problema sta nelle scelte estetiche. Se già Pasolini negli anni '70 aveva compreso come la messa a nudo dei corpi umani e dei genitali, la rappresentazione dell'osceno, del sesso, non potessero essere veramente capiti dal pubblico, e si riducevano quindi a prodotti perfetti per i voyeur più ostinati, allora forse von Trier pensando di fare un'operazione sconvolgente, ha invece semplicemente riproposto la solita zuppa riscaldata. Abbiamo veramente bisogno di curiosare attraverso il buco della porta di Joe per rimanere destabilizzati? Non credo proprio. Tutto si riduce ad una banale ostentazione, che proprio per la sua noia impedisce di cogliere il messaggio che vi sta dietro. Ma d'altronde questo è il cinema di Lars von Trier, che la cosa piaccia, o meno.

Roberta Cristofori


Premessa necessaria: L'erotismo in Pasolini prima di Nymphomaniac (2014)

C'era una volta un regista, che era anche scrittore, che era anche attore, che era anche critico, che era anche uomo, che si chiamava Pier Paolo Pasolini. Nel dicembre del 1973 egli si trovava a Bologna per intervenire durante la conferenza Erotismo eversione merce, organizzata dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme e dalla Commissione Cinema del Comune. Durante questa conferenza Pasolini fece una confessione vera e propria, quella che sarebbe poi stata riscritta e raccolta sotto il titolo di Tetis, premessa necessaria all'Abiura dalla "Trilogia della vita". La Trilogia raccoglie tre grandi opere realizzate dal regista - Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte - realizzate tra il 1971 e il '74, nelle quali egli, primo tra tutti in Italia, diede una chiara visibilità a quello che ai tempi veniva considerato osceno: "il sesso addirittura nel dettaglio".

 Durante la conferenza egli spiegò che la sua scelta fu prima di tutto sociale. Dopo le lunghe lotte iniziate nel 1950 e portate avanti fino i primi '60, ebbe inizio un periodo di "profonda crisi culturale", che portò a teorizzare la fine della cultura stessa; questa crisi si ridusse allo scontro tra due sottoculture: la borghesia e la sottocultura della contestazione. Solo in quest'ultima Pasolini vedeva preservata la realtà del corpo, ed in questa realtà "l'uomo viveva la propria cultura". Dall'altro lato vi erano i borghesi, i quali hanno portato il corpo ad una logica derealizzazione, riducendo il sesso a rito consumistico. Il popolo era invece ancora in possesso di quella realtà fisica e culturale, il cui simbolo non poteva che essere il corpo nudo stesso, il sesso. "Castità e violenza sessuale erano viste con naturalezza. I tabù creavano ostacoli, non dissociazioni". La Trilogia - ma in generale tutto il cinema di Pasolini - racchiudeva una confessione, una sfida, una provocazione verso il pubblico borghese e verso i critici, i quali, attraverso la censura, ed eliminando quindi il sesso dai suoi film, non facevano altro che svuotarli di contenuto, rendendoli vuoti ed incomprensibili: il sesso era necessario. Per quale motivo allora Pasolini decise di abiurare alla Trilogia? Egli scrive:
"Io abiuro alla Trilogia della vita, benché non mi penta di averla fatta. Non posso infatti negare la sincerità e la necessità che mi hanno spinto alla rappresentazione dei corpi e del loro simbolo culminante, il sesso. Tale sincerità e necessità hanno diverse giustificazioni storiche e ideologiche".

Prima tra tutte la lotta per la liberalizzazione sessuale (nonostante le sue riserve in merito), poi il desiderio di raccontare l'ultimo "baluardo della realtà", ed infine una mera fascinazione personale del regista. Cosa è cambiato dopo l'uscita nelle sale? Questa lotta è stata superata dalla tolleranza del potere consumistico che ha violato la realtà dei corpi innocenti. Ciò che era gioia nelle fantasie sessuali, si è trasformato in delusione. Quello che stava nascendo come nuovo potere permissivo prometteva però solo una falsa liberalizzazione: l'imposizione della sessualità come modello, trasforma la libertà sessuale in obbligo, e non concessione. I giovani non si sono guadagnati la loro libertà, piuttosto essa gli è stata concessa, e questa concessione diviene obbligo di adoperarla al fine di non apparire "incapaci", "diversi".
"L'ansia conformistica di essere sessualmente liberi, trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti (appunto perché la loro libertà sessuale è ricevuta, non conquistata) e perciò infelici. Così l'ultimo luogo in cui abitava la realtà, cioè il corpo, ossia il corpo popolare, è anch'esso scomparso".

I giovani del popolo vivono il proprio corpo alla stregua di quelli della borghesia: merce. Negli anni quei corpi hanno generato nel regista un odio, erano divenuti immondizia. La liberalizzazione ha reso i giovani infelici, presuntuosi, aggressivi, addirittura soggetti ad un vero e proprio "mutamento antropologico". La presa di coscienza del regista sarà poi l'humus necessario per la realizzazione di opere come Salò o le 120 giornate di Sodoma

Quella di Pasolini è la premessa necessaria per capire come oggi siamo arrivati alle scelte stilistiche di film come Nymphomaniac di Lars von Trier. Nel corso del film egli cita espressamente le tre opere letterarie dalle quali sono stati tratti i lavori della Trilogia della vita, come a voler offrire una chiave di lettura al film stesso. "Una scelta estetica è sempre una scelta sociale", diceva Pasolini durante la conferenza del '73. La scelta di von Trier non è semplicemente fine a se stessa, data dal desiderio maniacale di ostentazione dell'atto sessuale e dei genitali, attraverso l'escamotage del racconto di una ninfomane (che per altro si dichiara "fiera" di essere tale). Già quarant'anni prima di von Trier c'erano - fra gli altri - due grandissimi scrittori italiani che affrontavano questa tematica per spiegare la società del tempo: uno è sempre Pasolini con Petrolio, l'opera ultima e incompiuta, oscena ed onnicomprensiva di ogni aspetto della sessualità, l'altra è l'Elsa Morante di Aracoeli



In Petrolio c'è tutto: lo sdoppiamento della sessualità, da un lato angelica, rappresentata da Carlo di Polis, e dall'altro la sessualità diabolica di Carlo di Tetis. I due sono in realtà uno stesso personaggio sdoppiato, due facce della stessa medaglia che spesso nell'arco del romanzo si scambiano i ruoli. Vi ricorda forse qualcosa? Seligman, vergine e puro, in opposizione a Joe, diabolica e disturbataC'è qualcos'altro: non è forse vero che nel finale del film i ruoli si scambiano? Seligman tenta di violentarla, mentre lei ormai ha scelto l'astinenza (in Petrolio addirittura portata all'estremo come castrazione). In chiave più intimista lo stesso tema fu affrontato da Elsa Morante nell'ultimo romanzo realizzato prima di morire, Aracoeli. La Morante e Pasolini da amici e grandi intellettuali quali erano riuscirono entrambi, attraverso la metafora sessuale, a dare una rappresentazione di quella che era la crisi dei costumi degli anni Settanta. Pasolini racconta un uomo (che poi si trasforma in donna nel corso del romanzo), Elsa Morante racconta la storia di un ragazzo omosessuale alla ricerca dei luoghi in cui ha vissuto la madre defunta, per ricostruire il proprio passato, la propria storia. Fino alla scoperta del disturbo della madre, che nell'ultimo periodo della sua vita la costrinse a prostituirsi per poter sedare le proprie pulsioni.

Roberta Cristofori

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26 aprile 2014

Un anno di The Bottom Up - Un anno di noi, un anno di voi.

Un anno di The Bottom Up.
Un anno di noi.
Dei nostri punti di vista, delle nostre opinioni (più o meno convincenti), dei nostri eventi, delle nostre recensioni, delle nostre idee (più o meno brillanti), del nostro modo di vedere il mondo, delle nostre impressioni, delle nostre previsioni (più o meno corrette), delle nostre interviste (più o meno serie), dei nostri esperimenti giornalistici (più o meno riusciti), delle nostre iniziative, dei nostri progressi, delle nostre collaborazioni, dei nostri progetti, delle nostre esclusive e tanto tantissimo altro.
Un anno di voi.
Di chi ha letto un solo articolo, di chi li ha letti tutti e di chi mi auguro ne leggerà in futuro, di chi ci segue (con più o meno attenzione) dall'inizio e chi ci ha scoperto più avanti, di chi gentilmente ha contribuito in qualunque modo alla realizzazione anche di una singola riga di un qualsivoglia articolo in questi ultimi 365 giorni, di chi ha avuto la pazienza, la costanza e la buona volontà di sostenerci in questo piccolo ma ambizioso progetto giornalistico, di chi condivide le nostre riflessioni e anche di chi non le condivide ma vuole sentire un'altra voce, una in più e quindi condivide i valori fondanti di The Bottom Up.
Un anno dal basso, sempre e comunque, ma con serietà, impegno, creatività e autoironia.

Lunga vita a The Bottom Up, lunga vita a voi, lunga vita a noi!

A nome della redazione, grazie e tanti auguri, The Bottom Up! 



Valerio, il direttore
Roberto, Mascia, Angela, Filippo, Alessio, Roberta, Fabrizio, Mattia.
E anche Lucrezia, Lorenzo, Gaia, Lorenzo, Guglielmo, Matteo, Eugenio, Davide , Carlos, Marco...

25 aprile 2014

Buon 25 aprile, festa della liberazione di tutta l'Italia e tutti gli italiani


Buona festa della Liberazione a tutti coloro che tengono in vita il prezioso ricordo della Resistenza, che sanno da dove nasce la nostra Repubblica, che credono ancora nella democrazia, nella libertà e nell'uguaglianza. E buona festa della Liberazione anche a chi la rinnega, a chi non ne riconosce il valore, a chi interpreta la storia in modo fantasioso per subdoli fini politici e a chi ha troppa paura dei valori sopra elencati per sostenerli. Se possono esprimere liberamente le loro idee sbagliate è merito soprattutto di chi ci ha liberati dalla dittatura.
Purtroppo questo giorno è ancora visto come la festa di una sola parte del paese, è strumentalizzato per fini politici dalle destre e dalle sinistre e rischia di essere svuotato del suo profondo e nobilissimo significato. Oggi si celebra la liberazione di tutta l'Italia e di tutti gli italiani da una vile dittatura fondata su una disgustosa ideologia, il fascismo, che per decenni ha tenuto in ostaggio l'Europa e il mondo lasciando dietro di se una striscia di morte, odio e regresso civile.
Oggi dobbiamo celebrare il valore umano dei nostri partigiani, che va ben oltre l'appartenenza politica, di uomini, donne e bambini che sono arrivati a dare la vita per un'Italia libera dal fascismo. Nel loro rifiuto di appoggiare la dittatura a qualsiasi costo risiede la coscienza civile di tutto il nostro disastrato paese. Dalla loro scelta si è formata una catena di eventi che hanno messo fine al ventennio più nero e vergognoso della nostra storia.
Ricordare significa conoscere la nostra Storia, individuare le cause di un periodo così buio e riconoscere i pericoli attuali. Fascismo, comunismo, nazismo sono ormai ideologie antiche che vivono solo sui libri di storia. Il mondo è cambiato, non è più quello di settant'anni fa, chi continua a vedere le cose in questa maniera è un timoroso nostalgico. Non esiste un partito fascista, un nuovo duce, una guerra mondiale alle porte. Esistono ancora, però, i mali che hanno alimentato quella squallida ideologia. Paura, ignoranza, nazionalismo, populismo, razzismo, xenofobia, chiusura mentale, violenza, intolleranza, omologazione del pensiero. Ora più che mai l'Italia e l'Europa si trovano di fronte questi mostri contro i quali ogni cittadino deve combattere la sua personale Resistenza. Questi nemici non sono quelli fisici che i partigiani combattevano settant'anni fa, non ti uccidono e non ti torturano ma sono molto più subdoli e difficili da battere, tant'è che ormai da secoli devastano la nostra civiltà.
Celebrare la Liberazione, ricordare la Resistenza significa combattere questi mostri. Significa studiare, informarsi, ragionare con la propria testa, confrontarsi, rifiutare le verità assolute e le risposte facili. Significa infine, più di ogni altra cosa, sapere da dove veniamo e a chi dobbiamo la nostra libertà.

Fabrizio Mezzanotte

10 aprile 2014

Alla ricerca di un nuovo sogno europeo: Enrico Letta a SciencesPo

Sciarpa rossa al collo contro l'onnipresente vento del Nord, zainetto del CSKA Mosca sulle spalle, l'alto figuro che si aggira per una Parigi primaverile potrebbe essere facilmente scambiato per uno dei tanti turisti che affollano i Boulevard. Invece, si tratta di un rilassato Enrico Letta che, dismesso l'abito del Presidente del Consiglio, è ora nella ville lumière per tenere una serie di lezioni e conferenze incentrate sull'Europa a Sciences Po, l'istituto di studi politici, eccellenza dell'educazione francese e non solo.

Credits: Alessandro Kandiah
            
È qui per raccontare l'Europa, la “sua” Europa. Un'Europa indebolita dalla crisi economica e finanziaria (una crisi finanziaria americana che ci siamo abituati a chiamare “crisi dell'Euro”) e dal senso di malessere sociale che attraversa in maniera trasversale l'intero continente, eccezion fatta per la Germania. Un'Europa preoccupata dall'immigrazione, ma all'interno della quale sta prevalendo un approccio multilaterale alle relazioni reciproche tra stati: Letta richiama l'esempio virtuoso del G20, una realtà nuova ma che ha già dimostrato di poter raggiungere obiettivi importanti, come ad esempio riguardo alla questione siriana, coinvolgendo anche gli attori emergenti nello spettro delle relazioni internazionali.

Fonte: colombo.diplo.de
In questo contesto, i due principali successi dell'intero processo di integrazione, la moneta unica e l'abbattimento delle frontiere all'interno dell'Europa, si sono trasformati nei principali preoccupazioni degli europei, sui quali gli emergenti partiti populisti stanno fondando il loro consenso e, presumibilmente, il loro successo alle prossime elezioni europee un fronte “unito sulla pars destruens, ma con molte differenze quando si tratta di passare alla construens”.
Come valutare questa diffusione di un sentimento destruens? Letta, andando contro-corrente, sostiene che sia una buona notizia anche per chi crede nell'Europa perché spezza l'inerzia che ha caratterizzato l'azione dell'UE fino ad ora e rende urgente e necessaria una profonda riflessione sul senso dell'integrazione. Indicandoci, Letta sostiene che la nostra generazione, gli Under 30 di oggi, non possono essere motivati da una fotografia degli anni Ottanta di François Mitterand ed Helmut Kohl a commemorare insieme i morti di Verdun: “Oggi dobbiamo guardare al futuro, offrire una visione, spiegare tutto ciò che di buono l'Europa ha portato nelle nostre vite”.
            
In questa campagna elettorale, finalmente, europea, continua l'ex premier, servono risposte nuove, concrete, forti alle questioni che i populismi pongono, altrimenti il risultato non può che essere una delegittimazione delle istituzioni europee, un Parlamento Europeo bloccato dall'ostruzionismo (“filibustering”) e una naturale riduzione del raggio d'azione del PE, danneggiando così la peculiarità democratica europea.
            
Al di là di soluzioni tecniche, come l'istituzionalizzazione del Gruppo dei 18 Paesi dell'Euro in modo da sollevare la Banca Centrale Europea da responsabilità politiche, il potenziamento del mercato unico in senso competitivo transnazionale, la promozione di una reazione europea alla crisi sociale e alla disoccupazione, l'implementazione di pratiche di coordinamento soprattutto in ambito militare e di difesa, Letta sostiene sia necessaria una fiducia reciproca che permetta di “giocare all'attacco”. Richiamando la metafora calcistica della quale nessun politico italiano può fare a meno, l'Europa ha vinto l'andata, ora, con queste elezioni, tocca al ritorno ed è necessario giocare ogni pallone utile, senza dare nulla per scontato. Insomma, “dobbiamo evitare di fare la fine del Paris Saint Germain contro il Chelsea”, commenta Letta.


Al contrario, ora è il momento di interrogarsi su che Europa immaginiamo tra dieci anni. Ecco, credo che questa sia la domanda più importante che dobbiamo porci. Quale prospettiva, quale visione? Qual è l'Europa il nostro sogno europeo? 

Angela Caporale

8 aprile 2014

Bicameralismo perfetto e conservatori imperfetti

Fonte: partitodemocratico.it

Un dato di fatto inequivocabile: il bicameralismo perfetto è un'anomalia italiana.
A quanto io sappia siamo l'unico paese in cui è presente una seconda camera con le stesse competenze della prima e composta alla stessa maniera se si escludono le sottili differenze nell'età dell'elettorato attivo e passivo.  Semplicemente guardando ad altri stati membri dell'Unione Europea ci si può accorgere della peculiarità italiana da questo punto di vista. In Germania, per esempio, il Bundesrat è espressione dei singoli Lander, i corrispettivi delle nostre regioni. In Gran Bretagna la Camera dei Lord ha via via perso di rilevanza e oggi rappresenta meramente una camera di riflessione su alcuni temi sensibili. È importante specificare che in entrambi questi casi la fiducia al governo dipende esclusivamente dalla “camera bassa”: la House of Commons inglese e il Bundestag tedesco. Infine nei paesi scandinavi e in Portogallo la “camera alta” non esiste per nulla e non mi pare che qualcuno senta l'impellente bisogno di istituirla.
Quest'anomalia ostacola l'efficienza e l'incisività del processo legislativo oltre ad essere completamente antieconomica. Tecnicamente una legge potrebbe essere rimpallata da una camera all'altra all'infinito, seguendo quel contorto e dispendioso meccanismo che in gergo viene definito “navetta”.

Fonte: partitodemocraticotrentino.it
L'origine storica del bicameralismo paritario è da inserire nel contesto della caduta del regime fascista e della fine della seconda guerra mondiale. I nostri padri costituenti disegnarono un sistema istituzionale sbilanciato a favore del legislativo, ovvero del parlamento, nei confronti dell'esecutivo, cioè il governo, per prevenire l'eccessiva concentrazione di potere che aveva contrassegnato il regime di Mussolini. 
In questo senso la missione è riuscita ma sono passati settant’anni e le priorità, come d’altronde la società, sono cambiate mentre l’architettura istituzionale è rimasta in questo frangente immutata. Oggigiorno gli imperativi di una società dinamica e in rapida mutazione impongono una maggiore rapidità decisionale e di policy making. Il senato è un attore con potere di veto (veto player) in un paese in cui ce ne sono già fin troppi di soggetti che frenano le riforme.

Non c’è da stupirsi se quindi è da un  po’ di tempo che si parla di superamento del bicameralismo perfetto. Già il governo di Enrico Letta aveva inserito nella sua agenda questa riforma istituzionale, sostenuta a più riprese dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. La necessità di porre fine a questa non invidiabile eccezionalità è in questi giorni promossa con inusuale vigore dal neo primo ministro Matteo Renzi. La sua proposta prevede la trasformazione di Palazzo Madama in una camera rappresentativa degli enti locali come regioni e comuni, con la permanenza dei senatori a vita e un nutrito numero di senatori nominati (ben 21) dal Capo dello Stato. Tutto all’insegna del taglio dei famigerati “costi della politica”. 
Sebbene io ritenga un po’ esagerato il numero dei senatori di nomina “presidenziale” e nutra qualche perplessità su una camera espressione dei comuni e delle regioni in assenza di un sistema federale, mi auspico che questa riforma vada in porto. Sarebbe certamente un passo in avanti per quanto riguarda l’effettività e la trasparenza della macchina dello stato.

Fonte: notizie.tiscali.it
Il condizionale è d’obbligo visto che la strada per l’approvazione è ancora lunga e irta di insidie. Innanzitutto, in quanto riforma costituzionale, l’iter legislativo è più complicato e richiede una maggioranza più ampia. Inoltre questa riforma incontra l’opposizione di alcuni attori. Principalmente sono tre: i senatori attualmente in carica, alcune forze politiche e un movimento d’opinione di sinistra radicale che si esprime attraverso le voci di politici, celebri giornalisti e rinomati professori. I primi, i senatori, a partire dal presidente del senato Pietro Grasso, sono naturalmente preoccupati della loro sopravvivenza politica. Obbligarli a compiere questo harakiri politico potrebbe essere problematico. Le forze politiche ostili in parlamento sono molteplici. Sicuramente, manco a dirlo, i pentastellati voteranno contro. Perché? Quello probabilmente non lo sanno nemmeno loro. Diciamo per ostruzionismo a priori nei confronti del governo. Mi pare che anche Forza Italia non sia troppo convinta dalla progetto di riforma del senato, nonostante fosse stata individuata da Renzi come partner privilegiato sulle riforme istituzionali. Staremo a vedere nelle prossime settimane come si definirà il gioco delle alleanze.


Per concludere lasciatemi però spendere due parole sui “conservatori di sinistra”. Quelli che puntualmente quando si mette in discussione la costituzione assumono posizioni barricadiere e intransigenti supportate da motivazioni inconsistenti. Parlo di giornalisti come Marco Travaglio o Alessandro Gilioli de “L’Espresso” o professori come Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà. In parlamento è sostanzialmente SEL il portavoce di queste istanze. Difensori ad oltranza di uno status quo istituzionale che continuamente ci mostra le sue falle, le sue inadeguatezze, i suoi paradossi. In quest’occasione difensori di una camera fondamentalmente inutile. Difensori di un’assurda e anacronistica anomalia italiana. Una delle tante, da superare.

Valerio Vignoli

6 aprile 2014

SundayUp: Nymphomaniac - Lars von Trier (2013)

"In pratica, stiamo tutti aspettando il permesso per morire".

Una neve sottile scivola lungo muri di mattoni a vista. Una mano coperta di sangue. Le note metalliche dei Rammstein aprono il campo ad una donna distesa a terra, dentro il cortile interno di un palazzo. Nel frattempo un uomo esce di casa per fare acquisti e la intravede, si avvicina. A questo punto - grazie al cielo - si interrompono i Rammstein ed inizia la narrazione.


La donna è Joe (Charlotte Gainsbourg) e l'uomo è Seligman (John Stellan Skarsgård): il paziente e l'analista. L'intero film si sviluppa infatti attraverso le lunghe retrospettive di Joe, la quale racconta la caotica storia della sua vita sessuale all'uomo che tenterà fino alla fine del film (almeno del vol. I), di razionalizzare il suo comportamento. Il racconto è suddiviso in otto capitoli, metodo che evidentemente piace molto a von Trier, visto che l'aveva già sperimentato nel film Dogville (in questo caso i capitoli erano 9, più un prologo e una conclusione). Alle sequenze in cui Joe parla con Seligman, le retrospettive e i capitoli, si aggiungono immagini e brevi video inseriti tra un racconto e l'altro, che svolgono la funzione di rendere visivo qualcosa di cui si sta parlando al momento. L'impresa di esaurire tutto ciò che si può dire in merito ad un film del genere è veramente ardua, essendo un'opera di estrema lunghezza, ricca di riferimenti, citazioni e svariati argomenti di discussione. Certo, tutto ruota attorno al sesso, al disturbo sessuale di Joe, di cui lei racconta, da un lato spinta dal desiderio di essere capita, dall'altro di difendere la sua natura. Come avranno tutti ben capito dal titolo molto esplicito del film, Joe è ninfomane, e la sinossi è una vera e propria analisi critica e filologica che "collaziona" ogni singola vicenda sessuale (si potrebbe dire ogni singolo fallo) al fine di pervenire alla natura originale del disturbo, scarna, priva di condizionamenti esterni.

Fin da bambina è affascinata dal suo organo sessuale e cerca di scoprirlo e di stimolarlo in diversi modi. Ha un pessimo rapporto con sua madre, che definirà poi una "codarda puttana", mentre nei confronti del padre dimostra un vero e proprio amore incondizionato. Gli unici ricordi che la aiuteranno a sentirsi meno sola da adulta saranno quelli che le riportano alla mente il padre e i suoi racconti sugli alberi. Se da piccola il rapporto con la sua sessualità è piacevole, giocoso e di continua scoperta, dal momento della perdita della sua verginità in poi, si perde completamente l'aspetto ludico che l'erotismo dovrebbe portare con sé. Il sesso è competizione, è ripetizione meccanica di un atto svuotato di desiderio e sentimento, reiterazione di movimenti ben studiati privi di senso. La sua incapacità di amare, di provare empatia nei confronti degli altri e di sentirsi coinvolta, si manifesta ancor di più nel momento in cui si rende conto di poter provare qualcosa per un uomo: sarà infatti l'unico persona che rifiuta. La reazione all'amore è aggressiva, la porta a cercare ancora più uomini e a renderla sempre più sola. La vita di Joe è pura solitudine, più va alla ricerca di uomini, più si sente abbandonata. E la morte del padre, in seguito ad una lunga malattia, la priva anche dell'affetto di quell'unica persona rimasta sinceramente legata a lei e nei confronti della quale riesce a provare dei sentimenti.

Un'opera di Mario Merz che esemplifica la successione di Fibonacci.
Nel complesso Joe-donna, incarna l'irrazionale, il delirante, il diabolico, la colpevole, mentre Seligman-maschio le oppone uno sguardo critico, razionale, colto: parla di pesca, chiama in causa Fibonacci, il tritono (diabulus in musica), Edgar Allan Poe e la sua morte per delirium tremens, l'invenzione di Bach della polifonia. 
Non c'è nulla di "erotico" nel film di von Trier e non aspettatevi di rimanere sconvolti da immagini che vi disgusteranno o stuzzicheranno il vostro animo voyeuristico. Le fila del discorso si potranno trarre solo alla fine del vol. II, per ora si può semplicemente confermare la natura alienante del film e sperare che a nessuno venga mai più in mente di proiettare due parti di un'unica narrazione a distanza di 3 settimane l'una dall'altra.

Roberta Cristofori

3 aprile 2014

MoVimento 5 Stelle: sempre più a destra

Il paradosso è completo. Quelli che dovevano mandare tutti a casa a calci nel culo, aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, distruggere la casta dei politici e cambiare tutto quello che non funziona in Italia, nel giro di un paio di settimane hanno votato contro rispettivamente a:
  • riforma della legge elettorale
  • abolizione province
  • abolizione Senato
  • depenalizzazione della coltivazione di marjuana
  • depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina
Il Movimento 5 Stelle si sta dimostrando il più conservatore tra i soggetti del sistema partitico italiano.
Fonte: formiche.net
Indipendentemente dalla bontà delle proposte in materia del governo Renzi, sarebbe ingenuo pensare che la più grande forza di opposizione approvi senza obiezioni tutti i progetti dell'avversario, ma la sorda, cieca, aprioristica e senza margini di discussione sequenza di no sparati da Grillo e i suoi deputati suona come una beffa per tutti coloro che avevano riposto fiducia e voglia di cambiamento nel Movimento. 

Se questi sono i temi centrali nell'agenda di governo è anche merito loro, che in campagna elettorale li hanno portati al centro del dibattito politico. Ancora più ridicolo è il fatto che anche se uno dei mantra del M5S sia da sempre quello di non voler stringere alleanze vincolanti ma essere disposti a discutere e votare i singoli temi presenti nel loro programma, i primi tre punti che appunto sono da sempre tra i loro cavalli di battaglia siano stati osteggiati con decisione e grande incoerenza nei confronti della breve storia del Movimento stesso. Le motivazioni utilizzate da Grillo e dai grillini per sostenere tutti questi rifiuti gettano un'aria ancora più grottesca a questa situazione tragicomica: il comico genovese si è auspicato di andare a votare con il Matarellum (a un certo punto ha sostenuto persino che si dovesse votare con il Porcellum, prima che fosse dichiarato incostituzionale), oppure a un anno e poco più di distanza dall'aver rivolto a Parlamento e Senato il monito arrendetevi, siete circondati, siete già morti si è riscoperto ultragarantista denunciando la svolta autoritaria di Renzi nell'abolizione del Senato e strenuo difensore del bicameralismo perfetto come imprescindibile strumento di controllo democratico.
Il fatto è che il nuovo premier con la sua frenetica e potentemente mediatica politica di riforme sta facendo saltare i piani di un Movimento che si dimostra sempre più basato su malcontento e spregio della classe politica, che ha come mezzi la protesta e l'insulto ma non è mai riuscito ad essere propositivo. Anche il principio della democrazia diretta tramite web sembra sempre più di facciata. Ne è prova il voto contrario alla depenalizzazione del reato di clandestinità che le consultazioni online avevano approvato ma che ha sempre visto contrario il comico genovese, che sul tema immigrazione da sempre strizza l'occhio all'estrema destra xenofoba


Vero che recentemente ha preso le distanze dal Front National di Marine Le Pen ma le idee su immigrazione, rapporti con l'UE e politiche economiche sono pressapoco le stesse, quindi non ha perso le simpatie di quella porzione di elettorato. Saggiamente ha preso le distanze perché la forte base di sinistra del M5S non lo avrebbe accettato, ma la sostanza non cambia. E a proposito di web, le ultime primarie online per i candidati all'Europarlamento hanno visto circa 35.000 votanti a fronte di circa 5.000 candidati, con il risultato che i vincitori su base regionale possono contare da un massimo di 556 voti in Lombardia ad un minimo di 33 in Val d'Aosta. Le critiche in questo caso non sono arrivate solo dall'esterno ma anche dal sindaco pentastellato di Parma Pizzarotti, che lamenta il ritardo nella scelta dei candidati e il fatto che questi siano quasi degli sconosciuti per gli attivisti del Movimento. Forse il punto è proprio questo: dopo aver perso a causa di espulsioni o esili spontanei circa il 25% dei senatori eletti nelle file del M5S, Grillo preferisce mandare a Bruxelles personalità poco autonome e più facilmente controllabili vista la sempre più crescente difficoltà nel tenere unito il gruppo, troppo eterogeneo e sempre meno disposto a subire le sue decisioni autoritarie.
Fonte: giornalettismo.com
Fregandosene della tanto decantata coerenza recentemente, Grillo è anche comparso sul mezzo nemico per eccellenza, la televisione, in un'intervista naturalmente preimpostata e in differita con Enrico Mentana. Stranamente calmo, pacato nei modi, non urlava, non insultava nessuno. Sembrava volesse prendere le distanze dal se stesso urlante e sbraitante a cui ci ha abituati. Sul Blog e nei nuovi (costosissimi) spettacoli/comizi invece i toni non sono calati affatto e gran parte della potenza di fuoco si è concentrata sul nuovo premier Renzi. Grillo i conti li ha sempre saputi fare eccome. Berlusconi, l'altro grande arringatore di folle sta vivendo un inesorabile declino e rischia di perdere una grande fetta di elettorato, senza una figura a destra in grado di raccogliere la sua eredità. E chi se non Grillo potrebbe inserirsi in questo vuoto? 

In questo senso va letto l'atteggiamento stranamente calmo e accomodante in televisione, perché si sa che tra i maggiori utenti del mezzo c'è la fascia di elettorato over 50, che raramente usa internet, e che per anni è stata maggioritaria tra le file di Forza Italia ma nella nella quale il M5S non è mai riuscito a fare breccia anche a causa dei toni burberi e irruenti che caratterizzano la sua dialettica. Se a questo aggiungiamo l'ostruzionismo alle riforme, la demagogia sull'uscita dall'Euro, il dualismo con Renzi e le sempre maggiori energie utilizzate nel sabotare l'operato e l'immagine del PD, il cerchio si chiude. Il M5S nei sondaggi ha perso 4/5 punti percentuali rispetto alle elezioni dell'anno scorso nonostante il crollo di Berlusconi, mentre il Partito Democratico da quando Renzi è Presidente del Consiglio è in netta crescita. Per recuperare terreno in vista non solo delle imminenti elezioni europee ma anche in chiave futura, anche se ama dichiararsi né di destra né di sinistra (che tra l'altro è lo stesso slogan utilizzato dalla Le Pen e da altri movimenti di ispirazione neofascista), Grillo guarda sempre più a destra.

Fabrizio Mezzanotte
@fabbrimezza

1 aprile 2014

Il leader mal digerito


Mi è già capitato di soffermarmi sul complicato rapporto del Partito Democratico con i suoi leader negli ultimi dodici mesi e mi sembra giunto il momento di chiudere questo ideale cerchio.

L'occasione è particolarmente propizia visto che nelle ultime settimane si sono aperti accesi dibattiti interni al partito riguardo ad una presunta gestione eccessivamente accentratrice e personalistica del segretario e presidente del consiglio Matteo Renzi. L'ex sindaco di Firenze è accusato di bonapartismo dalla corrente minoritaria (che fino a pochi mesi fa era maggioritaria) del PD che fa capo allo sconfitto delle primarie Gianni Cuperlo e a all'ex viceministro dell'economia Stefano Fassina. Anche l'altro perdente nella corsa alla poltrona di segretario Civati non ha lesinato critiche da questo punto di vista e si trova in una posizione di aperto dissenso con la strada intrapresa dalla direzione. Sostanzialmente il decisionismo renziano turba e infastidisce molte personalità di spicco all'interno del partito, contrariate dal dovere accettare a scatola chiusa le riforme elaborate dal suo staff (come nel caso del Job Act) o negoziate con forze politiche ostili (come la riforma elettorale). Alcuni invocano la necessità di maggiore dialogo e dialettica interna su temi così rilevanti. Inoltre questa fazione contestatrice (quella che fondamentalmente è uscita con le ossa rotte dalla sfida delle primarie) è ancora piuttosto ancorata ai paradigmi in materia di politica economica, di mercato del lavoro, di strategia e comunicazione che hanno contraddistinto la visione politica del PD negli ultimi tempi. In poche parole tutto ciò che Renzi vuole rottamare. Insomma una certa parte del partito disapprova veementemente tanto il metodo quanto la sostanza di questo nuovo corso all'insegna di umorismo toscano e presentazioni in Power Point.

A tal proposito da qualche giorno è tornato in ballo un dilemma che mi sembrava essere stato fortunatamente seppellito dal corso degli eventi: “È giusto che la stessa persona possa ricoprire la carica di segretario del PD e premier contemporaneamente?”. Se ne è sentito parlare fin troppo all’alba delle primarie e questo quesito all’epoca ha dato adito ad elucubrazioni contorte e platealmente marginali di cui di certo non ha beneficiato la reputazione del partito agli occhi dell’opinione pubblica. Naturalmente la domanda è pertinente con il tema del rapporto partito-leader. La concentrazione delle due figure attribuisce un’autorevolezza e spazio di manovra notevole a Matteo Renzi.
Mi pareva appunto che la coincidenza quasi fortuita delle due cariche nella medesima persona avesse quanto meno fugato questi dubbi. L’opinabile avvicendamento tra democratici ha permesso di superare le assurde incomprensioni che avevano segnato l’ultima fase dell’esecutivo targato Letta.


Ma come vanno le cose nel resto dei maggiori partiti dei paesi europei? Esiste questa divisione dei ruoli tra capo di partito e capo di governo (o candidato premier)? Per esempio in Gran Bretagna, sia nel caso dei laburisti che nel caso dei conservatori, non esiste e il leader del partito coincide con il primo ministro o con la figura istituzionalizzata nel sistema politico britannico del primo ministro ombra. Lo stesso discorso vale per la Spagna sia nei Popolari che nei Socialisti. In Germania invece i due partiti si distinguono in questo senso con l’accentramento formalizzato nel caso della CDU della Merkel e sporadico per i socialdemocratici. In Francia in entrambi i partiti principali, ovvero il PS e l’UMP non c’è corrispondenza e, forse non a caso, si rintraccia un’estrema frammentazione interna e un elevato numero di correnti. Dunque il quadro è piuttosto variegato in questo senso.

Tuttavia, personalmente trovo la distinzione inutile e foriera di confusioni e divergenze. In un certo senso penso che il caso britannico sia illuminante per razionalità e buon senso nel rapporto tra il leader e il suo partito. L’andamento ha un qualcosa di ciclico. Inizialmente c’è una elezione, le cui modalità sono variate nel tempo verso la maggiore inclusione ma non sono ancora sfociate nello strumento delle primarie. Successivamente il leader trascina il partito e si crea coesione intorno alla sua figura. Ovviamente le elezioni sono il turning point della situazione. La sconfitta può portare, ma non necessariamente come è avvenuto nel caso del centrosinistra italiano, all’elezione di un nuovo leader, la vittoria d’altro canto porta con sé fedeltà e devozione. Da quel momento il partito si plasma a immagine e somiglianza del premier. Fatalmente però la popolarità del primo ministro è destinata a scendere. Alle volte è talmente bassa, durante il periodo in carica, che il partito si può vedere costretto a destituire il primo ministro in carica come è successo a Blair rimpiazzato da Brown. Oppure come nel caso della Thatcher la sostituzione è causata da insanabili contrasti interni. Spesso alla fine delle lunghe esperienze di governo c’è un allontanamento dei leader per evitare di condizionare la nuova fase e i nuovi volti del partito.


Mi sembra un modello di rapporto partito-leader sensato ed efficiente. Molto lontano dal caos imperante all’ interno al PD. Alla base di questo caos, diciamolo senza ulteriori giri di parole ed evitando di nasconderci dietro esigenze organizzative, c’è sempre la solita allergia nei confronti del leader. Ci sono sempre la voglia di presentarsi come differenti dagli antagonisti, ambizioni di potere individuali e fratture generazionali e ideologiche ardue da conciliare. Tutti fattori che sembrano ostacoli alla costruzione di un partito di governo serio e affidabile negli anni a venire.

Valerio Vignoli