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23 dicembre 2013

L'eredità di un uomo eccezionale

E infine venne il giorno. Il giorno del lutto e del pianto, il giorno dei canti e dei balli. Il giorno in cui il Sudafrica dovette fare i conti col proprio presente perché anche il suo passato, Nelson Rolihlahla Mandela, alla fine aveva ceduto ai propri 95 anni.

Mandela è stato sicuramente un incredibile combattente e uno spirito leggendario e su questo è ben difficile trovare qualcosa da obbiettare. Anche le critiche (soprattutto quella di aver disatteso la Carta della libertà dell’African National Congress, una dichiarazione di principi che chiedeva profonde riforme soprattutto in campo economico e sociale) che si addensano sulla sua figura non tengono in conto del periodo storico e della situazione in cui si trovava il Sudafrica nel ‘94. Si trattava di un paese che usciva da quasi cinquant’anni di rigida separazione razziale e che ancora vedeva al suo interno crescere e prosperare una folta comunità bianca, impossibile da ignorare o da cancellare. Anche per questo, i paragoni utilizzati dai critici di Mandela (in questi giorni si è sentito evocare soprattutto lo Zimbabwe di Mugabe) appaiono decisamente troppo semplicistici per stare in piedi: il Sudafrica del 1994 era un paese in transizione e il suo primo presidente nero (sicuramente dotato di una tempra eccezionale) era prima di tutto un leader politico conscio di tutti questi aspetti. 

Mandela a Robben Island
Ma, pur rispettando enormemente Mandela, non è di lui che vogliamo parlare qui. Bensì di quello che si troveranno per le mani, oggi, gli abitanti del paese che egli ha contribuito a (ri) fondare quasi vent’anni fa. 
Egli dovette affrontare un apparato militare e poliziesco reso folle dal terrore di dover affrontare orde di neri esasperati e condannati alla miseria perenne. Oggi i ventenni sudafricani devono però barcamenarsi soprattutto per trovare un lavoro, proprio come milioni di altri loro coetanei sparsi per il globo. “Noi giovani siamo meno impressionati dal miracolo del nuovo Sudafrica. Abbiamo frequentato scuole miste, all’università abbiamo avuto accanto persone di tutti i tipi e non siamo mai stati costretti a portarci dietro un permesso per entrare nelle ‘zone bianche’ delle città. Il Sudafrica del dopo apartheid per noi è la norma”, dice Sipho Hlongwane, giornalista sudafricano, columnist del quotidiano Business Day. 
Il Sudafrica - come molti paesi dell’enorme continente di cui la rainbow nation è parte - è una nazione complicata; e l’occhiata superficiale a cui ci costringe lo spazio di un articolo scritto a migliaia di kilometri di distanza da dove accadono i fatti che qui raccontiamo non aiuta certo a cogliere questa complessità. Iniziando dagli indicatori economici possiamo trovare conferma di questa difficoltà di analisi: l’andamento del pil sudafricano è stato spesso altalenante ma oggi mantiene un ritmo di crescita costante: dai 5.760 dollari del 1990 ai 6.679 nel 2000 fino al balzo (stimato) del 2011 che ha visto il primo tra i nuovi “leoni africani” arrivare a toccare quota 11.400 dollari. Anche l’occupazione ha dato segnali positivi passando dal 48,4 per cento di persone che lavoravano nel 1990 fino ad un 52,2 per cento raggiunto dieci anni dopo. 

Le condizioni di vita degli abitanti del Sudafrica dovrebbero essere migliorate se si pensa che la spesa pubblica per la sanità in percentuale rispetto al Pil è cresciuta dal 2,9 per cento nel 1995 al 3,4 per cento del 2005. Eppure la speranza di vita media continua ad abbassarsi (era di 62,1 anni nel 1990, 51,6 nel 2006 e 49,48 anni nel 2013) e la diffusione dell’Hiv è tuttora un grave problema (si stima che oggi il fenomeno colpisca una fetta della popolazione tra i 15 e i 49 anni pari al 17,9 per cento) e con l’età media degli abitanti che si aggira sui 25 anni e mezzo, in un paese in cui la poligamia è consentita è anche un problema di una potenziale vastità che spaventa.


I dati insomma, sono contrastanti e non sempre positivi. Ma, come ben sappiamo, ogni tendenza può essere invertita se a governarla vi è una classe dirigente capace e illuminata. Ma, come ricorda sempre Hlongwane: “l’Anc è ricorso ai proclami populisti per mantenere voti e potere” e invece di preoccuparsi dei crescenti squilibri etnici “è diventato progressivamente un partito a base razziale, i suoi iscritti preferiscono gli abiti di Gucci e il sushi alle uniformi militari e alla lotta”. Questo sentimento è forte soprattutto nella maggioranza nera e povera che ha assistito sì al cambio di regime ma ben poco ha visto in termini di giustizia sociale, mentre criminalità e violenza sono progressivamente aumentate tanto da non sembrare più fenomeni contenuti e limitati nelle zone degli slum che, del resto, finiscono sempre più spesso per confinare con alberghi di lusso dove trovano ospitalità i principali esponenti della nuova élite nera. Le figure politiche di spicco di questa piccola cerchia di fortunati non possono dirsi estranei a scandali e veri e propri reati, a partire dal presidente Jacob Zuma, leader dell’Anc la cui nuova residenza privata a Nkandla è costata 21 milioni di dollari ai sudafricani, per passare al suo vice e (supposto) futuro successore Cyril Ramaphosa; partito come sindacalista e compagno di lotta di Mandela oggi Ramaphosa è un uomo d’affari molto potente e molto indagato. Neppure le giovani generazioni fanno ben sperare se Julius Malema, leader della Lega giovanile dell’Anc, a trent’anni suonati è riuscito a farsi cacciare dal partito per motivazioni che variano a seconda della persona con cui parli: debiti e evasione fiscale per i detrattori, attacchi all’establishment di Zuma per i sostenitori. Di sicuro non una bella figura per il partito al potere. 

La mitizzazione di cui è stato oggetto Mandela ha reso difficile separare l’uomo dal movimento, così come scrive Gary Younge, The Guardian, ma soprattutto, da un’ottica esterna al paese africano, ha reso difficile scindere l’uomo dal paese. I fischi risuonati nel Soccer City Stadium di Johannesburg alla commemorazione per la morte di Madiba e poi di nuovo alla cerimonia funebre nei pressi di Qunu, il villaggio che diede i natali all’ex presidente del Sudafrica, hanno mandato un messaggio ben preciso alla classe dirigente della nazione arcobaleno: chi ci rappresentava degnamente non c’è più ed oggi al suo posto siede qualcuno che non riconosciamo. L’ideale unione che si era creata fra un popolo ed il suo presidente si è dunque spezzata e quei fischi ne rappresentano la peggiore delle colonne sonore. Ma, come abbiamo evidenziato poco sopra, una parte di questo stesso popolo considera l’attuale democrazia con cui è cresciuta come un fattore naturale e si guarda attorno alla disperata ricerca non tanto di un novello Mandela (che, forse, contro il suo volere e per sua sfortuna non riuscì mai a staccarsi di dosso l’immagine del guerriero politico non violento per poter infine indossare i panni del presidente di una moderna democrazia) quanto di una guida “normale” per un paese con problemi “eccezionalmente normali”.

Il Sudafrica è un paese giovane, vigoroso ed esuberante, in cui gli squilibri sono frutto della stessa linfa, della stessa forza che lo sostengono e che ne fanno uno dei potenziali giganti del futuro. Ma, così come vent’anni fa uscì da una situazione di anormalità (un regime criminale e pateticamente fuori dal tempo) grazie all’ampiezza dell’appoggio che investì un uomo solo, oggi deve raccogliere le sue forze per affrontare nuove sfide, molto diverse da quelle che resero Mandela un uomo eccezionale che non volle essere santo.

Marco Colombo

22 dicembre 2013

SundayUp - Musica per Studiare

È il 22 dicembre e non c'è molto da fare a riguardo. Mangeremo, alla faccia di chi non ne ha, perché anche se facciamo parte dell'1%, l'internet ci insegna che siamo il 99%; ci consoleremo con l'amnistia free pussy riot, ci danneremo perchè per noi la pussy non sarà mai free; penseremo le nostre classifiche di fine anno col meglio del meglio, ci ricorderemo quanto siamo rimasti male ascoltando il nuovo Ep dei FBYC pensando che sarebbero stati tutti inni da stadio come nel precedente. Sono sicuramente tutte cose che faremo, insieme a molte altre e, anche se mi piacerebbe, oggi non voglio indulgere nelle malinconie di questo periodo che dopotutto ha un suo perché. Perché, in realtà, le attività di cui sopra saranno solo parte della consueta liturgia che più che altro si cerca di scansare. Quello che faremo tutti e intendo i miei coetanei (cioè una cosa che spazia fra i 14 e i 28 anni) sarà, realisticamente, studiare. Questa è una rubrica musicale, perciò ho chiesto ai miei amici che cosa stessero ascoltando come sottofondo (rigorosamente strumentale) allo studio in questo periodo – sulla dibattutissima questione se la musica renda lo studio migliore o impossibile mi riservo di tornarci più avanti in altra sede. Mi limiterò a farvi questo listone compilato in modo assolutamente fenomenologico: riporto ciò che mi è stato risposto, con l'unica clausola del ASTENERSI JAZZ.

Maura L. /// Shlomo - The Way U Do - "ci ho scritto la tesi con questo". 
Bello, mi ricorda quando per la triennale accarezzai l'idea di chiedere la tesi a Snoop Dogg.

Laura M. /// Colonna sonora di Doctor Who - "o anche il Signore degli Anelli".
Uhm, non saprei proprio. Il genere "colonna sonora" di questo tipo combatte contro "musical" quanto alla poca simpatia che mi ispira.

Rocco P. /// I Godspeed You! Black Emperor - "ci studio bene" 
Sì, anche se secondo me sono troppo dispersivi e lineari per studiarci. Rocco è un chimico e, come tutti gli chiedono, non fa le bombe, né la droga, bensì fa bombe di droga. 

Chiara C. /// gli Zu 
Di lavoro, è dottoranda di cose DAMS e sembra una persona tranquilla, ma a quanto pare lo studio è qualcosa di molto hard per lei. 

Carlo T. /// The Go! Team // Man or Astroman - "io li adoro"
Il Go! Team per me è un gruppo spettacolare, ma, santo cielo, come ha obiettato qualcun altro, Carlo, per ascoltarti il Go! Team mentre studi che fai di lavoro, il teletubbie? Vale lo stesso per Man or Astro-Man, sostituendo 'teletubbie' con 'barista sull'oceano'. Invece, comunque, Carlo è un informatico (e sì, è lo stesso di questo seguitissimo post di TBU)

Caterina B., in arte Odisseo Undular /// Aphex Twin // Phill Niblock
Con Aphex si va sul sicuro, poco da aggiungere, mentre col secondo pezzo si va sicuramente all'ospedale psichiatrico, dopo un po'. A parte gli scherzi, questo rende l'idea della musica da studio come alternativa al silenzio, in senso riempitivo.

Tommaso C. /// Steve Reich - Music for 18 Musicians - "sono in fissa con questo, di recente"
Non ricordo che lavoro o che studi faccia, ma lo fa, credo, a Milano e questo non depone sicuramente a suo favore. 

Acidi Viola /// i Maybeshewill - "il primo ep o il primo album"
Se vale quello che è stato detto per Carlo T., Acidi di lavoro farà il tornitore bipolare (sì, lo intendo come un lavoro), come minimo.

Marco P. /// I pezzi lunghi di Maurizio Bianchi - "uno dei miei miti musicali"
So che Marco fa il bibliotecario, ma se non lo sapessi, ipotizzerei l'operaio idraulico nella fabbrica di Pacman.

IMMAGINE DI REPERTORIO OVVIAMENTE
Alice A. /// Rainbow Bunchie for 10 hours - "intramontabile melodia"
Oltre a essere simpatica, nella vita Alice fa la pasticcera e perciò non posso fare a meno che immaginarmela così. Io ci ho provato e ho resistito 7 minuti. Non sono pochi, fidatevi. 

Il Dottor S. è una persona a modo e di classe e studia Legge a Napoli, come si diceva una volta. 

Anna M. /// William Tyler - "lo consiglio"
Anna si è laureata una volta a Londra e un'altra a Cambridge e ora sta prendendo una terza laurea in Italia. Poi, è molto appassionata di cose indie, in senso lato.

Alessandro M. /// Mike Oldfield - Amarok - "ma diamo una possibilità anche al cool jazz"
Il più giovane, è appassionato di prog, ma ora propone un album di una delle eminenze dell'easy listening-japaniere-world music.

Emily C. /// Baths - Obsidian " :) "
Studia Giurisprudenza e fa un sacco di cose, tra cui mettere i dischi al Covo (Bologna) e fare la radio. E' sempre molto impegnata, quindi immagino che questo la rilassi per davvero.

Francesco C., in arte AfterCrash /// Aoki Takamasa // Ametsub // Joao Gilberto
Fa parte di uno dei miei gruppi preferiti e gli piace il glitch e, come si evince dal primo video, non ha problemi di epilessia. Il terzo suggerimento è della bossa brasiliana invero piacevole.

Mattia F. /// Dj Cam Quartet 
Suona in uno dei gruppi più esportabili ed esportati d'Italia e forse contravviene alle regole proponendo una roba vagamente jazz, ma che racchiude bene il concetto di ambient che va per la maggiore. 

Giovanni O. /// condivide Music for 18 musicians e propone Spiritualized
Se lo dice lui che studia neuroscienze*, ci sarà da neurofidarsi.
(* ha precisato di avere cambiato lavoro, precisamente in questo, che non so che lavoro sia ma è sicuramente quello che vorrò fare da grande)

* * *


Ok, dopo aver appurato che ho un sacco di amici strani dai gusti variegati, chiudo con una cosa banale ma che mi ha aiutato molto nell'ultimo periodo. 

Insomma, spero di avere fornito una solida base per la sessione di gennaio, perché, come detto, durante le vacanze di Natale si studia (o si continua a lavorare). Il resto è sovrastruttura. 

Filippo Batisti

SundayUp - Philomena di S. Frears (2013)

Il film Philomena racconta la storia vera del doloroso distacco tra una ragazza madre ed il suo bambino negli anni Cinquanta in Irlanda. Come in tutte le grandi storie, anche in quella raccontata da Stephen Frears, alla trama principale si intrecciano diverse vicende umane che contribuiscono a creare un film emozionante.
La quindicenne Philomena rimane incinta ed è costretta a fuggire dal suo paese per via della colpa di cui si è macchiata, viene mandata in un convento di suore dove lavora nella lavanderia insieme a tante altre ragazze madri che non hanno il diritto di vedere i loro figli. Il piccolo, Anthony, viene venduto dalle suore ad una coppia abbiente americana. Passano cinquant’anni di silenzio, nei quali Philomena si sposa e ha una nuova vita ed altri figli ora sotto la liceità morale del matrimonio, fino a quando decide di raccontare la sua storia per ritrovare il figlio Anthony. Alla sua ricerca si unisce Martin Sixsmith, ex spin doctor di Tony Blair, intellettuale, ateo e in cerca di una storia da raccontare. I due personaggi sono agli antipodi; da una parte l’anziana donna, cattolica, che legge il “Daily Mirror” e i romanzi rosa di ambientazione medioevale e dall’altra il freddo giornalista, laico, borghese, laureato ad Oxford che ha perso la fiducia nelle persone ed è bloccato nella stesura di un libro sulla storia russa. I due vanno alla ricerca del terzo personaggio cardine della storia: il figlio Anthony, cresciuto nell’East coast americana in un’agiata famiglia cattolica, dopo gli studi diventa consigliere del presidente Reagan, è omosessuale e si ammala di Aids in un periodo oscuro per lo stato sociale americano; fu proprio sotto Reagan che vennero eliminati gli aiuti ai malati di Aids.

Judi Dench in Philomena

Philomena ed Anthony hanno la colpa di essere vissuti in momenti storici sbagliati per i loro “peccati” ed entrambi ne hanno pagato il prezzo. Dall’altra parte Martin osserva incredulo la semplicità e la bontà di Philomena che forte della sua fede riesce a perdonare chi le ha procurato tanto dolore in gioventù ed è proprio intorno alla fede che ruotano i due personaggi principali. E’ giusto perdonare dopo tante ingiustizie chi non sembra dare il minimo segnale di pentimento? Martin, dall’alto della sua formazione ed estrazione sociale non riesce a capirlo, la fede sembra una semplice scusa per non affrontare le ingiustizie del mondo.

Questo bellissimo film è stato premiato al festival di Venezia per la miglior sceneggiatura e la critica mondiale lo ha accolto come uno dei migliori film del 2013: è difficile oggi vedere un vero buon film e non si può sempre fare affidamento sui premi dei festival nostrani per avere una garanzia di qualità, ma il caso di Philomena è diverso, questo film è una vera opera d’arte. Il tema del peccato si intreccia con la fede e con la laicità ed i personaggi, mai stereotipati e magistralmente interpretati da due grandi protagonisti del cinema inglese, affrontano un viaggio che è un Bildungsroman (di formazione) e allo stesso tempo una ricerca delle proprie radici. Tanti elementi quindi perfettamente incastonati tra loro che danno come risultato un piccolo gioiello cinematografico.

Gaia Taffoni



16 dicembre 2013

Gli allevatori del Porcellum


Parliamo un po' di quel marasma politico che è la (non) riforma della legge elettorale. Come è ben noto la consulta una decina di giorni fa ha sanzionato la legge Calderoli (ribattezzata appropriatamente “porcellum”) come incostituzionale sia sotto il punto di vista del premio di maggioranza che sotto quello dell'assenza delle preferenze. Dunque se ci si recasse alle urne domani si voterebbe con un proporzionale puro.
Ormai da moltissimi mesi le forze politiche promettono il superamento di questa pessima e rivoltante legge elettorale, che riesce nella missione impossibile di limitare la rappresentatività dell'elettorato e, al contempo, garantire l''instabilità governativa. Tuttavia le promesse sono rimaste promesse. Il tempo passa e, vuoi per gli interessi e i veti incrociati all’interno della strana maggioranza che ormai siede in parlamento a partire dal governo Monti, vuoi per lo scarso apporto delle opposizioni, vuoi perché non è considerato un tema sensibile per gli italiani, non si vede nemmeno l'ombra di un accordo. Ciò nonostante la totalità o quasi delle forze politiche del paese si riempa la bocca di condanne nei confronti dell'attuale legge elettorale e sbandieri la riforma o l'abolizione della stessa come uno dei punti fondamentali della propria agenda. Addirittura il governo Letta ha scomodato insigni ed emeriti esperti, i cosiddetti “saggi”, per elaborare un adeguato testo di legge ma la bozza che ne è uscita è stata accantonata, messa in soffitta. Meglio proseguire con le promesse, gli slogan e i buoni propositi che non arrivano mai a compimento.
Per parlare però di questa vergognosa (che ogni giorno diventa sempre più vergognosa) pagina di un'Italia repubblicana, vittima dell'immobilismo e delle scempiaggini di una classe politica statica e scellerata, farò uso di un'intervista apparsa sul sito de “L'Espresso” all'illustre costituzionalista Stefano Rodotà il 6 dicembre scorso. Mi limito a commentare alcune dichiarazioni rilasciate dal professore e ad utilizzarle come mezzo per esprimere la mia opinione di politologo in erba e il mio punto di vista su ciò che è successo, ciò che sta succedendo e ciò che (mi auguro) succederà.

“La corte non ha fatto nessun intervento manipolativo”
“La colpa è della politica che per anni non ha trovato un punto di equilibrio”

Non posso che trovarmi d'accordo con queste frasi. La corte costituzionale, sebbene dopo un'attesa di otto lunghissimi anni, si è espressa sulle questioni a lei sottoposte. Sinceramente più che un'invasione di campo della magistratura nella sfera della politica, la sentenza della corte mi è sembrata un invito ai deputati e ai senatori a trovare un compromesso (magari al rialzo e non, come sempre, al ribasso) per approvare una legge elettorale. Tra l'altro l’approvazione è una procedura semplicissima e non richiede particolari passaggi o intese allargate. Richiede solamente un accordo. Inoltre, esulando un attimo dal terreno tecnico-legislativo, trovo preoccupante la lettura di alcune personalità di spicco del pronunciamento della consulta come un tentativo del potere giudiziario di scavalcare la propria sfera di competenza e di irrompere nella “politica”. Nonostante mi sembri evidente che parte della magistratura possegga orientamenti politici, si rischia di avvallare e sposare la narrativa berlusconiana della “dittatura della magistratura” e si dimostra, come purtroppo troppo spesso accade in Italia, poco rispetto e fiducia verso le istituzioni.



A venti anni di distanza (dal referendum sul superamento del proporzionale) sarebbe assolutamente possibile che si scegliesse la via del proporzionale”

Ora inizio a mostrare qualche forma di scetticismo. Intanto c'è l’esito di un referendum che ha appunto decretato la volontà degli italiani di non votare con il sistema proporzionale. Inoltre penso che il proporzionale sarebbe una sciagura per il nostro paese. Non è tanto un problema del sistema in sé, che è quello che tenta di assicurare il maggior tasso di rappresentatività possibile, ma è un problema dell'inconciliabilità con il nostro scenario partitico corrente. Uno scenario composto da soggetti politici fluidi, deboli, instabili, degli “ectoplasmi” come li ha definiti recentemente Angelo Panebianco (sì, è uno dei celeberrimi saggi) in un editoriale. Come si può pensare che degli attori di questo tipo, in totale e apparentemente irrimediabile crisi d'identità, possano costruttivamente gestire un parlamento eventualmente iper-frammentato dal proporzionale?

Ma è il solito vincolo della stabilità, che viene sostenuto dicendo da quelle che a me sembrano plateali stupidaggini, cioè che nei paesi maggioritari e moderni il giorno stesso delle elezioni si sa chi governerà. Quanti giorni ci stanno mettendo in Germania per fare la coalizioni di governo? E in Inghilterra?”

Qua c' è molta carne al fuoco per un politologo. Rodotà scivola nelle sabbie mobili della scienza politica e in parte ne rimane impantanato.
Andiamo con ordine.
Opinione personalissima: la stabilità è un valore. È un valore in quanto permette la progettualità e la lungimiranza. La possibilità di guardare avanti, di avere un determinato orizzonte temporale a disposizione, in politica, ma, in generale, nel mondo contemporaneo, è un fattore cruciale per il successo. Capisco che la stabilità governativa sia estranea al nostro DNA politico più o meno dalla nostra concezione come repubblica e che vent'anni di Silvio Berlusconi abbiano anche spazzato via il concetto (e la speranza) di “progettualità” da me appena menzionato, ma forse non è troppo tardi per fare qualche passo in avanti in questo senso. Sarebbe giunta l’ora.
Passiamo ai paesi presi come metro di paragone nella dichiarazione. La Germania ha una lunga storia di coalizione e il termine “compromesso” è un tratto distintivo della loro cultura politica. Tuttavia le coalizioni, durano, quasi sempre, fino alla fine del mandato governativo, perché stipulate attraverso un patto chiaro (come quello appena siglato dalla Merkel e da Steinbruck). Un accordo fatto di punti che si basano sulle politiche da adottare o da non adottare e che viene rispettato proprio in nome della stabilità governativa. Anche le grandi coalizioni tra SPD e CDU cercano di stipulare accordi di alto profilo. Inoltre mi sembra che i due partiti principali tedeschi godano di una ben maggior salute e abbiano una solidità e una consistenza ben diversa dalle nostre agonizzanti forze politiche. Infine il sistema elettorale tedesco conferisce la possibilità agli elettori di scegliere la persona che si intende votare. Riguardo alla Gran Bretagna, i tempi di formazione della coalizione sono stati molto brevi e, nonostante l'evoluzione del sistema in senso multipartitico, credo che il “coalition government” rimarrà un'eccezione e non la regola. Inoltre i cittadini britannici e la maggioranza dell’establishment politico guardano ancora alla formula del governo di coalizione con scetticismo e diffidenza.

Il parlamento è illegittimo? “Questo non si può dire”

Qualcuno dopo il pronunciamento della consulta ha sostenuto la tesi dell'illegittimità del parlamento. Io la trovo una forzatura logica priva di fondamento ed (ab)usata strumentalmente dalle forze politiche che sono intenzionate, altrettanto strumentalmente ed egoisticamente, ad andare alle urne in tempi brevissimi, ovvero Forza Italia e il MoVimento 5 stelle. Tuttavia come hanno ben detto Gramellini e altri, se si porta questa forzatura logica, questo mero esercizio retorico, al suo limite, al suo estremo, si scopre che la stessa corte costituzionale è illegittima, perché in parte nominata dal parlamento illegittimo e, dunque, la sentenza stessa è illegittima. Si scopre anche che coloro che siedono in parlamento e appartengono a questi partiti percepiscono uno stipendio e occupano un posto di lavoro illegittimamente. Ma appunto, come ho affermato in precedenza è una forzatura logica. Pericolosa oltretutto. Chi glielo va a spiegare a Van Rompuy, Barroso, Merkel e compagnia bella che abbiamo un governo incostituzionale e che dobbiamo tornare per giunta a votare e rischiare di averne un altro ( eletto con il proporzionale eccezionalmente riportato in auge) precario e senza maggioranza?


In conclusione vorrei sollevare due punti. Il primo è un auspicio che sa sempre di più di utopia. Molti politologi italiani da tempo sottolineano la necessità di implementare un sistema maggioritario a doppio turno di collegio. Per parlarci chiaro, il sistema “alla francese”. Mi sembra che i risultati aldilà delle Alpi, da all'incirca cinquant'anni a questa parte siano stati più che discreti sia in termini di governabilità (e nella quarta repubblica era davvero un problema) che in termini di rappresentanza. Credo fermamente che i nostri governanti e le forze di opposizione dovrebbero mettere da parte gli interessi parrocchiali e partigiani e indirizzarsi su quella strada.

Il secondo punto è una riflessione. Una riflessione sulla centralità di votare attraverso un soddisfacente sistema elettorale. Comprendo chi, in tempi di devastante crisi economica, afferma “con la riforma della legge elettorale non si mangia”. La legge elettorale è una procedura. Une mera procedura. Ma la democrazia, quella liberale-socialdemocratica in cui ci troviamo, è anche fatta di procedure. Le procedure, quelle efficaci, che funzionano, sono un ingrediente indispensabile per una buona democrazia rappresentativa. Se ci si dimentica di enfatizzare l'importanza delle procedure e ci si concentra esclusivamente sui risultati, si giustificano i fini sui mezzi. Ciò è, a mio modesto parere, oltremodo nocivo e rischioso.

Valerio Vignoli

15 dicembre 2013

SundayUp: "Venere in pelliccia" di R. Polanski (2013)

C'è un solo modo per capire se un film è piaciuto agli spettatori in sala: i titoli di coda. Se dopo la fatidica parolina "fine" nessuno si alza, ma si rimane seduti sulla poltrona col naso all'insù, a contemplare quelle parole che scorrono sullo schermo, il film è decisamente piaciuto. Si rimane seduti come nella speranza che quella non sia veramente la fine, ma piuttosto uno scherzo del regista, e che dopo qualche minuto ricomincerà il film. Si rimane seduti perché quando ci si immerge negli abissi di un'opera cinematografica, il finale ci colpisce come un piccolo trauma: simile a quella sensazione che si prova quando la sveglia interrompe un bellissimo sogno e allora si rimane nel dormiveglia, si conserva il sonno, per provare a ricominciare quel sogno da dove lo si era lasciato.

Crepax



Questo è ciò che accade al termine della proiezione di Venere in Pelliccia, l'ultimo lavoro di Roman Polański. Il pubblico attendeva con ansia il ritorno sul grande schermo del regista, che con Carnage (2011) aveva stupito e ammaliato sia la critica che gli spettatori. Come per quasi tutti i suoi film, anche in questo caso ci troviamo di fronte all'adattamento cinematografico di un'opera teatrale sceneggiata da David Ives, che a sua volta traspone il romanzo omonimo del 1870 di Leopold von Sacher-Masoch. Se vi state chiedendo come mai il cognome di quest'uomo ricorda molto il termine "masochismo", ebbene sì, è proprio come pensate. Si tratta infatti di un romanzo erotico, che narra la vicenda autobiografica dello scrittore Sacher-Masoch, il quale decise, assieme all'amante Fanny Pistor, di stipulare un contratto che l'avrebbe reso suo schiavo. Nel romanzo egli cambiò il nome della donna in Wanda von Dunajew, nome che a sua volta la moglie, Aurora von Rümelin, utilizzò come pseudonimo quando decise di pubblicare le proprie memorie.


Si tratta in un'incredibile storia di scatole cinesi. Infatti Polański prende questa vicenda e ne fa un film a sua volta estremamente autobiografico. Il protagonista si chiama ora Thomas ed è interpretato da Mathieu Amalric, un regista teatrale alla ricerca della giusta protagonista che possa interpretare Wanda, per la realizzazione di un'opera teatrale ispirata al romanzo Venere in Pelliccia. Al termine di una giornata poco proficua, si presenta per il provino una donna di nome Vanda (interpretata dalla sensualissima Emmanuelle Seigner, moglie di Polański nella vita reale). E' subito chiaro che la donna non ha colto l'atmosfera del romanzo, essendosi vestita in pelle e lattice, come se dovesse interpretare uno spettacolo sado-maso. Thomas vorrebbe cacciarla: non arriva quel colpo di fulmine che dovrebbe aiutare il regista nella scelta degli attori protagonisti e Vanda si esprime come uno scaricatore di porto. Dopo lunghe insistenze, la donna si cambia d'abito ed inizia il provino, recitando da pagina 3. Ed ecco la magia. Vanda è Wanda, la sua voce nella recitazione è incantevole, Thomas ne è folgorato.

Tutto il film è ambientato all'interno del teatro (esattamente come Carnage era interamente girato all'interno di un appartamento): il provino iniziale si trasforma nella messa in scena dello spettacolo, per opera dei protagonisti che recitano davanti ad una platea vuota. L'intera vicenda ruota attorno al continuo scambio di ruoli tra dominatore e dominato, così come è nel romanzo. Se inizialmente è Vanda ad essere dominata, con il passare dei minuti tutto cambia, ed è Thomas ad essere soggiogato, nell'interpretazione e nella realtà, da questa donna meravigliosa e misteriosa. Una tensione sessuale che non si consuma mai, poiché i due protagonisti non si sfiorano sino allo scatenarsi definitivo della violenza che si manifesta in uno schiaffo violentissimo. Non lo sappiamo ma stiamo assistendo alla realizzazione di quella famosa teoria su cui tutti i professori di filosofia insistono tanto: la dialettica servo-padrone di Hegel. Per usare le parole del filosofo, non è l'amore che consente all'individuo di farsi riconoscere nella propria autocoscienza, nel proprio essere libero e pensante, ma piuttosto "la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo". Il riconoscimento della propria indipendenza passa attraverso un conflitto nel quale un contendente si subordina all'altro nel rapporto servo-padrone. Il signore è chi ha messo in pericolo la propria vita fino ad ottenere una vittoria, il servo è invece colui che ha scelto la schiavitù per salvarsi. L'inversione dei ruoli secondo Hegel sta nel fatto che "il signore diviene servo del servo ed il servo signore del signore", infatti il padrone non potrebbe vivere senza il lavoro del servo, mentre il servo si rende indipendente nel lavorare le cose di cui il signore si nutre.


Nel film però accade qualcosa che va oltre: Vanda conosce questa dinamica e decide di far provare a Thomas la vera schiavitù. Il regista perde anche la propria identità e di lui rimane solo un corpo ignorato, alla stregua di una carcassa abbandonata al termine di una lotta, solo, senza più l'altra parte con la quale dialogare dialetticamente.

Un film sublime: nella recitazione, nella messa in scena, e in tutti quei piccoli dettagli (i suoni che accompagnano i gesti dei due attori mentre fingono di bere il caffè, strappare un foglio…) che rendono un lungometraggio un'opera d'arte. Rimane solo un dubbio: Vanda è una Venere, una proiezione onirica del regista, o semplicemente una sciacquetta che vuole farla pagare a qualcuno? Una cosa è certa: "Shiny boots of leather, whiplash girlchild in the dark, come in bells, your servant, don't forsake him, strike, dear mistress, and cure his heart".

Roberta Cristofori

13 dicembre 2013

Pd, l'ultima occasione per cambiare

Ho la sensazione che, comunque vada a finire, le recenti primarie del Partito Democratico saranno ricordate come un punto di svolta nella storia recente. Matteo Renzi ha preso circa il 68% dei voti concorrendo non solo con gli altri candidati alla segreteria ma soprattutto con la maggioranza dell'establishment del partito stesso. La pluridecantata rottamazione sta per compiersi, c'è una nuova maggioranza nel Congresso e anche la squadra di Sottosegretari è composta da giovani sotto i trentacinque anni estranei ai quadri di partito.

Renzi ha stravinto nelle “zone rosse” dove la tradizione ex comunista legata ai vecchi dirigenti è più radicata (più del 70% il Emilia-Romagna, Toscana e Marche), ha ottenuto la maggioranza tra gli iscritti ma soprattutto ha stravinto tra gli elettori non iscritti. Il 18% di Gianni Cuperlo, il candidato di riferimento dei quadri dirigenziali, è un'altra testimonianza dell'immagine negativa che questi hanno sugli elettori. Sembrava dovesse essere una gara a due, ma in realtà questa era l'idea, molto forzata, della parte che appoggiava il candidato triestino, rivelatosi già nel confronto televisivo inadeguato e troppo simile allo stereotipo del vecchio dirigente di partito (a questo aggiungerei che anche Kennedy avrebbe faticato ad imporsi se fosse stato presentato come “l'uomo di D'Alema e di Bersani”). Infine Pippo Civati, che ha recitato alla perfezione il ruolo di outsider, raccogliendo un buon 14% grazie a una brillantissima prestazione nel confronto televisivo e alle simpatie derivanti dalla sua figura di soggetto estraneo alle correnti interne e coerente con le idee più a sinistra.

La vittoria di Renzi è arrivata probabilmente con un anno di ritardo, ma la sua scalata è stata formidabile. Fino a tre anni fa era quasi sconosciuto tra la gente comune. In questo periodo è riuscito ad affermare la propria immagine di giovane leader in grado di tirare fuori il paese dalla melma nella quale non è mai troppo stanco di sguazzare, promettendo più o meno tutto, e senza avere chance reali di metterlo in pratica. Adesso ha il compito di riformare il proprio partito, non solo perché è il motivo per il quale è stato votato da milioni di persone, ma anche perché attraverso questa sfida passa il suo futuro di premier. Il lavoro che lo aspetta è imponente: la sua vittoria è stata schiacciante e questo gli garantisce grande libertà di manovra e buone scorte di credibilità da giocarsi nei tempi di magra, ma la mia sensazione è che mai come in queste primarie l'elettorato sia stato polarizzato, la distanza tra i candidati ampia e le intenzioni di voto future indecifrabili. 



Consideriamo solo le primarie per la Segreteria: da quando esistono sono servite soprattutto a confermare la vittoria di un candidato che di fatto era già stato scelto dalla dirigenza, con sfidanti più o meno accomodanti che si sono garantiti un po' di visibilità e una carica d'onore per gli anni a venire (Bindi e Franceschini ringraziano). Come già scritto su The Bottom Up, si trattava di un rito autocelebrativo e autoreferenziale. Questa volta invece la situazione era diversa: come detto in apertura, si trattava della sfida di un candidato alla maggioranza degli organi dirigenziali. (Il fatto che questo sia l'unico dei tre maggiori partiti italiani dove questa sfida sia possibile e regolata da votazioni democratiche deve essere, più che motivo d'orgoglio per il partito in questione, motivo di imbarazzo per gli altri). Altro elemento nuovo: mai come oggi si è avuta la sensazione che non tanto gli sfidanti ma soprattutto il loro elettorato di fiducia fosse tanto avverso al vincitore. La sfida più grande di Matteo Renzi come Segretario non sarà tanto quella di proporre una classe dirigente che possa fare meglio di quella che l'ha preceduta, sarebbe fin troppo facile, ma quella di evitare o quantomeno tamponare la fuga di quella parte della sinistra che pare essergli inesorabilmente avversa. Nel caso di un suo fallimento, scommetterei forte su una scissione nel PD tra l'ala più centrista e quella più “de sinistra”.

Domenica ho votato il sindaco di Firenze, così come lo avevo scelto un anno fa come candidato premier. Seguo le sue vicende da qualche anno, sono un sostenitore dell'idea di una sinistra più liberale, più third way, e su di lui ho investito buona parte della fiducia nella politica che mi rimane, che non è poca, ma nemmeno tanta. Proprio per questo eviterò con cura di fare ragionamenti da tifoso e sarò il suo primo critico. Quello che non mi convince di quella parte di sinistra a lui così fieramente avversa è la visione aprioristica e la superficialità delle loro analisi. Dire che Renzi è democristiano e che è il nuovo Berlusconi perché è di fede cattolica e ha buone capacità dialettiche è una banalizzazione degna del peggior grillino. Anche l'immagine secondo la quale Renzi in realtà non è di sinistra è abbastanza priva di fondamento. Soprattutto perché l'affermazione si appoggia non tanto sulle tematiche politiche quanto sul personaggio, sulla facciata. Se prendiamo i tre candidati alle primarie, l'unico a potersi definire più a sinistra degli altri è Civati. Tra Renzi e Cuperlo non c'è particolare distanza ideologica, le uniche differenze riguardano temi come liberalizzazioni in economia e nel mercato del lavoro e riforma/modernizzazione della Costituzione (appoggiata tra l'altro dai maggiori politologi del paese). Si tratta di politiche di buonsenso, che non vogliono stravolgere gli equilibri costituzionali o sociali ma solamente adattare l'impianto legislativo ad un contesto globale e globalizzato troppo diverso dagli anni in cui la Carta Costituzionale è stata scritta. La difesa oltranzista dello status quo costituzionale è una battaglia miope e fanatica, che certifica una certa distanza dal mondo reale. Ed è proprio quella parte di sinistra che porta avanti queste battaglie che non ha esitato a bollare il sindaco fiorentino come nemico pubblico numero uno, simbolo dell'inevitabile processo di modernizzazione e di riforma che farà le sue maggiori vittime proprio tra le loro file. Essere carismatici, saper attrarre elettori anche da fuori della propria parte politica non è una colpa, è un requisito fondamentale per poter guidare efficacemente un paese, ed è proprio quello che è mancato alla sinistra negli ultimi vent'anni. 

Cadere nella demagogia, come ha fatto Renzi in certi momenti del confronto televisivo, è invece una strategia che può garantire qualche manciata di voti in più (non troppi: ci sarà sempre qualcuno più demagogo di lui) ma fa perdere il distacco con la realtà: per questo c'è bisogno che il PD si identifichi nel suo Segretario e lo faccia mantenendo anche un approccio critico. Se invece c'è ancora qualcuno affezionato a quella sinistra elitaria, incapace di trasmettere empatia agli elettori e sempre più distaccata dal paese reale, che vede il sindaco di Firenze come il male assoluto e aspetta solo un suo passo falso per riprendersi il partito, si ricordi che quando si è stati surclassati per vent'anni da Berlusconi e dal berlusconismo, quando è stato fatto fuori per ben due volte e dalla sua stessa parte politica quel Romano Prodi che è stato l'unico in grado di battere B., quando si sono persi i voti delle parti sociali meno abbienti a favore dei populismi e ci si è costruiti un'immagine grigia e perdente Renzi non c'era ancora, loro si.

Fabrizio Mezzanotte


3 dicembre 2013

La vigilia delle primarie PD: la politica vista da due Giovani Democratici

Fonte: primariepd2013.it

Ad una settimana dalle elezioni primarie per la scelta del segretario del PD, abbiamo intervistato due giovani attivisti appartenenti alla galassia democratica: Matteo Cassanelli, responsabile organizzazione Giovani Democratici Emilia-Romagna, e Giulio Del Balzo, giovane democratico attualmente Vice-Presidente dell’associazione politica FutureDem. I due si pongono idealmente ai lati opposti della dialettica interna al Partito Democratico, ma le loro posizioni sono davvero così distanti?

Che fai nella vita?
Del Balzo: Studio Scienze Politiche in inglese alla LUISS
Cassanelli: Studio Ingegneria Informatica all’Università di Bologna. Grande appassionato di sport (in particolare il calcio), libri, cinema e musica. 

Che fai nel PD?
Del Balzo: sono iscritto al PD e sono vice-presidente dell’associazione politica FutureDem. Sono sempre stato iscritto ai GD, ma quest’anno, una volta diventato fuori sede, non ho rinnovato la tessera.
Cassanelli: Sono il Responsabile Organizzazione Regionale dei Giovani Democratici dell’Emilia Romagna.

Chi voti alle primarie?
Del Balzo: Renzi
Cassanelli: Cuperlo

Hai visto il confronto su Sky? Civati sembra aver recuperato un po’ di terreno dopo venerdì. Secondo te chi ha vinto?
Del Balzo: Sì, l’ho visto. Senza dubbio ha vinto Civati.
Cassanelli: Sì ho visto il confronto assieme ad alcuni amici. Secondo me Civati è stato il più telegenico, in grado di bucare il video in modo costante. Un vincitore vero e proprio, però, non mi sento di designarlo. Cuperlo è stato molto bravo nella parte finale (soprattutto nell’appello), mentre Renzi l’ho visto un po’ più sottotono delle altre volte.

Scegli tra le opzioni proposte quella che senti più vicina:

DC/PCI
Del Balzo: Avrei detto PRI, ma dico PCI.
Cassanelli: PCI

D'alema/Veltroni
Del Balzo: Veltroni
Cassanelli: D’Alema
Giulio Del Balzo - Vice Presidente FutureDem

Prodi/Napolitano/Rodotà
Del Balzo: Prodi
Cassanelli: Prodi

Sel/Scelta Civica
Del Balzo: Scelta Civica
Cassanelli: SEL

Partito di lotta/Partito di governo
Del Balzo: Partito di governo
Cassanelli: Partito di governo

Obama/Merkel
Del Balzo: Obama
Cassanelli: Obama

Blair/Hollande
Del Balzo: Blair
Cassanelli: Hollande


Matteo Cassanelli - Responsabile Organizzazione GD Emilia-Romagna



La Repubblica/Corriere della Sera/La Stampa
Del Balzo: La Repubblica
Cassanelli: La Stampa

Europa/L'Unità
Del Balzo: Europa
Cassanelli: l’Unità

Don Gallo/Papa Francesco
Del Balzo: Don Gallo
Cassanelli: Don Gallo






Libertà/Uguaglianza
Del Balzo: Libertà
Cassanelli: Uguaglianza

Liberalismo/Socialismo
Del Balzo: Liberalismo
Cassanelli: Socialismo

Giovani e politica. Il PD alle ultime elezioni non ha riscosso un grandissimo successo tra i giovani. Come riavvicinare i giovani alla politica e al Partito Democratico?
Del Balzo: Il PD dovrebbe prendere posizioni nette e comprensibili, non intermedie; ma soprattutto bisogna dimostrare di avere una visione di lungo periodo per il Paese. Piccoli cambiamenti senza risvolti reali non bastano. Per favorire l’attivismo bisogna dimostrare che ognuno conta: la proposta di cambiamento va incanalata. E per ora il PD non sta utilizzando gli strumenti giusti per farlo.
 Cassanelli: Riavvicinare i giovani alla politica non è una cosa semplice. Gli ultimi vent’anni hanno influito pesantemente sulla nostra società e le nuove generazioni si trovano in una situazione in cui si sentono dire continuamente “sono tutti uguali!!”. La Politica, o meglio, il Pd e il Centro-Sinistra, devono tornare con umiltà tra le persone, guardandole all’altezza degli occhi e dicendo loro “Non saremo la parte migliore, ma siamo la parte giusta”.


L’organismo giovanile del PD, appunto quei Giovani Democratici di cui siete espressione è spesso molto autoreferenziale e riproduce le stesse logiche correntizie del Partito Democratico. Quale sarà il ruolo della giovanile nel PD del futuro?
 Del Balzo: Innanzitutto la giovanile deve avere un ruolo di carattere formativo. I GD non dovranno essere chiamati in causa dal PD solo per le Feste dell’Unità e i gazebo. Il PD deve investire nella formazione dei giovani, mentre negli ultimi anni i fondi sono stati ridotti. Certo la stessa struttura attuale dei GD non facilita questo compito. I Giovani Democratici dovrebbero lavorare in sinergia con il PD e dovrebbero configurarsi come luogo aperto e dinamico. Inoltre, i GD dovrebbe essere una piattaforma per fare campagne su temi specifici e fare agenda setting ai legislatori. Purtroppo tutto non avviene, o comunque viene fatto in maniera molto ridotta rispetto alle reali potenzialità.
Cassanelli: I Giovani Democratici sono l’unica organizzazione politica presente su tutto il territorio nazionale, in modo capillare. L’autoreferenzialità, purtroppo, è un rischio in cui si può incappare quando si porta avanti un’attività. Credo però che generalizzare, per un soggetto così grande e trasversale, sia un rischio che non renderebbe onore a tantissimi ragazzi che mettono a disposizione il loro tempo e la loro voglia di fare, semplicemente per passione.
Il ruolo della Giovanile nel Pd del futuro penso dovrà essere discusso tra la giovanile stessa e quella che sarà la nuova dirigenza nazionale. La cosa più importante sarà capire come fare ad attrarre ancora più ragazzi e ragazze, e far loro capire che la Politica, quella buona, è una bellissima cosa.


Struttura del PD. L’8 dicembre verosimilmente segnerà un punto di svolta nel PD e dopo la riforma della struttura centrale del partito occorrerà agire nei territori. Come superare la logica dei capibastone locali (che poi sono quelli che hanno creato “disagi” durante le primarie)?
 Del Balzo: Non è una cosa affatto facile. Il primo passo è rendere il partito una casa di vetro: andiamo a controllare dove ci son stati procedimenti sopetti e chiediamoci quali sono state le cause. Occorre trasparenza non solo rispetto alle tessere, ma anche sul lato economico. In questi anni qualcosa in questo senso è stato fatto, ma non è abbastanza. Soprattutto, però occorre trasparenza rispetto alle scelte. L’attuale segreteria del PD non aveva accountability, non era responsabile nei confronti degli iscritti e per questo sono state prese decisioni sbagliate.
 Cassanelli: Beh, abbiamo visto che in molte realtà poche persone controllano molti voti, come avete ben sottolineato voi. Io non ho una cura per questo problema, ma penso che se ne debba discutere, tutti assieme. Credo solo che un primo modo per evitare queste situazioni possa essere avere, anche sui territori, un partito trasparente e coinvolgente. E’ ovvio che per fare tutto questo deve rimanere un partito...

E’ il 9 dicembre, ha vinto il candidato a te avverso. Che fai? Credi che il PD possa rischiare una scissione?
Del Balzo: Mi interrogherei sugli errori commessi dal candidato che ho sostenuto e dal giorno dopo incomincerei a lavorare per una proposta che possa vincere e convincere al giro successivo.
Certo che, dopo 4 anni di Bersani, sopportare un segretario ancor così distante dalle mie vedute non sarà affatto facile...
Cassanelli: Il 9 dicembre penso che dormirò tutto il giorno e dopo mi farò una bella birra! A parte gli scherzi, credo che quello sarà semplicemente il giorno in cui avremo un nuovo Segretario Nazionale. Dovesse vincere uno dei candidati a me “avverso”, riconoscerei appunto il risultato. Le valutazioni andranno fatte nei mesi a venire, perché un partito come il PD non lo cambi all’istante con un cambio di dirigenza, chiunque tu sia. Scissione? Non penso sia una delle ipotesi contemplabili.

Ora verifichiamo se siete davvero così distanti. Ad ogni punto elencato, rispondi se sei favorevole o contrario:

a.      Larghe intese
Del Balzo: Favorevole solo se c’è un contratto “a tempo” con obiettivi specifici.
Cassanelli: (tendenzialmente) contrario

Doppio incarico segretario/candidato premier
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Contrario

Primarie aperte ai non iscritti
Del Balzo: Favorevolissimo
Cassanelli: Contrario

PD nel PSE
Del Balzo: Favorevole, perchè non ha senso stare nel gruppo dei Socialisti e Democratici e allo stesso tempo non poter scegliere il candidato alla Commissione. Quindi, stare nel PSE, cercando di ampliarne gli orizzonti in una visione slegata dalle logiche novecentesche.
Cassanelli: Favorevole

Finanziamento pubblico ai partiti
Del Balzo: Rivisto e diminuito.
Cassanelli: favorevole (rivedendolo)

Abolizione del senato
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Contrario


Riduzione del numero dei parlamentari
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Limite di tre mandati
Del Balo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Abolizione provincie
Del Balzo: Riduzione fatta con criterio
Cassanelli: Favorevole

Porcellum
Del Balzo: Contrarissimo
Cassanelli: Contrario

Mattarellum
Del Balzo: Contrario
Cassanelli: Contrario

Maggioritario a doppio turno
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Sistema semipresidenziale
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Contrario

Riforma art. 18
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Contrario

Salario minimo
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Reddito di cittadinanza
Del Balzo: Contrario
Cassanelli: Contrario

IMU
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole modificandola (non abolendola)


Liberalizzazione delle droghe leggere e legge Fini-Giovanardi
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Insegnamento della religione cattolica nelle scuole
Del Balzo: Contrario
Cassanelli: Favorevole

Crocefisso in aula
Del Balzo: Indifferente
Cassanelli: Contrario

Matrimoni e adozioni gay
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Ius soli
Del Balzo: Favorevole alla versione temperata
Cassanelli: Favorevole

Abolizione legge Bossi-Fini
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Abolizione reato di clandestinità
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Abolizione art. 67 (vincolo di mandato parlamentare)
Del Balzo: Contrario
Cassanelli: Contrario

Introduzione del referendum propositivo
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Democrazia diretta
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: (Perplesso) contrario

Privatizzazione della Rai
Del Balzo: Il servizio televisivo va rivisto, lasciando pubblico un solo canale e privatizzando gli altri. Inoltre, il servizio pubblico dovrebbe concentrarsi su un’offerta culturale.
Cassanelli: Contrario


Privatizzazioni nel settore pubblico
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Contrario

Tav
Del Balzo: Contrario
Cassanelli: Favorevole

Euro (dal solo punto di vista monetario)
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Stati uniti d'Europa
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Entrata della Turchia nell'UE
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Entrata della Serbia nell'UE
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Nascita dello stato palestinese
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Accordo di Ginevra, Iran 5+1
Del Balzo: Favorevole
Cassanelli: Favorevole

Pena di morte
Del Balzo: Contrario
Cassanelli: Contrario

Centrali nucleari in Italia
Del Balzo: la nuova generazione di centrali nucleari può fornire un buon compromesso tra crescita economica e rispetto dell’ambiente. Affrontare un simile investimento oggi in Italia, però, non è il caso.
Cassanelli: Contrario

Energie rinnovabili
Del Balzo: Favorevolissimo, sono il futuro e con il progresso tecnologico risponderanno a tutti i nostri fabbisogni.
Cassanelli: Favorevole

Quale tema vorresti approfondire tra quelli sopra descritti?

Del Balzo: Credo che il discorso più importante per i giovani riguardi l’insostenibilità della spesa pubblica, che ci costringe ad un indebitamento sempre maggiore con crescenti tassi di interesse. Inoltre, gli effetti della spesa pubblica eccessiva ricadono sulle future generazioni. Per questo si potrebbe aprire un discorso di privatizzazioni e razionalizzazioni, ma ponendo degli importanti pilastri, quali un’istruzione accessibile a tutti e una sanità universale. A partire dalla sanità però si può procedere a delle razionalizzazioni. Per esempio il servizio di Pronto Soccorso è abusato: molte utenze potrebbero essere indirizzate ai medici di base, introducendo un servizio 24 ore su 24. Inoltre, è necessaria la standardizzazione dei costi, perchè una siringa a Reggio Calabria non può costare cinque volte di più rispetto ad una siringa in Lombardia. Si deve ripartire dalla sanità perchè è la voce più grande della spesa pubblica e se vogliamo fornire un servizio universale alle future generazioni occorre una razionalizzazione degli spesi. Nella sanità inoltre, il problema non è tanto l’ingerenza politica, quanto più la presenza di corruzione e l’assenza di logiche meritocratiche. Chi ricopre cariche dirigenziali deve avere competenze manageriali. Infine, è necessaria una riforma della pubblica amministrazione. I dati ci dicono che l’inefficienza amministrativa ha effetti negativi sulla crescita che superano quelli della pressione fiscale. Dunque, il problema non è tanto il carico fiscale, quanto più il rapporto tra tasse e servizi offerti.

Cassanelli: Ce ne sono diversi che meriterebbero un approfondimento più critico. Mi vorrei però soffermare sue due temi:
Alla Democrazia Diretta preferisco la Democrazia Partecipata, con cittadini informati e formati per partecipare ed impegnarsi, senza svilire tutto ad un “televoto”.
L’altro tema a me molto caro sono “Gli Stati Uniti d’Europa”. Diamo un senso all’Unione Europea anche da un punto di vista politico, oltre che monetario.