Pages

27 marzo 2014

I popoli dello zar

Fonte: laproximaguerra.com

Il 21 marzo, con l’annessione del neo costituito “Distretto federale di Crimea” alla Repubblica Federale Russa, il disegno di Vladimir Putin di dare una risposta netta ed inflessibile al governo ucraino ritenuto illegittimo e golpista ha preso forma. Contro le nuove autorità di Kiev, dove nei banchi di governi siedono alcuni elementi appartenenti a formazioni dell’estrema destra nazionalista, anti-semita e russofoba, il presidente russo ha prontamente accolto le istanze separatiste della penisola di Crimea, abitata da una forte maggioranza russofona, la quale, con l’appoggio delle autorità regionali, delle milizie filo-russe e dei reparti dell’esercito di Mosca, ha deciso di unirsi alla Russia tramite un referendum popolare. Putin ha sostenuto con forza l’azione, con lo scopo di proteggere e garantire la sicurezza a tutti i cittadini russi che si sentivano minacciati dalla “rivoluzione” di piazza Maidan. Non è però la prima volta che il governo russo usa abilmente lo strumento di scudo a protezione di tutti i russi che vivono al di fuori della madre patria per attuare decisive e risolutive azioni di politica estera e condizionare pesantemente il volto dello scacchiere internazionale.

Fonte: leonardopetrocelli.wordpress.com/
Questa vocazione protezionistica è attiva nella politica estera della Russia sin dall’impero zarista. L’ottica però delle azioni degli imperatori di San Pietroburgo era però delineata in quella che potremmo definire una vocazione “internazionalista”, vale a dire l’ergersi a paladino di tutti i popoli slavi e della salvaguardia della cristianità nell’Europa orientale. Innumerevoli le lotte nel corso dei secoli per contrastare l’impero ottomano e liberare i territori slavi dalle mani degli infedeli. L’essere il paladino per la libertà e la difesa delle popolazioni slave contro le ingerenze esterne fu il leit motive della dichiarazione di guerra contro gli imperi centrali da parte dello zar Nicola II, per liberare dal giogo di Austria-Ungheria e Germania le popolazioni della Bosnia, della Serbia, della Slesia, ecc. ecc., e condurle nella sfera di influenza di San Pietroburgo. Questa vocazione nazionalista venne in qualche modo affievolita con la caduta dello zar e l’instaurazione in Russia del potere sovietico, scandito dai richiami della lotta ai nazionalismi e dall’internazionalismo proletario. Nonostante tutto, con l’avvio dell’epoca stalinista, la dichiarata vocazione filo-russofona si rafforzò in maniera notevole, soprattutto quando da parte del Cremlino fu incoraggiata l’immigrazione massiccia di lavoratori russi nelle diverse repubbliche sovietiche. Un atto soprattutto volto a rafforzare l’autorità e il controllo del governo del Cremlino sulle repubbliche federali, ma anche un modo per punire le popolazioni colpevoli di aver supportato una politica anti-comunista. Esempi vistosi e chiarificatori della politica estera russa, soprattutto nel periodo stalinista, sono la massiccia emigrazione di russi nelle repubbliche baltiche, volute fortemente da Stalin per punire le popolazioni locali, accusate di collaborazionismo con le truppe naziste durante la seconda guerra mondiale.

Fonte: it.paperblog.com
La caduta dell’impero sovietico, con la successiva crisi economica in Russia, le difficoltà vistose che l’esercito russo incontrò durante la prima guerra cecena e, in generale, la perdita di peso politico nell’arena internazionale, divennero l’ossessione, a partire dall’anno della sua prima elezione, il 2000, di Vladimir Putin. Il presidente russo decise che era ora che la Russia riprendesse con forza il ruolo di primo piano che le spettava tra le potenze del globo. Uno degli obbiettivi su cui si basa il ritorno prepotente dell’influenza russa in aree come l’Europa orientale e il Caucaso, è il continuo prendere posizione a difesa dei russi che vivono fuori dai confini di Mosca. Il legame tra le minoranze russe e il Cremlino è sempre stato forte negli anni e Putin ha sempre sostenuto le rivendicazioni di queste ultime come la necessità di proteggere tutti i cittadini russi, e in generale l’influenza che la Russia vuole a tutti i costi recuperare nella regione. Gli esempi sono molteplici: nel 2007 in Estonia, il governo decise di rimuovere il monumento che commemorava i soldati sovietici caduti contro il nazismo nella capitale Tallinn; ne seguirono scontri durissimi tra le forze di polizia e la corposa minoranza russa che abita nella capitale baltica, con il bilancio di un morto e 56 feriti, suscitando la reazione durissima di Putin e una serie di contro-misure del parlamento russo che ruppero per un certo periodo il rapporto diplomatico con l’Estonia. L’azione più eclatante a difesa dei movimenti filo-russi però rimane la guerra russo-georgiana del 2008: nell’agosto di quell’anno il governo di Tbilisi decise di sferrare un attacco militare contro le repubbliche separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud, nella quale da anni operava costantemente una guerriglia separatista che mirava all’unificazione dei territori alla repubblica russa. Le truppe russe reagiscono immediatamente, supportando le milizie separatiste e capovolgendo la situazione a loro favore. Solo l’intervento della diplomazia internazionale eviterà che l’intero territorio della Georgia. Mosca riconosce anche l’indipendenza delle due repubbliche e avvia con loro rapporti commerciali e diplomatici. La Russia è anche l’unico paese a riconoscere l’indipendenza dello stato della Transnistria, un lembo di terra tra Moldavia e Ucraina, nella quale abita una forte maggioranza russofona. Indipendente de facto dal 1992 ma non riconosciuta da nessun organismo internazionale, la Transnistria potrebbe essere secondo gli analisti, il prossimo obbiettivo di Putin, notando un significativo spostamento di truppe russe al confino con la Moldavia.

Vero interesse nel proteggere tutte le popolazioni russe? O semplicemente un mero calcolo politico per impedire che molti stati est europei si allontanino dall’orbita di Mosca per avvicinarsi all’Unione Europea? Più facile la seconda ipotesi, ma è ormai chiaro che Putin non ha intenzione di mollare un centimetro riguardo il recupero dell’influenza del Cremlino su gli ex domini sovietici. Le minoranze russe sono il suo miglior cavallo di battaglia, il legame che le tiene legate a Mosca è rimasto inscindibile nel tempo e lo “zar” Vladimir vuole sfruttare ogni minima risorsa per far sentire protette queste popolazioni e soprattutto dare una risposta forte all’occidente: non vogliamo che estranei si immischino negli affari di nostra competenza. Nostalgia dei due blocchi?


Mattia Temporin

25 marzo 2014

L’espansionismo russo moderno e l’attrazione dell’Unione Europea

Fonte: sussidiario.net
Sono diverse le analisi che si possono condurre per spiegare i fatti recenti che hanno coinvolto l’Ucraina e la Russia e che hanno mostrato il temibile ritorno espansionistico della potenza orientale. Per cercare di capire un evento apparentemente semplice, l’annessione della penisola della Crimea alla Federazione russa e i moti di piazza ucraini per liberarsi dal giogo di Putin, ci vogliono quanti più piani d’interpretazione possibili poiché eventi come questi sono sempre il risultato d’innumerevoli forze.
L’articolo scritto dal direttore di questo blog ha preso in considerazione due macro aspetti molto interessanti: la natura storica della Grande Russia che tende ad espandere la sua area d’influenza e sicurezza e la riacquisita ricchezza interna del paese. Questi due solidi pilastri ben argomentati nell’articolo “Tra passato e presente: l’espansionismorusso non è una novità” fanno da base ad un altro elemento che vorrei sottolineare, una forza relativamente nuova ma che nell’ultimo ventennio ha acquisito sempre più peso geopolitico: l’Unione Europea.

Fonte: it.ibtimes.com
Gli anni ottanta per l’Unione Sovietica sono stati i testimoni del disgregamento della grande potenza che non riusciva più a reggersi sulle sue incrinate fondamenta economiche e sociali, un periodo certamente difficile per la grande Russia che però, guidata da un leader illuminato, è riuscita a cambiare ed adattarsi a quello che sarebbe stato il nuovo assetto dell’ordine internazionale. Parallelamente, ad ovest, l’Europa stava continuando a pieno ritmo il suo percorso di integrazione che l’avrebbe portata già nel 1992 a firmare il Trattato di Maastricht che poneva le fondamenta di quella che da lì a poco sarebbe diventata l’Unione Europea.
L’Unione Europea acquisiva una maggiore compattezza proprio mentre alle sue porte il gigante sovietico si sgretolava.

La Russia di Putin ha ritrovato la sua crescita economica interna e una politica estera assertiva e multilaterale, ma ora deve confrontarsi con una nuova potenza che si trova alle sue porte. L’Europa ha attirato come una calamita i paesi dell’ex Patto di Varsavia e attraverso un percorso di democratizzazione li ha inglobati nell’Unione facendoli diventare membri a tutti gli effetti. Bruxelles ha scelto di sfruttare il Soft Power per ampliare la sua zona di sicurezza, ovvero, invece di condurre una politica estera incentrata sulla forza e l’espansionismo militare ha promosso i valori democratici ed i diritti umani così da rendere i paesi a lei confinanti dei “buoni vicini”. Utilizzando uno strumento che nel gergo giuridico viene definito una forza non vincolante, ma che possiede un forte potere di attrattiva nei confronti dei paesi che non hanno una struttura interna propriamente democratica, l’Unione Europea ha eliminato la necessità della forza in cambio della condizionalità e della democratizzazione.

Fonte: sussidiario.net
La nuova sfida per la Russia di Putin è, dunque, quella di doversi confrontare con una potenza che ha delle caratteristiche totalmente nuove ed inedite, è strutturata come un’organizzazione sovranazionale che però agisce (o cerca di agire) come una sola forza, non è una potenza militare, è un Soft Power piuttosto che un Hard Power. Si può dire che l’Unione Europea è la nemesi dell’ex Unione Sovietica, è la nuova arrivata che si è messa in mezzo nella storica partita tra Stati Uniti e Russia.
L’azione di Putin nei confronti della Crimea può quindi essere vista alla luce di questa variabile. L’Unione Europea non è una minaccia militare, non è una potenza espansiva ma è una grandissima forza democratica che attira ed invoglia paesi come l’Ucraina a trasformare le loro istituzioni interne in quel modello che le istituzioni europee hanno ben in mente e iscritto nei trattati, fatto di libere elezioni, pluripartitismo, democrazia rappresentativa e rispetto dei diritti umani.

L’attrazione soft dell’Europa è silenziosa ma reale, Putin riuscirà a giocare un ruolo altrettanto mite e diplomatico accontentandosi solo di annettere una zona, come la Crimea, storicamente ed etnicamente pro Russia?


Gaia Taffoni

20 marzo 2014

Venezuela: the silenced truth

Questo articolo è ospitato da The Bottom Up in lingua originale, infatti è stato scritto per noi da Vincente Blanco, nato a Caracas, Venezuela e oggi studente di scienze politiche in Francia. Abbiamo deciso di proporre anche una versione tradotta in italiano dell'articolo, disponibile al seguente link.


In 1998, Venezuela elects a new government amidst a political crisis, politicians were regarded as incapable of delivering solutions and parties were discredited. The country turned its eyes to candidates that were far from the political scene believing that the lack of experience was the solution to a problem that the experienced ones were no longer capable of solving. As a result, a democratically elected regime dramatically changed the dynamics of the country, taking control of public spaces step-by-step until becoming what it is today.

Changes to the constitution allowed unlimited reelection. Also, members of the supreme court of justice are appointed by hand as well as the elections council (CNE), and the president of the National Assembly. All of them must publicly sing the chorus “Patria, Socialismo o Muerte” to gain the respect of the government and remain in power, militaries were also obliged to support the party in power to complete the power puzzle Venezuelans face today. Not satisfied with obtaining all public spaces, the government has in the last 15 years managed to intimidate the media, expropriate channels, enterprises, buildings and farms in the name of the “people”, ultimately silencing the voices of millions of Venezuelans.

 
This is a photo of Leopoldo Lopez incarceration, February 18th. 2013

But there is a reason behind this thorough campaign seeking to silence each possible public space, not allowing the world to know the truth. And the truth is that corruption has destroyed every part of our country, because even with the high oil prices and the revenues received each year, accounting for 60 billion dollars, they were not capable of transforming the country. This lack of capacity to bring welfare has been compensated with oppression.

The truth that can’t be informed is that inflation reached 57% last year and a minimum wage of 3500 Bolivares can no longer buy food for a month at price 9800 Bolivares. Our currency has devalued more than 800% in real terms and the government is hiding this with currency exchange restrictions, at the same time, 24.000 crimes occurred in the country in 2013 and only 1 of every 10 crimes finds justice. While all this happens, the so-called socialists accumulate more wealth than the best paid CEO’s according to Forbes Magazine.

Some days ago, the Minister for Education clearly stated: “We are not going to take people out of poverty so they become middle class and join the opposition”, sending the clear message that they need people to be poor so they can spend less resources in the crumbs that make the votes happen. It is the revolution of poverty, disguised of hope and the idea of a better nation, one that is far from existing.

Venezuelans were forced to take sides as former president Chavéz stated: “You are either with me, or against me”. And this one-sided “democracy” developed into this monster of promises, however, lack of food in the supermarkets and violence, which has been blamed to an opposition that has no media to fight back, have made the people take the last resort at hand: the streets. After one month of protests, more than 1100 people have been incarcerated, including political leaders, people have been tortured and 25 students have lost their lives, as protest increase, the regime has increase intimidation and repression. It seems like it will be a long path to freedom and democracy, but as the now incarcerated opposition leader said: “We are at the right side of history".



Vincente Blanco

Traduzione qui: Venezuela: la verità imbavagliata




Venezuela: la verità imbavagliata

Di seguito, la traduzione dell'articolo Venezuela: the silenced truth di Vicente Blanco.


Nel 1998, quando in Venezuela venne eletto un nuovo governo durante una crisi politica, i politici venivano visti come incapaci di proporre soluzioni e i partiti erano privi di credibilità. Il paese quindi si rivolse a candidati lontani dalla sfera politica, credendo che la mancanza di esperienza (in questa sfera) fosse la soluzione ad un problema che gli attori politici tradizionali non erano più in grado di risolvere. Risultato: un regime democraticamente eletto ha drammaticamente cambiato le dinamiche del paese, prendendo il controllo degli spazi pubblici passo dopo passo, fino a diventare ciò che è oggi.

Modifiche alla Costituzione hanno concesso (al regime) di poter essere rieletto illimitatamente e la nomina personale dei membri della Corte Suprema di Giustizia, del CNE (Consejo Nacional Electoral, “consiglio nazionale elettorale”, si occupa di verificare la trasparenza e la legittimità delle elezioni) e del presidente dell’Assemblea Nazionale. Tutti questi devono cantare pubblicamente lo slogan “Patria, Socialismo o Muerte” per ottenere l’approvazione del governo e restare in carica; in più anche le forze militari sono state costrette a supportare il partito per completare il gioco di potere di fronte al quale si trovano ora i Venezuelani. Non soddisfatto di aver occupato tutti gli spazi pubblici, il governo negli ultimi 15 anni è riuscito a controllare con la forza i media e ad espropriare canali, imprese, edifici ed aziende agricole, mettendo così a tacere la voce di milioni di Venezuelani.


Tuttavia c’è una ragione dietro a questa meticolosa campagna per zittire l’opinione pubblica: non permettere al mondo di conoscere la verità. E la verità è che la corruzione ha distrutto ogni aspetto del nostro paese, dato che, nonostante l’alto prezzo del petrolio ed i ricavi ottenuti ogni anno (che ammontano a 60 miliardi di dollari), non sono riusciti a migliorare il paese. Questa incapacità di portare al benessere è stata compensata con l’oppressione.

La verità che non può emergere è che l’inflazione ha raggiunto il 57% lo scorso anno e che lo stipendio minimo di 3500 Bolivares non può più comprare cibo per un mese, che ora costa 9800 Bolivares. La nostra moneta è stata svalutata di più dell'800% e il governo lo nasconde attraverso restrizioni valutarie e di cambio. Allo stesso tempo, 24.000 persone sono state uccise nel 2013 e solamente un caso su 10 viene risolto. E mentre accade tutto questo, i cosiddetti socialisti accumulano più ricchezza e benessere del più pagato CEO (amministratore delegato), secondo la rivista Forbes.

Qualche giorno fa, il Ministro dell’Istruzione ha chiaramente affermato: “Noi non stiamo portando i cittadini fuori dalla povertà affinchè non diventino parte della classe media e si uniscano all’opposizione” inviando in questo modo il chiaro messaggio che il governo ha bisogno che la popolazione sia povera per spendere meno risorse nelle briciole che fanno arrivare i voti. E’ la rivoluzione della povertà, travestita da speranza e dall’idea di una nazione migliore, una che sia lontana da quella esistente.
I Venezuelani sono stati obbligati a schierarsi, come ha detto l’ex presidente Chavez “O siete con me, o contro di me.” E questa democrazia unilaterale si è evoluta in un mostro fatto di promesse (non mantenute). Tuttavia la mancanza di cibo nei supermercati e la violenza, attribuita ad un’opposizione in realtà priva di qualsiasi mezzo per opporsi al regime, ha costretto la gente a ricorrere all’ultima risorsa rimasta: la strada. Dopo un mese di proteste, più di 1100 persone sono state arrestate, inclusi alcuni leader politici, inoltre un numero imprecisato di persone è stato torturato e 25 studenti hanno perso la vita. Man mano che la protesta cresce, il regime aumenta il livello di violenza e di repressione. Sembra che sarà lungo il percorso verso la libertà e la democrazia, ma come il leader dell’opposizione ha dichiarato dal carcere “Siamo dal lato giusto della Storia.”

Vicente Blanco

Traduzione a cura di Angela Caporale


17 marzo 2014

Tra passato e presente: l'espansionismo russo non è una novità

L’invasione della Crimea da parte dell’esercito russo sembra avere risvegliato vecchi timori dell’Occidente.
La paura che serpeggia sulle due sponde dell’atlantico è quella di un ritorno ad un conflitto ideologico ma non solo tra est ed ovest, tra Russia e paesi NATO. Tornano in voga espressioni come sfera d’influenza, politica di potenza ed interessi nazionali. Si accumulano su testate più o meno specialistiche commenti di analisti ed esperti che tentano di dare spiegazioni degli ultimi eventi occorsi in Ucraina e di prevederne gli sviluppi e le conseguenze. L’espansionismo e l’assertività del presidente Putin preoccupano e allarmano ma, al contempo, incuriosiscono. Qual è la ragione di queste provocazioni e di questi azzardi nei confronti della comunità internazionale? Cosa lo spinge a tentare queste iniziative pirotecniche e altamente rischiose? È solo un frutto della sua megalomania e del suo ego piuttosto smisurato?
Fonte: temi.repubblica.it

La strategia espansionista o imperialista (dato che in questo caso le rivendicazioni territoriali hanno a che fare con una regione in cui la maggioranza della popolazione è russofona e che fino a vent’anni fa faceva parte dell’URSS) portata avanti dall’ex agente del KGB ha due spiegazioni principali. La prima affonda le radici in un passato lontanissimo, remoto oserei dire, ed è stata cementata nel corso dei secoli ed, in particolar modo, nel secolo scorso. La seconda invece è connessa con fenomeni in corso di svolgimento.
George Kennan - Fonte: wikipedia.it
In primo luogo dunque, a mio modesto avviso, l’espansionismo russo ha origine da un dato geopolitico che si è evoluto in un fattore psicologico e in un’abitudine strategica. La Russia, sotto le sue più svariate denominazioni, ha sin dal suo concepimento occupato una porzione immensa di territorio e, di conseguenza, dovuto difendersi da una grande molteplicità di nemici. Questa vulnerabilità ha prodotto un senso di insicurezza nelle élites che si sono succedute al potere. Il senso di insicurezza, al limite della paranoia, è stato spesso declinato attraverso una politica estera offensiva e provocatoria. Insomma, alla base c’è una questione geografica che ha dato luogo ad una modalità di comportamento e che, infine, si è solidificata ed è diventata quasi una ritualità, una routine. Questa tesi, che richiama il costruttivismo, la si può ritrovare nel “Lungo Telegramma” di George Kennan, diplomatico e storico statunitense. Tale documento diede avvio alla strategia americana del Containment sotto la presidenza Truman, e, sostanzialmente, segnò l’inizio della Guerra Fredda. Nonostante questo report sia stato scritto nel 1946, trovo che la tesi di Kennan sia ancora attualissima e che la sua validità sia intatta. Le sue parole risuonano in questi giorni più familiari ed eloquenti che mai.

 At bottom of Kremlin's neurotic view of world affairs is traditional and instinctive Russian sense of insecurity […] But this latter type of insecurity was one which afflicted rather Russian rulers than Russian people; for Russian rulers have invariably sensed that their rule was relatively archaic in form fragile and artificial in its psychological foundation, unable to stand comparison or contact with political systems of Western countries. For this reason they have always feared foreign penetration, feared direct contact between Western world and their own, feared what would happen if Russians learned truth about world without or if foreigners learned truth about world within. And they have learned to seek security only in patient but deadly struggle for total destruction of rival power, never in compacts and compromises with it.

La seconda motivazione di questa “irrequietezza putiniana” va probabilmente ricercata in dinamiche interne al paese che fino a pochi gironi fa ospitava a Sochi le olimpiadi invernali e si esaltava di fronte alle brillanti performance degli atleti di casa. Nel 2013 il prodotto interno lordo ha rallentato in maniera significativa la sua crescita attestandosi al 1,3%. Inoltre la moneta russa, il Rublo, dall’inizio dell’anno ha perso il 5% del suo valore nei confronti del dollaro. Proprio il gravoso onere rappresentato dall’organizzazione dei giochi più costosi della storia (le stime parlano di un totale di 51 miliardi di dollari complessivamente) non ha aiutato certamente il quadro economico. Insomma quello che veniva indicato da analisti del settore come un paese destinato ad una repentina ripresa dopo la terribile crisi degli anni ‘90 si sta bloccando. Il suo leader in pectore forse ha pensato che quest’azione improvvisa potrebbe distrarre l’opinione pubblica da questi dati deludenti e contribuire a rinvigorire il forte sentimento nazionalista presente in Russia. Il tentativo di spostare l’attenzione sulla politica estera è reso ancora più cogente dal rafforzarsi del dissenso interno, testimoniato dal discreto successo riscosso dal blogger anti-regime Alexei Nevalny alle elezioni municipali della capitale Mosca (per dovere di cronaca allo stesso Navalny è stato da poco proibito l’accesso a Internet in seguito ad una violazione dell’obbligo di non lasciare Mosca in riferimento ad una precedente condanna).
Non deve quindi sorprendere questo revival imperialista. Deriva da una commistione tra una storia di grandezza che passa attraverso zar autoritari e spietati dittatori e ragioni di politica domestica. Temo che dovremo abituarci a questo atteggiamento nuovamente provocatorio e assertivo della Grande Madre Patria Russa.

Fonte: wikipedia.it
Non lo trovo comunque nemmeno così preoccupante al momento. Negli USA mi sembra che gli osservatori siano molto più allarmati dell’amministrazione Obama. Alla Casa Bianca la linea dura non mi sembra presa in considerazione molto seriamente. La crisi si potrebbe peraltro presto risolvere da sola. La borsa di Mosca e i titoli delle maggiori compagnie petrolifere sono crollati dall’inizio delle operazioni in Crimea e la minaccia delle sanzioni internazionali mette paura ad un’economia che, come già detto, sta dimostrando alcune fragilità.


Molto rumore per nulla, forse. Ma la minaccia dell’uso della forza, la proiezione di potenza e il ricatto non sono strategie nuove al Cremlino. Ci aveva già avvertito Kennan quasi settant’anni fa.

Valerio Vignoli

15 marzo 2014

Sveglia!!1!1!!!!!!! - Tutto quello che non ti diranno sulla comunicazione politica del M5s

Tutto quello che non ti diranno sulla comunicazione politica del M5S

Fonte: qn.quotidiano.net

Prendete la peggiore crisi economica dal '29, una classe dirigente per ampissime parti inadeguata al ruolo, partiti svuotati dal loro valore e dalle loro funzioni, vent'anni di berlusconismo e le sue conseguenze economiche,sociali e morali, un assetto istituzionale non particolarmente efficiente e una delle popolazioni statisticamente meno istruite d'Europa. Ora aggiungete grandi dosi di sfiducia nelle istituzioni e diffidenza verso la politica, un ex comico ripetitivo e volgare ma empatico, una grossa impresa di comunicazione e marketing, teorie complottistiche e qualche spruzzata di odio e frustrazione. Quello che ne viene fuori è un partito capace di andare alle elezioni e prendere il 25% dei voti.

Fonte: rubano5stelle.it
Il Movimento 5 Stelle non è solo l'ennesimo partito populista che fa il botto in periodo di crisi e si esaurisce in un paio di legislature. È un vero e proprio servizio offerto dalla Casaleggio Associati che fornisce risposte semplici a problemi complessi. Per ogni inefficienza dello Stato, ogni malfunzionamento, ogni incongruenza c'è sempre un capro espiatorio, qualcuno da incolpare, un giro losco e sconosciuto. Il trucco è incanalare la frustrazione e la rabbia delle persone contro qualcosa o qualcuno, deresponsabilizzarle. Se a 30 anni non hai nemmeno il diploma perchè studiare è troppo impegnativo, non hai un lavoro perchè non vuoi abbassarti a fare lavori umili e passi le giornate al computer aspettando che ti venga offerto un  posto da astronauta, centravanti del Real Madrid o ginecologo di Gwyneth Paltrow non è colpa tua, la colpa è del governo, delle lobby e del gruppo Bilderberg. Ed è tutto scritto in questo link con i punti esclamativi e l'immagine dell'anziano che rovista nella spazzatura, non c'è bisogno di leggere un pippone di due pagine come quelli dei giornalisti asserviti al potere ne di verificare la fonte, basta che tu lo condivida su Facebook e sei già un rivoluzionario che lotta per il suo paese. Se poi hai altri dubbi puoi andare a consultare il Blog di Beppe Grillo, quello tappezzato di banner pubblicitari, che è anche la sede legale (non è uno scherzo) del partito, che noi chiamiamo Movimento perchè i partiti sono cattivi e ci tolgono il pane.

La comunicazione pentastellata è basata su un concetto semplice quanto efficace: dividere il mondo i due parti, i buoni e i cattivi, gli onesti e i ladri. In politica, da una parte ci siamo noi, che siamo gente comune e rinunciamo agli stipendi, dall'altra ci sono tutti gli altri partiti, che vi rubano i soldi e hanno causato la crisi. Nel campo dell'informazione invece gli avversari sono i giornalisti asserviti ai poteri forti che vi nascondono la realtà (“..ma nessuno lo dice!!1!”) e che sono tutti uguali, ma se vi svegliate e volete informarvi davvero avrete tutte le risposte che cercate nella Rete, entità mistica, che attraverso il sacro Blog o altre importanti testate come Signoraggio.it o nocensura.com vi rivelerà gli sporchi segreti del mondo. Poi la televisione, apparentemente boicottata, sfruttata proficuamente con un abile stratagemma: noi non andiamo in televisione, sarà la televisione a venire da noi. Dietro al rifiuto di partecipare a qualsiasi telegiornale, programma di divulgazione o talk-show (anche questi sono tutti al servizio dei partiti) c'è la volontà di non sottoporsi ad un confronto diretto, ma fare in modo che questi trasmettano dichiarazioni, azioni e comizi in primis di Beppe Grillo e poi, occasionalmente, delle altre figure del M5S, senza che questi vengano “contaminati” dall'interazione con eventuali detrattori. In questa maniera il Movimento riesce a  mantenere l'immagine di forza antisistema rimanendo comunque al centro del dibattito politico attraverso lo scalpore del rifiuto.

Fonte: cookednews.wordpress.com
Nella dialettica del M5S il luogo comune diventa un dato di fatto, il caso estremo un indicatore medio e le banalità argomentazioni convincenti. In periodo di crisi è più facile e molto più proficuo raccontare all'italiano medio che dobbiamo uscire dall'Euro che fa comodo solo alla Merkel e ai massoni di Bruxelles piuttosto che spiegargli le clausole del trattato di Maastricht alle quali i paesi dell'area Euro sono vincolati o i vantaggi del mercato comune. È più conveniente strumentalizzare il suicidio di un imprenditore o di un anziano piuttosto che progettare un piano di rilancio della piccola-media impresa o razionalizzare il sistema pensionistico. Fa più audience strillare l'impeachment (che tra l'altro non è nemmeno previsto nella Costituzione italiana) al Presidente della Repubblica che collaborare con le altre forze politiche per fare una legge elettorale almeno decente. È meglio controllare i parlamentari in maniera autoritaria dietro allo scudo della democrazia diretta piuttosto che confrontarsi e mettersi in discussione all'interno del partito.


Il successo del M5S sta nel dire alla gente quello che vogliono sentirsi dire. Nel confronto in streaming (posto che fare politica in streaming è come cercar moglie su Chatroulette) tra il neo-premier Renzi e Beppe Grillo andato in scena il 19 febbraio c'è l'essenza del Movimento: il comico genovese non vuole trovare nessun punto d'incontro col mondo della politica, non vuole nemmeno confrontarsi. Zittisce l'interlocutore e inizia a snocciolare gli ormai soliti temi di ogni suo spettacolo o comizio, parlando direttamente al pubblico e dicendo quello che ogni cittadino frustrato e ignorante vorrebbe dire ad un qualsiasi politico. E in una società di telespettatori perpetui, forconi improvvisati e rivoluzionari da tastiera risulta tremendamente efficace.

Fabrizio Mezzanotte

13 marzo 2014

#OuiJeVote , quando il voto si fa social

PARIGI - Una tranquilla serata su Twitter, in cerca di ispirazione, può capitare di trovare in cima alla lista dei Trending topics (gli argomenti più discussi) un eloquente tanto enigmatico #OuiJeVote, sponsorizzato. Probabilmente questo accade semplicemente perché sono in Francia, ma la curiosità ha prevalso e ho fatto una piccola ricerca. Il Governo d'Oltralpe guidato dal socialista Jean-Marc Ayrault ha deciso di lanciare questa campagna socialmedia friendly (Facebook, Twitter, Youtube e Vine sono i canali scelti) per le elezioni municipali che si terranno il 23 e il 30 marzo: l'obiettivo è, da un lato, spiegare le novità introdotte e, dall'altro, cercare di ridurre la percentuale di astensionismo, particolarmente elevata tra i giovani.
Tocca, quindi, ai seri funzionari governativi frequentare i luoghi virtuali più amati dai giovani: oltre all'hashtag che dà il nome alla campagna, spot, video e slogan sono tutti ispirati al linguaggio pop e il “votare” viene associato all'attività tipiche sui social: “Ti piace? Vota!” oppure “Votare, è un cinguettio dal vivo”. 

Sul sito OuiJeVote.fr, collegato a quello del ministère de l'Intérieur e creato appositamente per creare una community attorno alle elezioni, sono raccolti tutti i messaggi, nonché gli strumenti pedagogici, dépliant informativi e le novità su come votare: un kit di comunicazione elettorale 2.0 che ha però già sollevato qualche perplessità.
C'è chi ha pensato si trattasse di un fake, ipotesi smentita sia dai politici stessi sia dalla sponsorizzazione di questi giorni, mentre, seguendo l'hashtag, ci si imbatte in battute ironiche in tipico stile 140 caratteri: “Qualcuno ha inventato lo slogan 'Votare, è un cinguettio dal vivo'. Se è su Twitter mi piacerebbe molto poterlo defolloware” (@Jpguedas) oppure “'Votare, è un cinguettio dal vivo'? ← Nessuno ti ascolta dopo cinque minuti!” (@incarnare). Anche Denis Pigaud su Libération esprime alcune perplessità sullo slogan: “Votare, è un cinguettio dal vivo” rappresenta a suo avviso un vero e proprio controsenso dal momento che accosta due azioni completamente diverse: induce a pensare che il voto sia una manifestazione reale di un semplice messaggio, lasciando intendere che sia qualcosa di immediato, leggero, ironico e che questi elementi possano rigenerare la democrazia. Un messaggio piuttosto lontano dal voto, inteso tradizionalmente come nobile dovere civico, ponderato e figlio di profonde riflessioni.

Per poter valutare l'efficacia della campagna, bisognerà attendere i risultati delle consultazioni, tuttavia dal volume di messaggi online si può notare come la semplicità del claim abbia incoraggiato la diffusione e il coinvolgimento di molti utenti, in maniera senza dubbio innovativa. Inoltre #OuiJeVote è un interessante esempio di intreccio originale nell'utilizzo dei media: attraverso un mix di radio, video, social-slogan raggiungere in maniera efficace un pubblico, quello dei giovani, che tende a sfuggire l'influenza di giornali e televisione, diventa non solo possibile, ma anche divertente. Gli utenti vengono, inoltre, stimolati a prendere attivamente parte alla campagna, rendendola virale, e aggiungendo il loro personale contributo a parole, video o immagini. Un ulteriore elemento interessante è il tentativo da parte del Governo di ri-dipingere (e ridefinire) se stesso attraverso la propria comunicazione e di rinunciare, quindi, almeno in qualche frangente, alla serietà istituzionale che rischia di diventare segno di distanza e freddezza nei confronti dei cittadini, una delle principali cause della bassa partecipazione elettorale dei giovani.

Angela Caporale
@puntoevirgola_

Post scriptum: durante queste consultazioni verrà eletto anche il nuovo sindaco della capitale, l'elemento interessante alla luce del dibattito italiano di questi giorni sulle, cosìddette, "quote rosa" è che i due principali contendenti sono la socialista Anne Hidalgo e l'ex portavoce di Nicolas Sarkozy Nathalie Kosciusko-Morizet. La loro candidatura è emersa in un contesto privo di quote, anzi il problema in queste ore a Parigi pare sia piuttosto come chiamare il futuro inquilino de l'Hotel de Ville: le Maire (al maschile), Madame le Maire oppure la Maire (che per alcuni assomiglia troppo a "la mére", la madre)?


9 marzo 2014

SundayUp: Her (2014, di Spike Jonze)

Ci sono quelle canzoni che fanno la storia e quando ti capita di risentirle un giorno alla radio, per caso, mentre stai guidando, domandi a chi è in macchina con te: “Ma ti ricordi il video di questa canzone?”. L'indimenticabile Christopher Walken che se la balla a casa, prendendo il volo sul ritmo di Weapon of Choice di Fatboy Slim, oppure la coreografia di quei soggetti venuti fuori direttamente dai magici – e trashissimi – anni '90, con le loro tute colorate, in un altro video di Fat Boy Slim, Praise you? Stephen Malkmus senza testa che canta Shady Lane? Gli Weezer catapultati nel mondo di Happy Days in Buddy Holly, quei tre ragazzacci dei Beastie Boys in versione poliziesca per Sabotage? Per non parlare della ginnasta che esegue delicati virtuosismi sulle note elettriche di Electrobank dei Chemical Brothers, o di Björk che ci intima a fare silenzio mentre It's oh so quiet? Credo di aver reso l'idea. Apparentemente non hanno nulla in comune, ma invece sì. Il regista di tutti questi video è Spike Jonze.

Che Jonze se ne intendesse di buona musica già lo sapevamo, ma con la colonna sonora del suo ultimo film, Her, ha dato il meglio di sé. A curarla infatti sono stati gli Arcade Fire, con i quali il regista aveva già collaborato per la realizzazione del videoclip di The Suburbs. È musica per le orecchie degli spettatori anche la voce della donna di cui si innamora il protagonista Theodore (Joaquine Phoenix), prestata dalla splendida Scarlett Johansson. Per questa volta però dovrete accontentarvi della sua voce, già, perché non la vedrete per tutto l'arco del film. Il motivo? La donna di cui si innamora Theodore è un sistema operativo OS1 dal nome Samantha. In molti avevano già provato ad affrontare questa tematica, ma nessuno fin'ora era riuscito a portarsi a casa un premio Oscar alla sceneggiatura. Jonze è infatti riuscito a tracciare e raccontare quasi interamente tutti gli aspetti che possono caratterizzare un tipo di rapporto del genere, senza scadere nel banale, eppure lasciando impressa la sensazione che il rapporto tra queste due “persone” (passatemi il termine), non abbia nulla da invidiare ad un rapporto normale.

Spike Jonze Phoenix
Joaquin Phoenix in Her
Theodore svolge un lavoro molto particolare: si occupa di scrivere lettere per gli altri. In una giornata come tante altre viene colpito dalla réclame accattivante di un nuovo sistema operativo e decide di acquistare uno per il suo computer. È così che nasce Samantha, basata sul DNA di tutte le persone che l'hanno progettata, in grado di crescere e svilupparsi minuto per minuto, imparando dalle proprie azioni. Esattamente come per tutti noi esseri umani. Samantha ha però una “mente” universale e in quanto tale anche in grado di provare emozioni, che la portano a scoprire l'amore, attraverso la relazione con Theodore. Lui ha da poco rotto con la sua ex moglie, e sta cercando il coraggio per firmare le carte per il divorzio. Da tempo non riesce più ad avere una relazione con nessun'altra donna, si trova spesso a camminare per le strade della sua città, come un flâneur che osserva, perdendosi, la realtà circostante, e con essa i soggetti umani, ai quali si ispira per scrivere le sue lettere. Samantha arriva come un fulmine a ciel sereno, in una vita vuota, il cui unico tocco di colore (non in senso metaforico) è dato dai maglioncini e dalle camicie di colore rosso che imperano nell'armadio di Theo. Tra i due nasce e cresce una relazione ben più profonda di quello che si sarebbero mai potuti aspettare: si capiscono, si aiutano, si divertono, fanno l'amore, parlano. Assieme. È una relazione che ha i suoi alti e bassi, come quelle di chiunque altro: c'è la gelosia, l'assenza – a chi non manca il proprio partner nelle relazioni a distanza? – , il dubbio e l'abbandono. In particolare il tema dell'assenza corporea di Samantha è quello che pervade l'intera pellicola. Samantha c'è, Theo sente la sua voce, ma d'altro canto fisicamente non c'è. Possono parlarsi ma non possono toccarsi. Allora forse è vero ciò che dice Barthes:

All'assente, io faccio continuamente il discorso della sua assenza; situazione che è tutto sommato strana; l'altro è assente come referente e presente come allocutore. Da tale singolare distorsione, nasce una sorta di presente insostenibile; mi trovo incastrato fra due tempi: il tempo della referenza e il tempo dell'allocuzione: tu te ne sei andato (della qual cosa soffro), tu sei qui (giacché mi rivolgo a te). Io so allora che cos'è il presente, questo tempo difficile: un pezzo di angoscia pura.  
[Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso]
Spike Jonze
Theodore e Samantha vivono l'angoscia dell'assenza, compensata però dalla gioia del racconto quotidiano. Comprendere che l'altro non è un possesso, l'altro non è dominio tuo, ma piuttosto un'incredibile risorsa momentanea della quale puoi gioire oggi, così come tante altre persone assieme a te, senza avere la certezza di un domani. Vivere l'altro nel suo essere altro da te, senza volerlo cambiare, solo per il puro desiderio di condividere. “Happiness real only when shared”, per usare le parole tanto inflazionate quanto vere di Cristopher McCandless.

Nel complesso il film e le tematiche sono portate avanti con grande maestria da Spike Jonze. Questo è solo il quarto film per lui, ma assieme a Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee vanno a costituire una tripletta imperdibile nel panorama del cinema contemporaneo. Potrà forse risultare in alcuni punti un po' oscuro, ad esempio rimane irrisolto il dubbio su come i due possano avere rapporti sessuali, Jonze infatti oscura lo schermo durante il loro primo rapporto, e ci lascia ascoltare i loro gemiti. Non è nemmeno chiaro perché, sul finale, tutti gli OS dovranno andarsene. Ma probabilmente non è determinante ai fini della comprensione del film. Certo, lascia l'amaro in bocca vedere quelle masse di persone grigie che camminano per strada senza guardarsi e senza parlare tra loro, ma comunicando solo con il proprio OS. Lascia intravedere uno spiraglio sul futuro abbastanza inquetante, poiché forse molto vicino a noi.

Roberta Cristofori